Cinecittà: la giraffa, il suo punto di vista, dall’alto, verso il futuro
La storia della città del cinema, che si conosce poco, dovrebbe essere il punto di partenza per un rilancio di un’Italia meno provinciale
Qualcosa di certo non va se per decenni la questione di Cinecittà continua ad essere irrisolta. La questione si è talmente ingarbugliata, confusa, persino fastidiosa, che sta diventando sempre più complessa, e nessuno, dico nessuno, ha trovato o sta cercando filo d’Arianna. Qualcuno ha qualche idea? Non c’è dunque nulla da fare? Non può essere. Bisognerebbe che i detentori dei poteri (i partiti, la politica) si chiariscano meglio le idee e soprattutto sappiano fissare obiettivi credibili per cercare di centrarli, con rapidità. La situazione non merita di essere ulteriormente compromessa.
Capire cosa è stato, può servire. Uso la metafora della Giraffa, prendendola dal film La grande bellezza. Meglio guardare dall’alto lo spettacolo della grande bellezza stretta nella mostra della grande bruttezza, piuttosto che cedere alla rassegnazione e ai rimedi improvvisati di un cinema da sostenere e rilanciare, in sintonia con un parallelo sostegno e rilancio di Cinecittà, il polo industriale e creativo che rischia di languire i tutte le sue componenti e attività.
Il ripasso di storia, che propongo, può servire, credo.
Per ricostruire il ruolo che il cinema ha avuto e può avere ancora nel nostro Paese. Per non rassegnarsi alla decadenza compiuta, tenere conto del punto di vista dell’alto della Giraffa, una visione non compromessa con il deterioramento avvenuto nel tempo vicino a noi. Per sperare, almeno, in mezzo a vocianti d’ogni parte, responsabili fino in fondo di ciò che è, adesso.
Dunque, ripasso storico. Film, produzioni, successi. Cinema di propaganda nel fascismo, divismo, commedie dei telefoni bianchi, una lunga storia che si dà per scontata, ed invece è una grande sconosciuta. Dal 1937 al 1943, uscirono da Cinecittà film come “Luciano Serra pilota” (Amedeo Nazzari), “Ma l’amor mio non muore”, “Grandi magazzini” (Vittorio De Sica e Assia Noris), “ La peccatrice” (Mariella Lotti), “La corona di ferro” (Massimo Girotti, Luisa Ferida), “Ettore Fieramosca” (Gino Cervi), “La cena delle beffe” (Osvaldo Valenti, Clara Calamai), “Teresa Venerdì” (Anna Magnani), “Malombra” (Isa Miranda), “Avanti c’è posto” (Aldo Fabrizi), “Daniele Cortis” (Massimo Serato, il compagno di Anna Magnani dopo che il marito Goffredo Alessandrini l’aveva lasciata per Regina Bianchi).
Questi e tanti altri furono al centro di una spasmodica attenzione del pubblico, e furono campioni di incasso. La produzione era intensa e l’obiettivo dei film usciti da Cinecittà era quello di diventare un punto di riferimento per i “cineasti” (allora si chiamavano così), in specie attori stranieri, dalla Francia ad esempio arrivò la spagnola Maria Mercader, che aveva debuttato a Parigi e venuta a Roma si innamorò e si unì a De Sica).
Mentre, per la gloria di Cinecittà come luogo di vivace creatività italiana, partivano e per poi tornare attori italiani, come Rossano Brazzi, che saltuariamente lasciavano Roma per recarsi a Berlino e lavorare con le dive tedesche come Zara Leander, di origine svedese. Uno scambio frequente, dovuto anche alle intese tra l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Grande valore documentario e importanza artistica potranno avere non solo le immagini dei film di maggior successo ma anche i “trailer” che allora venivano chiamati “prossimamente”. Essi facevano parte dello spettacolo nelle sale e possedevano una stile che è rimasto a lungo nella memoria del pubblico. Le sale, i cinema, erano sempre più spaziosi e affollati, esempi di una inventiva architettonica e artistica di cui esistono disegni e fotografie.
Nell’enfasi per la scoperta di un cinema destinato a milioni di appassionati, che affascinava le famiglie con i film di avventura i film comici, un contributo alla leggenda di Cinecittà diedero, fissandosi nel ricordo, le copertine dei primi giornali di moda e attualità. Erano pubblicazioni, numerose, dirette da scrittori come Cesare Zavattini, futuro geniale sceneggiatore per i film del neorealismo (“Ladri di biciclette”, “Sciuscià”). Queste riviste indicevano concorsi di bellezza che vennero incrementati e diventarono la rampa di lancio di attrici, una tendenza che prenderà definitivamente piede dopo il 1945 quando ai concorsi parteciparono Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Sophia Loren (che si chiamava Sofia Scicolone), miss che diventarono attrici grazie alla simpatia, e ai matrimoni con produttori famosi, ad esempio Carlo Ponti e Dino De Laurentiis.
