Supercondriaco – trailer italiano e intervista a Dani Boon
Supercondriaco: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sulla commedia che uscirà in Italia il 13 marzo 2014.
Aggiornamento di Pietro Ferraro
L’attore francese Dani Boon dopo le regie del campione d’incassi Giù al nord e il successivo Niente da dichiarare? torna dietro la macchina da presa con la commedia Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute.
Nel film Boon interpreta Romain, un quarantenne affetto da ipocondria, disturbo che sembra celare in realtà un’amplificata e cronicizzata paura di vivere e di innamorarsi, ma sarà il suo amico Dimitri (interpretato da Kad Merad), un medico sull’orlo di una crisi di nervi per l’assillante “malato immaginario”, a trovare una cura che va oltre farmaci e placebo, aiutando Romain a trovare l’anima gemella.
La sinossi del film:
All’alba dei 40 anni, Romain Faubert non è ancora sposato e non ha figli. Fotografo per un dizionario medico online, Romain è vittima di un’ipocondria che segna la sua vita ormai da troppo tempo, facendo di lui un nevrotico in preda alle paure. Il suo unico, vero amico è il dottor Dimitri Zvenka, suo medico curante, la cui unica colpa è stata prendere a cuore il caso di Romain, salvo poi pentirsene amaramente. Il malato immaginario, infatti, è un soggetto difficile da gestire e Dimitri farebbe qualsiasi cosa per sbarazzarsene definitivamente. Zvenka pensa, però, di aver trovato il rimedio che lo libererà definitivamente, ma senza traumi, da Romain Faubert: lo aiuterà a trovare la donna della sua vita. Per questo lo invita alle feste che organizza a casa, lo fa iscrivere a un sito internet di incontri, lo obbliga a fare sport, gli spiega come comportarsi con le donne e come conquistarle. Eppure, trovare la donna capace di sopportarlo e convincerlo, per amore, a dire addio all’ipocondria, si rivela alquanto difficile…
Se volete approfondire vi segnaliamo una recensione in anteprima del film e a seguire vi proponiamo un’intervista all’attore Dany Boon:
Partiamo proprio da lei. Un super-ipocondriaco! Perché il Supercondriaco, in realtà, è lei…
È vero. L’argomento dell’ipocondria mi tocca molto da vicino. Ormai sono una persona adulta, responsabile delle mie azioni e delle mie nevrosi, e devo ammettere di essere molto angosciato dalle malattie, come tanti altri artisti d’altronde. Mi basta percepire il minimo sintomo che mi convinco di essere gravissimo, o addirittura in stato terminale. Se ho la febbre a 38°5, mi sento praticamente in punto di morte! Per questo motivo, sento spesso il mio medico di base. Si chiama Roland, e lo vediamo spesso nel film. Ormai, dopo vent’anni, è diventato un amico. Conosco a memoria il numero di telefono del suo studio; ho anche quello di casa, perché so che tiene il telefono sul comodino anche di notte! Deve aver rimpianto parecchio di avermelo dato…
Oltre al medico generalista, ha consultato anche degli specialisti del settore?
Certo. Faccio spesso degli approfondimenti, magari in compagnia di amici e colleghi che hanno lo stesso problema. Da poco ho scoperto anche il cosiddetto body scan, una sorta di TAC, ma molto più avanzata, e l’ho già usata due volte. A dire la verità, l’ipocondria è una patologia molto più stressante per chi mi circonda, mia moglie o i miei figli ad esempio. Però è molto apprezzata dagli assicuratori! Sto sempre attento a non ammalarmi, e ho cambiato radicalmente il mio stile di vita: faccio tanto sport, scelgo con cura quello che mangio. È vero, quest’attenzione finisce per generare altre nevrosi, se solo penso ai miei genitori che cercavano sempre le cose meno care da mettere in tavola!
La storia del film ha a che fare con queste inquietudini? Possiamo dire che è un modo per esorcizzare la sua ipocondria?
Prima di tutto, merito dell’autoironia, questo film è diventato un modo per esorcizzare le mie manie, riuscendo a far ridere gli altri attraverso me stesso. Più una storia è sincera e personale, più la commedia sarà efficace e ci si potrà spingere oltre, esplorando il delirio e la follia. Come nel film, anche io apro le porte con i gomiti e mi lavo le mani se per caso ho digitato un codice su un apparecchio. E anch’io preferirei cadere dalle scale piuttosto che tenermi al corrimano.
