Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute: Recensione in Anteprima
Dany Boon e Kad Mérad ancora insieme per Supercondriaco. Dopo Giù al Nord una commedia sopra le righe su malati immaginari, rifugiati politici e tutto ciò che ci sta nel mezzo
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Supercondriaco, ossia colui che è affetto da una forma acuta di ipocondria. Tecnicamente inesatto, forse pure inelegante ma poco importa. L’idea è far passare il messaggio che esistono persone che non solo avvertono addosso ogni sintomo delle malattie più disparate, ma che per giunta diventano asfissianti. Provateci voi a vivere con una persona che teme il rituale scambio di baci a capodanno come fosse la peste, giudicando tale tradizione una forma di barbarie.
Dopo Giù al Nord, fenomeno talmente eclatante da essere importato anche dalle nostre parti, Dany Boon ci riprova cambiando spartito – di mezzo c’è Niente da dichiarare?. Al passaggio, però, molto si perde. Come mai? Il problema, come senz’altro si nota dalla descrizione didascalica del soggetto, non è certo nell’incipit; ché l’idea di un malato immaginario lascia spazio agli episodi più assurdi. No, probabilmente lo scoglio su cui si arena questa commedia francese che predilige lo scoppiettante grottesco al più sottile sarcasmo, sta nel non avergli imposto alcuna regola.
Sia chiaro, non c’è nulla di “compromettente” in Supercondriaco. Solo che a un certo punto ti ritrovi da un contesto ad un altro e nel frattempo non hai nemmeno riso come sarebbe lecito supporre. Sì, non manca qualche battuta o situazione interessante, espressione peraltro di una certa indole (come quando Dimitri, interpretato da Kad Mérad) se ne esce dicendo di essere un socialista non praticante; ma è poca roba se confrontata a come il tutto si trascina stancamente cercando di unire tasselli che si vuole far combaciare per forza.
Romain è un quarantenne scapolo e senza amici, costretto a questa radicale solitudine dalla sua pronunciata ipocondria. Il suo unico amico gli muore davanti a causa di un cocktail letale (ma tanto sarebbe morto comunque, dicono i medici), perciò non gli resta che ripiegare sull’unica persona che, forzatamente, gli è stata vicina per anni: il suo medico. Quest’ultimo cerca in tutti i modi di liberarsi del fastidiosissimo incomodo, ma più escogita soluzioni più il loro rapporto tende a cementificarsi. Anche questo uno spunto interessante, su cui però Boon si sofferma giusto quel po’ per dare l’idea della gabbia all’interno della quale è confinato Dimitri.
E dire che per una buona metà, senza infamia e senza lode, il film procede quantomeno su un binario accettabile; fa ridere? non fa ridere? Sapete com’è, nelle commedie è sempre un trionfare di soggettivismi e relativismi vari, e poiché la risata è una delle cose più spontanee che esistono preferiamo non intaccarne in alcun modo le dinamiche tentando chissà quale, ardita speculazione. Noi abbiamo sorriso poco, riso ancor meno. Non per via di chissà quale seriosità, né di qualsivoglia barriera linguistica, ché anche quando ci fossimo persi per strada qualche sfumatura il discorso cambia poco.
Sì perché ci pare difficile che esista lingua in grado di dar ragione del repentino cambio che avviene in Supercondriaco. Improvvisamente veniamo proiettati nell’ambito di una guerra politica nei balcani, dove il leader dei ribelli, approdato in Francia illegalmente, entra di peso in questa storia di finte emicranie, fobia di microbi e fraintendimenti psicosomatici. L’intenzione è evidentemente quella di premere l’acceleratore sul grottesco, virando sul nonsense spinto. Resta da chiedersi se tutto ciò funzioni, visto che, per definizione, senso non ne ha.
Non a parer nostro, perché la svolta avviene in un momento in cui il film ha già perso mordente da un bel po’ ed il cambio, lungi dal risollevare il contesto, lo affossa. Le facce di Boon sono divertenti, è vero, in lui c’è il comico che in qualche modo conosce i tempi e le misure. Ma basta tutto ciò a giustificare il proverbiale prezzo del biglietto? Propendiamo per una risposta negativa, perché l’esperimento proposto in un Supercondriaco, che poco o nulla ha di originale, altro non rappresenta che una reiterata divagazione che non fa nemmeno tanto fondo alla premessa di partenza, ossia un uomo che crede di essere malato quando invece non lo è. O per lo meno, batte su alcuni aspetti specifici, riproponendoli a oltranza, come l’abuso costante di amuchina o il terrore per certi tipi di contatto – visto che non si è capito perché da un lato abbia orrore di un innocente bacio sulla guancia mentre dall’altro non disdegni una doccia nudo con una perfetta sconosciuta purché le possa strofinare le ascelle. Ma poi, pensandoci, ci diciamo che anche questo fa parte del gioco.
Un gioco al quale ahinoi non riusciamo ad accedere, restando lì a guardare questi strani personaggi che si rimpallano battute non tanto incisive e che per giunta non di rado se le ripetono. Vi diciamo questa e poi chiudiamo. Ad un certo punto serve un nome per dei passaporti falsi: appena il contraffattore torna con il documento in mano, si scopre che il nome è scelto è Jean Valjean. Al che sorridi, perché effettivamente l’espediente, ancorché noto, ha sempre il suo fascino. Poi però, più avanti nel film, serve ancora un altro nome, e quando senti Cyrano de Bergerac neanche con tutta la buona volontà di questo mondo riesci a cascarci per la seconda volta.
Morale della favola: era doveroso aspettarsi di più da un comico che già con Niente da dichiarare? aveva fatto un passo indietro rispetto al film precedente. Senza evocare alcun paragone, basta rilevare che quel passo in avanti non c’è stato. Ma, cosa ben più importante, ammettere che Supercondriaco non brilli è dire poco.
Voto di Antonio: 4
Voto di Federico: 4.5
Voto di Gabriele: 4
Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute (Supercondriaque, Francia, 2014) di Dany Boon. Con Dany Boon, Kad Mérad, Alice Pol, Jean-Yves Berteloot, Judith El Zein, Marthe Villalonga, Valérie Bonneton e Bruno Lochet. Nelle nostre sale dal 13 marzo.