Cinecittà cessò le produzioni nel 1943. Mussolini, tornato in Italia da Berlino fondò la Repubblica di Salò che ebbe studi in varie città italiane del Nord, Milano e Torino, e anche a Livorno. Ma questi studi, svolsero una sporadica attività. A Venezia fu effettuato il tentativo più impegnativo con studi alla Giudecca e ai Giardini della Biennale. Pochi film, che circolarono molto poco. Il nome della iniziativa veneziana era Cinevillaggio, dove furono convogliati dai nazisti materiali sottratti a Cinecittà.
Il cinema italiano sopravviveva grazie ai bellissimi, melodrammatici, sentiti, appassionati film neorealisti, girati obbligatoriamente in esterni poiché Cinecittà si affollò di numerosi senza tetto, povera gente, famiglia rimaste sul lastrico per la povertà. Esistono immagini che mostrano la Cinecittà trasformata in una sorta di ridotta borgata. Erano gli anni di “Roma città aperta” di Roberto Rossellini (che come regista aveva iniziato a Cinecittà) e di pellicole semiclandestine che cercarono di raccontare una Italia ferita e addolorata per morti e dispersi sui fronti di guerra.
Dal 1947 al 1950. Il cinema italiano tornò lentamente a Cinecittà. Con “Cuore”, dal romanzo di De Amicis, protagonista Vittorio De Sica). Ma la scossa alla capitale del nostro cinema la diedero i finanziamenti americani. Blasetti girò “Fabiola” con divi di Hollywood. Il regista hollyoodiano King Vidor realizzò “Il principe delle volpi” con Orson Welles. Ma fu “Quo Vadis?” di Mervyn Le Roy, la produzione che fece parlare per imponenza e per costi di Hollywood sul Tevere.
Ai provini per far parte delle comparse si presentò la giovanissima Sofia Scicolone non ancora Sophia Loren. La giovane Sofia fu tra coloro che lanciarono una nuova moda, quella dei cineromanzi o dei fotoromanzi interpretati da esordienti o poco più, promossi dalla particine in film minori: le battute uscivano dalle loro bocche e finivano in fumetti. Il genere ebbe un grande successo. Una documentazione su questi tipo di pubblicazioni può rivelarsi di notevole curiosità. Oltre alle storie fumettistiche, le riviste erano colme di indiscrezioni e rivelazioni sugli amori di Cinecittà, nasceva il primo gossip.
La Hollywood sul Tevere durò quindici anni, 27 film di impegno produttivo rilevante, tra cui: “Vacanze romane”, “La contessa scalza”, “Guerra e pace”, ”Addio alle armi”, “Tre soldi nella fontana”, “Ben Hur” (nel 1958) e “Cleopatra” 1960). Tra i grandi attori, nomi entrati nella storia del cinema: Bob Taylor, Gregory Peck, Ava Gardner, Audrey Hepburn, Frank Sinatra, Kirk Douglas, Liz Taylor, Richard Buurton, Anita Ekberg (che grazie a Fellini diventò italiana). Numerosi anche i registi american dei kolossal piccoli medi e davvero kolossal, Robert Wise, Joseph Mankiewicz, William Wyler, Hathaway. Registi che hanno lavorato a Cinecittà, valorizzando i contributi creativi di tecnici e artigiani, creando uno studio di prestigio internazionale, diventandone “inquilini di Cinecittà”.
Anche i produttori e i registi italiani si cimentarono nel kolossal, con meno soldi ma con molte idee. Decine e decine di film per i quali venivano scritturati i primi “culturisti” del cinema come Steve Reeves che peraltro in America erano stati allenati da trainer di origine italiana. Film spassosi che si rivelarono a lungo un buon affare. Girati a Cinecittà, venivano venduti in tutto il mondo e spesso erano realizzati su scene dello stesso tipo, opportunamente modificate. Qualche titolo: “La guerra di Troia” , “Le schiave di Cartagine”, “Ercole e la principessa di Troia” , “L’assedio di Corinto”, “Gli amori di Ercole”. Vanno ricordati i film strappalacrime come “Catene”, “Tormento” del regista Raffaello Matarazzo, protagonista Nazzari Yvonne Sansone, che creò un nuovo filone popolarissimo, antesignano delle fiction attuali della tv. Questi film strappalacrime fecero da cuscinetto tra i film storici- mitologici e il western. Amori, passioni, tradimenti. Un filone decisivo in quegli anni per dare linfa a Cinecittà e al cinema.
Fermiamoci un momento. Dal racconto storico, emerge un fatto. Il cinema italiano non fu soltanto “autarchico”, come voleva il fascismo; era proiettato in Europa e nel dopoguerra in Europa e nel mondo. Seppe insomma uscire dai suoi problemi finanziari, e anche creativi, “portando” a Roma e a Cinecittà il meglio del cinema mondiale, consapevole che l’Italia da sola non ce la poteva fare, non ce l’avrebbe fatta. Ecco una nuova parte dell’“avventura” della casa di Fellini e di tanti altri autori, produttori, attori, considerata finora solo sul piano divistico e non come meriterebbe sul piano concreto delle scelte e delle realizzazioni. Si sentono sullo sfondo colpi di pistola, duelli, scene d’amore e di amicizia. Che scopriremo. Per capire meglio. Ci proveremo.
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