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Tinto Brass: “Il cul0 è lo specchio dell’anima”

Tinto Brass si racconta fugacemente ai microfoni de ilgiornaleOFF, soffermandosi sulle tematiche a lui più care così come sugli inizi della propria carriera. Con in più uno sguardo sul suo immediato futuro da marito, per la seconda volta

pubblicato 26 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:56

Di certo non una confessione, dato che Tinto Brass non si è mai nascosto né ha mai nascosto le proprie predilezioni. Dal cinema cosiddetto politico alle pellicole che lo hanno reso noto presso il grande pubblico, ossia quelle a sfondo erotico. Ma il regista dà una risposta anche a questa impropria ripartizione, e lo fa ai microfoni de ilgiornaleOFF, attraverso un’intervista che potete comodamente trovare a questo indirizzo.

Di cosa si è parlato? Del suo approccio al mezzo, naturalmente, ma anche dei suoi inizi, con quel suo film del 1968, L’urlo, che giudica tutt’ora il suo preferito, quando afferma secco «quello è il film che io ammiro e apprezzo di più». Chiaramente, però, non si limita tutto ad una mera evocazione dei tempi che furono. Tra un «l’erotismo sta alla pornografia come la fellatio sta al pompino: è solo una questione semantica», ed un «il culo è lo specchio dell’anima», Tinto Brass traccia alcune delle linee fondamentali del proprio cinema.

Vilipeso, bistrattato, a tratti pure osteggiato, ma senz’altro guardato, più e più e volte. Non manca in tal senso la frecciata al nostro Paese: «solo in Italia mi snobbano come autore. In Francia i critici mi amano da sempre. Ma anche in Spagna». Eppure, in un modo o nell’altro, film come La chiave (che sancisce l’inizio del cosiddetto periodo erotico), Miranda, Paprika, Così fa tutte ma anche Monella, trattasi di pellicole che di certo non sono passate inosservate. Film riguardo ai quali certa critica nostrana non si è mai mostrata affatto tenera: la stessa che da un lato si faceva scudo del celebre «vietato vietare», emblema di un’ideologia che di critici, scrittori e giornalisti ne ha sfornati a bizzeffe (e tutti in posti chiave), mentre dall’altro sembrava risentire di un certo moralismo di rimando. Novelli catari, l’eresia si mosse dal sacro al profano: eccessivamente straripante il compiacimento di Brass per tette e culi, tanto da oscurare tutto il resto (sempre che ce ne fosse, di resto). Questo si diceva, e forse si dice ancora.

Eppure forse non tutti sanno che il regista milanese rischiò seriamente di dirigere Arancia Meccanica per conto della Paramount, con la quale pare si intrattenne per una settimana in quel di Hollywood; all’epoca preferì girare prima L’urlo, garantendo di occuparsi della trasposizione del romanzo di Anthony Burgess subito dopo. Ci penso Kubrick a dirimere la questione.

In chiusura, prima di congedarsi, lascia l’intervistatore con una battuta-diagnosi, magari neanche tanto involontaria. Lo fa alludendo ad una presunta “riabilitazione” da parte del pubblico più giovane, riguardo al quale Tinto Brass dice: «i giovani vedono i miei film, li apprezzano e vi si riconoscono totalmente». Sarà vero?