Virzì: “Grillo non mi faceva ridere nemmeno da comico, ora mi fa solo rabbia”
Il 9 gennaio esce nei cinema Il capitale umano, nuovo ritratto di un Italia avida e arida, diretto dal regista di Ovosodo e La prima cosa bella.
Come sempre Paolo Virzì non le manda a dire: schietto livornese, toscanaccio purosangue, il regista ha approfondito, in una recente intervista a La Repubblica, lo stretto legame tra l’Italia contemporanea, quella che verrà ricordata come l’Italia della Crisi e il suo ultimo film, Il capitale umano (leggi la nostra recensione), tratto dall’omonimo romanzo di Amidon ma trasferito dal Connecticut in una Brianza amorale e senza scrupoli.
Il film inizia con un corpo riverso in mezzo a una strada di provincia, investito da un pirata: la famiglia verrà risarcita con oltre 200 mila euro, cifra calcolata attraverso un algoritmo. Ed ecco spiegato il titolo Il capitale umano, mare burrascoso dove arrancano l’immobiliarsita fallito Fabrizio Bentivoglio e lo squalo della finanza Fabrizio Gifuni, rispettivamente accompagnati dalle infelici mogli Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi:
“Il romanzo mi aveva molto turbato, perché quel dominio ansioso e cieco attorno al denaro non ha più confini, perché c’era già scritto tutto, un thriller dell’opulenza che genera povertà e infelicità ovunque e rende impenetrabili due mondi, quello dei super ricchi e quello dei dimenticati.”
Virzì il livornese stavolta è espatriato e la scelta della ricca Brianza non è stata casuale:
“L’ho scelta perché è vicina a Milano, dove c’è la Borsa, dove ogni giorno si creano e distruggono patrimoni: poi perché cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarma, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso. Mi interessavano due scenari, quello dell’hinterland con i grumi di villette pretenziosi dove si celano illusioni e delusioni sociali e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose dai cancelli invalicabili. Ho girato nella campagna di Osnago, nel centro storico di Varese, di Como, città ricchissima che esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro chiuso e in rovina, il Politeama. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro. La bella villa con piscina e i sontuosi interni, dove vive la famiglia opulenta di Gifuni, l’ho presa in affitto ad Arese, e l’ho pagata profumatamente: ci ho aggiunto solo il tennis.”
Non se la prendano i brianzoli, Virzì è un regista a modo suo politico e la scelta della Brianza sembra anche legata al nome di un suo illustre residente che viene citato solo a latere:
“Mi pare che gli italiani abbiano pochissimo senso civico e che la nostra borghesia sia molto egoista e carente verso i bisogni degli altri. Del resto siamo un paese plasmato dal berlusconismo, dagli ostentatori che rendono volgare la ricchezza e lo spreco, che fa dei truffatori dei martiri ed eroi.”
Se Berlusconi, come prevedibile, non viene risparmiato, anche Beppe Grillo subisce gli attacchi del regista:
“Grillo non mi ha mai fatto ridere neanche quando faceva solo il comico e adesso mi fa rabbia perché approfitta delle frustrazioni, del senso di abbandono, della credulità di tanta gente: per la quale invece ho molta simpatia umana, anche perché alcuni personaggi di altri miei film erano grillini in pectore, innocenti e incattiviti. In un film non ci si dovrebbe accontentare di sfotterlo, bisognerebbe capire dove ci trascineranno queste nuove figure di messia del vaffanculo.”
E dopo l’attacco alla classe dirigente del Paese (o perlomeno a una sua parte), Virzì approfondisce la psicologia dietro ai suoi personaggi, tutti colpevoli, tranne forse i giovani, plasmati da genitori senza ormai più ideali tranne quello del successo (o della sopravvivenza, che è ben diverso) economico:
“Valeria Bruni Tedeschi è una di quelle mogli avvilite dalla loro inutilità, amate purché si accontentino della ricchezza, abbiano solo desideri materiali e innocui, non pretendano di condividere i pensieri del maschio. Valeria Golino è la compagna dell’immobiliarista pasticcione, è una psicologa che si occupa di perdenti, portata all’accudimento dei ragazzi balordi e anche di quel cialtrone che le vive accanto. I ragazzi ancora minorenni, abbandonati a se stessi anche se schiacciati dalle ambizioni dei gentiori, vivono una personale tragedia che è il fulcro del thriller.”
Esagerazione o vero ritratto del paese? Troppo facile demonizzare una certa classe sociale imprenditoriale o giusta critica nei confronti di un italiano medio moralmente rimpicciolito e socialmente inesistente? Facile demagogia di un regista “schierato” o inquietante verità? A voi, la sentenza.