Va a cominciare il Roma Film Festival 2013: sarà qui o non sarà la Festa?
Torna impetuosa la parola “Festa” a Roma per continuare e distinguersi, è un destino? L’ombra lontana di Walt Disney.
Il primo fu Walt Disney a creare a Orlando, Usa, un parco in cui fare spettacolo e intrattenimento del cinema; e lo ha esportato nel mondo, a cominciare da Parigi. Lo ha fatto, anzi lo hanno fatto coloro che sono subentrati nella azienda disneyana per mantenerla all’altezza dei tempi, cioè della sempre più forte esigenza di quadrare i conti, e dare un profitto ai soci investitori.
Nel caso del Roma Film Festival che sta per cominciare (8 novembre) il direttore Marco Muller, a cui non mancano certo le risorse tattiche e le idee, si tratta di rilanciare la sua attuale creatura non nella direzione di un parco del cinema ma in direzione di un adeguamento di atmosfere, di obiettivo, di caratteristiche del suo festival da sempre con il nodo alla gola delle risorse da trovare. Muller ha usato una vecchia parola, una bandiera già sventolata agli inizi del Roma Film Festival: la parola Festa. Cara in passato a Walter Veltroni e ai suoi collaboratori. Ovvero, una Festa del cinema con scolaresche sciamanti nei viali e nelle sale dell’Auditorium, con appuntamenti ricreativi, giochi e fantasie.
Però. Lo stile di questo tipo di Festa non aveva e non ha nulla da spartire con la concezione e la messa in scena del grande creatore dei cartoni più famosi della storia del cinema. Non una Città dei Balocchi (cara a Topolino & C) bensì una kermesse tesa a celebrare il cinema tutto intero, con un occhio a quello tipico italiano da molti anni a questa parte: il cinema di impegno, sociale, ben intenzionato, possibilmente divertente, con i contenuti da accettare a scatola chiusa.
Insomma, qualcosa di simile, un colpo al cerchio e un colpo alla botte, ai molti festival che costellano l’anno, di preferenza l’estate, di incontri su temi: dal cinema alla musica, dalla filosofia all’amore, dal disagio dei giovani alla nostalgia del cinema prima del grande viale del tramonto in cui si è incamminate sulla spinta della sua trasformazione che ne sta intaccando la tradizione. Genitori e figli. Muller non è uomo per questa pasta di festival. Lo ha dimostrato alla direzione di Venezia. Il Palazzo del Cinema, e le sale disponibili del Lido, trasudavano cinefilia vagamente temperata da prime e anteprime con la grancassa per produzioni prestigiose, costose, dalle intenzioni molto alte ma talvolta dai risultati dimenticabili.
Muller apriva tutte le braccia che ha (tante, come quelle di Buddha) e serviva in tavola piatti di lusso a piatti scaldati, senza spiegazioni, senza complessi generici e generali. Voleva conquistare, sedurre tutti e avere la conferma del suo lavoro principale da quando è nato: fare il direttore, e farlo con successo; come gli è capitato.
Adesso ci prova con la Festa. Di che tipo sia, lo si potrà capire nella realtà del programma a cui ha lavorato. Sicuramente non vorrà rifare col cinema una Festa dell’Unità. Adesso che alle spalle non ha la Polverini o Alemanno, rispettivamente governatore del Lazio e sindaco di Roma, ha il “dovere” di modificare traiettorie e inventare un abito più adatto ai nuovi capi (finanziatori) del Roma Film Festival. Sarebbe sbagliato però giudicare la scelta di Muller come dettata solo dalla convenienza. Il fatto sostanziale è un altro: il solito. I Festival “vanno”, sopravvivono, ma non sanno bene dove andare. Copiano l’uno dall’altro, anche se si fanno la guerra e pratica smorfiose forme di seduzione per attrarre film e personaggi. In Italia, i soldi scarseggiano e le pretese dei politici sono difficili da interpretare e da accontentare.
Domanda finale: e se invece della Festa, ad un certo punto ci troveremo di fronte una sorta di Luna Park per grandi e piccini? Al Parco dei trucchi e degli incanti. Il film “donna cannone”. Il film “l’uomo più piccolo del mondo”. Il film “la bajadera e i suoi boys”. Vedremo, senza preconcetti.
La posta in gioco è seria. Si chiama futuro del cinema.