L’idea di scrivere e realizzare Supercondriaco, in qualche modo, è nata durante le riprese di Un piano perfetto, ma all’inizio il progetto era diverso…
Sì, inizialmente il film doveva chiamarsi Une jolie ch’tite famille. Essendo un regista abbastanza atteso, osservato e criticato, ascolto volentieri i consigli di chi mi circonda e alcuni mi hanno fatto notare che, anche in questo caso, avrei fatto un film sul Nord. Amo la mia storia e adoro la mia regione, ma ho ascoltato tutti i commenti e, a poco a poco, ha preso forma Supercondriaco (che, comunque, avevo in mente già da un po’ di tempo).
Il film parla anche della tendenza, molto attuale, di curarsi attraverso Internet…
È vero, basta andare su Google e immediatamente si trovano migliaia di immagini e spiegazioni sulla malattia che pensiamo di avere. Sui forum si leggono storie e testimonianze drammatiche e terribili. Il mio carissimo amico medico di base mi ha detto che anche in ambito professionale, tra medici, oggi si parla molto dell’argomento. I medici si trovano sempre più spesso di fronte a pazienti che non arrivano più con dei sintomi, ma direttamente con la diagnosi!
Un aspetto molto interessante di Supercondriaco è che il film prende spunto dal tema dell’ipocondria, ma ne affronta subito altri, come quello dell’identità o del rapporto uomo-donna.
È vero, ecco perché il progetto ha avuto una genesi abbastanza lunga. In effetti, in sé, l’ipocondria non è un soggetto da commedia, perché genera idee e personaggi abbastanza negativi; si fa presto a metterla in scena. La mia idea era rappresentare come vive una persona ipocondriaca, attraverso quello che hanno vissuto, ad esempio, mia moglie o, prima di lei, mia madre. Volevo mettere in scena le difficoltà umane e sociali che incontra una persona malata come Romain che, in più, fa anche il fotografo per un dizionario medico. In fondo, credo che l’ipocondria sia un fenomeno abbastanza borghese perché, per soffrirne, devi avere il tempo e soprattutto i soldi. Insomma, volevo vedere come un uomo ipocondriaco può riuscire a trovare l’amore, malgrado la propria nevrosi. Ed è a questo punto che entra in gioco il personaggio di Kad. Romain pensa (a torto) che sia il suo migliore amico ma Dimitri, in realtà, sta tentando di trovargli una donna per farlo stare meglio e sbarazzarsi al più presto di lui. In questo senso, è un film sulla malattia ma, al tempo stesso, anche sulla seduzione e sull’immagine che gli uomini danno di se stessi alle donne. Quando Romain si cala nel ruolo di Anton Miroslav, gioca chiaramente sulle apparenze, come facciamo in fondo noi tutti, al lavoro o sotto le lenzuola, soprattutto all’inizio di una relazione. A partire da quel momento, complice la storia della rivoluzione in Tcherkistan, Romain riesce a passare per eroe e questo lo aiuta ad affermarsi nella vita reale. Così facendo, riuscirà a cambiare anche la vita di Anna, annoiata dalla routine di coppia e dalla vita quotidiana. Anna sarà vittima dello charme di questo “eroe” che le ricorda molto le sue origini, la sua identità slava.
Giocare su questi molteplici registri e sulle tinte un po’ più fosche è un richiamo ai suoi spettacoli. Mi sembra che questo tipo di orientamento sia sempre più marcato nei suoi film…
Sì, Supercondriaco è chiaramente più vicino al mio universo di quanto non lo siano i film precedenti. La prima spiegazione è che non sono più in scena da tanto tempo e che non ci tornerò prima della fine del 2016, inizio 2017. Mi dispiace molto, ma è un male necessario! Quando ho fatto La maison du bonheur, Giù al Nord o Niente da dichiarare? recitavo ancora, ma stavolta no, e sono arrivato sul set con una specie di frustrazione. E questa frustrazione si è trasformata in desiderio di far ridere! Credo, quindi, di essere stato più creativo e fantasioso del solito. A volte ho cambiato delle cose durante le riprese, come la scena tra me e Alice, quando lei vuole parlarmi solo in tcherkistano. La notte prima delle riprese mi è venuta l’idea dei nomi delle verdure e ho svegliato lo scenografo per fargli fare un libretto con le immagini e le traduzioni. Questo ha portato a una sceneggiatura sempre più lunga; alla fine abbiamo girato anche cose che non abbiamo tenuto nella versione finale!
