28 ottobre 1922: la marcia su Roma, i film sulla genesi della dittatura fascista
Dai film di regime degli anni ’30 a “La marcia su Roma di Dino” Risi, fino a Vincere di Marco Bellocchio.
28 ottobre 1922: data ormai priva di significato per molti giovani, ma simbolicamente foriera di tante tragedie per la Nazione italiana. 91 anni fa si consumava la “Marcia su Roma” la manifestazione armata che vide confluire sulla Capitale decine di migliaia di camicie nere, gli attivisti paramilitari al servizio di Benito Mussolini e dei suoi “quadriumviri” Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo. Appropriandoci per un attimo del titolo di una famosa opera di Friedrich Nietzsche potremmo individuare in quella data “la nascita della tragedia”: vent’anni di dittatura, una guerra catastrofica, un paese lacerato che tuttora porta nella sua memoria i visibili segni di una scissione mai ricomposta (un anno fa erano a migliaia, a Predappio, a celebrare il novantennale).
Tralasciando, non è la sede, ulteriori cenni storici, occupiamoci di cinema: se la caduta del fascismo ha da sempre ispirato i cineasti italiani, specialmente per i fatti connessi alla Guerra di Liberazione e alla Resistenza, la genesi della dittatura non ha mai trovato ampi spazi. Nel 1935, all’apogeo della carriera politica mussoliniana, venne girato Vecchia guardia, diretto da Alessandro Blasetti, uno dei padri fondatori del cinema italiano e all’epoca uno dei registi prediletti dal regime. Una pellicola apologetica, in cui si esalta la violenza squadrista e la “missione” civilizzatrice del fascismo. Un documento di inestimabile valore storico.
Nell’atmosfera ben più gioiosa e ottimista del Boom economico, fu Dino Risi, a quarantanni di distanza dai fatti del ’22 a rievocare gli spettri del passato, ma con il suo solito stile dissacrante e tragicomico. Ne nacque La marcia su Roma, con protagonisti Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi (senza dimenticare l’imponente Mario Brega): il primo è un reduce della Grande Guerra senza un soldo, ambizioni o prospettive, senza quella di tirare a campare. Il secondo è un suo ex camerata, contadino cattolico di idee vagamente marxiste che si lascia abbindolare dai propositi rivoluzionari del Partito Fascista. Finirà in farsa, ma sotto la patina di comicità gli spunti di riflessione sono molteplici e Risi mette in luce la natura di una parte dei protagonisti del fascismo: violenti, perdigiorno, sbandati d’ogni tipo, fanatici.
Anche il Maestro Federico Fellini, ambientò il suo capolavoro Amarcord nella Rimini “fascistissima” della sua infanzia. siamo nel 1932 e il Duce guida il paese da ormai dieci anni. Il partito è ovunque e ogni minimo dissenso viene ancora stroncato a forza di olio di ricino e bastonate. Memorabile la sequenza della parata, che vi riproponiamo, descritta da Fellini con la sua consueta mano “circense” e in cui attempati fenomeni da baraccone si esibiscono in virili prodezze, celebrando i Natali di Roma…
Nel 1976 uscì Novecento, altra magnifica opera del nostro cinema, diretta dal parmigiano Bernardo Bertolucci. Uno spaccato di storia italiana, della “Bassa”, dall’inizio del XX secolo fino al dopoguerra. Robert De Niro, Gerard Depardieu, Burt Lancaster e Donald Sutherland: quest’ultimo è il fascista Attila, impersonificazione del Fascismo. Violento, cinico, spietato, asservito ai potenti: l’arrivo delle violenze squadriste e della dittatura sono viste da Bertolucci coma la calata di un’orda barbarica. Di seguito la truculenta sequenza di Attila che insegna ai suoi “come si combatte il comunismo”.
Chiudiamo con una pellicola relativamente recente: Vincere, diretta nel 2009 da Marco Bellocchio e interpretata da Filippo Timi, che veste i panni di un giovane Mussolini, ben prima che diventasse il Duce. Il regista affronta coraggiosamente il tema del Mussolini privato, giovane rivoluzionario socialista nell’Italia di inizio ‘900, ma il connubio tra storia reale e trama, in cui vediamo il futuro Duce conquistare e poi abbandonare la giovane Ida (Giovanna Mezzogiorno), divenuta uno scomodo ostacolo alla sua Ascesa politica, non convince fino in fondo. Psicoanalitico, profondo, ma riuscito a metà.