Per quanto riguarda la struttura del film, ci sono scene di pura commedia, genere ormai a lei particolarmente congeniale, ma anche scene romantiche o d’azione, generi in cui il pubblico non è abituato a vederla recitare. Anche in questi casi, comunque, il risultato è estremamente riuscito…
Lo prendo come un complimento, perché Supercondriaco è il mio film da regista senz’altro più riuscito. Potrei dire che anche per me è arrivato il famoso momento del “film della maturità”! Volevo riuscire a trascinare il protagonista in situazioni che lo obbligano a trasformarsi. Questa trasformazione implica esplorare generi cinematografici diversi. Non è stata un’operazione facile. Ci sono voluti mesi per cercare la motivazione che spinge Miroslav a tornare nel suo paese d’origine per salvare Romain, e già dovevo immaginare un incontro credibile tra i due. Per le sequenze più spettacolari, abbiamo lavorato molto a monte, a livello di sceneggiatura. Nella sequenza dell’attacco della prigione, ad esempio, dovevamo stare attenti a non inquadrare la porta sotto la parete da scalare! Tutte le riprese fatte in Ungheria hanno richiesto mesi e mesi di ricerche anche a livello di casting, perché volevo delle “facce slave”…
E le scene d’azione? Le sono piaciute?
Sì, moltissimo. La scena della prigione è stata girata in due notti, all’interno di un vecchio rifugio anti-atomico costruito in epoca sovietica in una zona di Budapest, un’incredibile città nella città, fatta esclusivamente di fabbriche attive 24 ore su 24! Devo assolutamente rendere omaggio al lavoro che Romain Winding ha fatto sulle luci. Lo avevo già apprezzato moltissimo in Les adieux à la reine di Benoit Jacquot, e anche in questo caso ha fatto un lavoro davvero straordinario.
L’idea che il film possa sorprendere positivamente anche chi, in genere, si dimostra critico nei suoi confronti, fa parte dell’eccitazione legata al progetto?
Sinceramente, non è la motivazione principale. Ho fatto questo film prima di tutto per il pubblico. Meglio ancora se è un film riuscito. Francamente, non ho mai dubitato delle mie abilità di regista, perché i miei film hanno sempre raccolto consensi e non è stato merito della fortuna o del caso. Fare un film presuppone tanti elementi aleatori, ai quali si aggiunge, certamente, il valore dell’esperienza. Finito il film, lo proietto davanti a un vero pubblico, e mi nascondo in sala. In base a come reagisce il pubblico, mi rimetto al lavoro sul montaggio per migliorare il risultato. È una deformazione professionale del mio essere attore.
Visto che parliamo di pubblico, la scommessa legata a questo progetto era non deludere le attese dell’incontro con Kad Merad sul grande schermo…
Certamente! Posso dire che è stato un magnifico ritorno. Avevo dimenticato quanto potesse essere bello recitare con Kad e quanto andiamo d’accordo. Kad è un attore straordinario; mi piace molto dirigerlo, ma anche torturarlo un po’. Fin dalle prime scene che abbiamo girato, ho sentito quella grande complicità che ci lega e che il pubblico percepisce. Per non correre il rischio di ripetersi, dovevamo ispirarci a personaggi ben definiti, perché la nostra intesa funzionasse bene anche sul grande schermo. Dimitri corrisponde esattamente a Kad nella vita. La stessa cosa vale per Judith El Zein (Norah è sua moglie, nel film), una donna che apprezzo moltissimo, perfetta in questo film. La loro coppia funziona alla grande! Come attrice, Judith riesce a instillare il dubbio sull’omosessualità della relazione tra Dimitri e Romain.
Altro elemento essenziale del casting: Alice Pol. Alice interpreta Anna, la sorella di Dimitri, che si innamora di Romain, pensando che, in realtà, Romain sia Anton Miroslav, un rivoluzionario in fuga…
Mi hanno detto che la storia d’amore tra Anna e Romain funziona alla grande, è credibile. Le scene che avevo scritto e che sembravano perfette sul copione, in realtà poi funzionano benissimo anche sul grande schermo grazie alla comicità innescata da Alice Pol. Ha un’incredibile capacità di far ridere, con questa sua allure un po’ maldestra anche nella vita reale! Sono felicissimo di aver incontrato un’attrice talentuosa come lei perché la difficoltà del film sta nel fatto che, a un certo punto la nostra coppia passa in primo piano rispetto al duo Kad-Romain, quindi anche lei doveva essere all’altezza. Se parliamo, poi, del personaggio di Anton Miroslav, allora devo spendere qualche parola su Jean-Yves Berteloot, che all’inizio temeva la deriva caricaturale che avrebbero potuto prendere le cose. Ha lavorato moltissimo, soprattutto sull’accento di Miroslav, con una donna ucraina. Il risultato è straordinario: è riuscito a dare al personaggio ancora più spessore. In più ci assomigliamo molto: siamo nati a pochi chilometri l’uno dall’altro e presto farò delle ricerche genetiche in famiglia!
Tutti i suoi attori, dal protagonista alla comparsa, insistono sull’attenzione e la premura con cui li ha trattati…
Questa è una cosa fondamentale. Detesto vedere personaggi secondari o minori essere trattati male o restare in disparte: è impensabile per me! Ecco perché detesto il concetto di attore “spalla” al cinema.
Per finire, Dany, ogni suo film (per colpa o grazie al successo di quello precedente) è sempre molto atteso. Vale anche per Supercondriaco. Questo le mette un po’ di ansia?
Parto dal principio che ogni film ha il successo che merita. Anche questo, quindi, farà il suo corso. La pressione di cui lei parla, la conosco già da Giù al Nord, ma non per questo non mi sento libero e felice del lavoro che faccio. Il mio obiettivo è far ridere le persone e divertire il mio pubblico. E lo dico sinceramente, perché non ho bisogno di lavorare. Lo faccio perché ne ho voglia, non perché ne abbia bisogno. Il mestiere che faccio mi ha sempre appassionato, indipendentemente dalla portata del progetto. Avere a che fare con grossa produzione o con uno staff di 250 persone non cambia niente. La critica e i critici vengono dopo. Rispetto il loro mestiere e la loro opinione, tranne quando parlano di cose più personali o di soldi. In quel caso, le critiche non hanno ragione di esistere e,
forse, non hanno neanche importanza. Posso ascoltare tutto quello che volete sui miei film, significa che quantomeno c’è interesse, ma la cosa più importante è e sarà sempre il rapporto con il pubblico.
Supercondriaco – Dani Boon torna nei cinema d’Italia – sinossi, trailer e locandina
6 anni dopo lo storico boom di Giù al Nord, film che è poi diventato remake con Benvenuti al Sud, e 3 anni dopo il decisamente meno esaltante Niente da dichiarare?, Dani Boon torna nei cinema d’Italia con la sua quinta regia, Supercondriaco – Ridere fa bene alla Salute.
In uscita il prossimo 26 febbraio nelle sale francesi, la pellicola diverrà realtà anche in quelle italiane meno di un mese dopo, il 13 marzo, quando sarà la Eagle Pictures a portarla nel nostro Paese. In attesa di poter ammirare il trailer in italiano, ecco arrivare poster tricolore e sinossi ufficiale, per un film che riunirà Boon, qui ovviamente anche attore, con Kad Merad, protagonista di Giù al Nord. La trama?
All’alba dei 40 anni, Romain Faubert non è ancora sposato e non ha figli. Fotografo per un dizionario medico online, Romain è vittima di un’ipocondria che segna la sua vita ormai da troppo tempo, facendo di lui un nevrotico in preda alle paure. Il suo unico, vero amico è il dottor Dimitri Zvenka, suo medico curante, la cui unica colpa è stata prendere a cuore il caso di Romain, salvo poi pentirsene amaramente. Il malato immaginario, infatti, è un soggetto difficile da gestire e Dimitri farebbe qualsiasi cosa per sbarazzarsene definitivamente. Zvenka pensa, però, di aver trovato il rimedio che lo libererà definitivamente, ma senza traumi, da Romain Faubert: lo aiuterà a trovare la donna della sua vita.
“Questo film è diventato un modo per esorcizzare le mie manie, riuscendo a far ridere gli altri attraverso me stesso. Il mio film da regista senz’altro più riuscito”.
Queste le parole di Boon, qui anche sceneggiatore, con Alice Pol, Jean-Yves Berteloot e Judith El Zein a completare il cast. Giù al Nord, non dimentichiamolo, ha ottenuto in patria un successo inimmaginabile, ottenendo il record d’incassi per quanto riguarda un film francese e piazzandosi al secondo posto dei film più visti di sempre dopo Titanic con 20.329.376 spettatori (praticamente un francese su 3) e 193,764,365 dollari d’incasso. Tutt’altra storia nel 2011 con Niente da Dichiarare?, in calo rispetto ai numeri monster del precedente titolo ma comunque più che soddisfatto, visti i 74,563,018 dollari portati a casa. Riuscirà Supercondriaco a fare di meglio?