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Diana – La storia segreta di Lady D: Recensione in Anteprima

Naomi Watts nei panni di Lady D nel biopic sull’amata principessa del Galles. Diana – La storia segreta di Lady D ci racconta gli ultimi due anni di vita Diana Spencer

pubblicato 2 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 09:01

Sedici anni da quella notte di Agosto, quando Diana Spencer perse la vita in quel tragico incidente. Un episodio su cui si è detto e scritto tanto, tra versione ufficiale e versioni ufficiose. Ma Diana, il film, non indaga su nessuna di queste. O per lo meno, non nei termini in cui si tende a spiegare cosa avvenne realmente quel 31 Agosto a Parigi. Il film di Oliver Hirschbiegel si focalizza su ben altro, cercando a suo modo di mostrare cosa avvenne nel corso dei due anni che precedettero la morte della principessa del Galles.

Una parabola che, stando a quanto apprendiamo, è possibile interpretare essenzialmente alla luce della turbolenta storia d’amore tra Diana ed un medico di origini pakistane, Hasnat Khan. Una chiave forte, questa, che sposta per intero l’ago della bilancia sulla love story tormentata, impossibile. Quella tra un comune, per quanto dotato cardiochirurgo e colei che all’epoca era la donna più famosa al mondo. Toni da tragedia che si possono scorgere sin quasi dall’inizio, per un film che quasi inevitabilmente si apre e si chiude su quegli istanti che precedettero l’incidente mortale.

Ma quando di mezzo c’è una personalità storica di un certo rilievo, checché se ne dica, la materia da plasmare è tutt’altro che duttile. Anzi, si irrigidisce, quasi a non voler sopportare che le si conferisca una forma armoniosa, tale da restituire un senso a quella massa informe che è in principio. Il materiale al quale alludiamo qui non è tanto la figura di colei alla quale, ad un certo punto, ci si cominciò a riferire con un semplice Lady D, bensì al suo travaglio interiore. Quel malessere interno che, sempre stando al film, è agevole leggere come una sorta di compensazione per una missione non corrisposta. Una vocazione, se così possiamo chiamarla, dinanzi alla quale la bella principessa pare essersi sempre sentita a disagio, inadeguata. Matura così il desiderio di un altro titolo, tutt’altro che nobiliare ma non meno nobile, ossia quello di «Regina nei cuori della gente». Non solo dei sudditi britannici, ma di tutto il globo.

Potremmo partire da qui, da questa idealizzazione forzata e ahinoi telefonata della figura di Diana. Una che a Rimini commuove un cieco al quale la vista non ritorna, ma in lacrime solo per aver potuto sfiorare il volto della donna che le si avvicina con misericordia; che in viaggio in Bosnia si ferma in mezzo alla strada per avvicinarsi ad una madre che prega con evidente dolore sulla lapide del figlio, salvo poi alzarsi di scatto dinanzi a quella visione che con incedere lento le si avvicina, e lì l’abbraccio, preceduto da uno sguardo intenso. In nuce, sta principalmente qui il vizio di questo film. Nel volerci restituire l’immagine iconica di una santa laica, le cui dinamiche non differiscono da quelle di ben altro tipo di santità. E, a questo, voler accostare la normalità dell’esistenza di questa donna, per non dire la sua ingenua ordinarietà.

Certo, dovunque va tutti la guardano e mormorano, ma l’unico che fa finta di nulla è Hasnat, che al primo appuntamento ordina un hamburger ed impreca ai danni della sua squadra che sta perdendo contro Liverpool alla televisione. L’intento palese è quello di voler in qualche modo far luce sul personaggio pubblico di Diana attraverso la lente della sua vita privata, fatta chiaramente di piccole cose, come la passione per le serie TV tipo EastEnders, o le comprensibili fragilità di una donna che le pressioni le avvertiva tutte ed in sommo grado. Anche su questo fronte la pellicola tende non di rado a scadere nella banalità, con righe di dialogo scriptate, prese di peso da un libro di aforismi ed appiccicate a certi episodi – ironia della sorte, il film si chiude con un’aforisma.

Nulla può la bella Naomi Watts, il cui unico difetto sembra quello di aver assecondato a pieno una sceneggiatura tutt’altro che incisiva, in quel suo disperato tentativo di conciliare romanticismo e fatti storici senza riuscire pressoché in nessun caso in nessuno dei due aspetti. Perché qui non si tratta semplicemente di giudicare l’attendibilità di quanto viene riportato; l’aderenza ai fatti, che peraltro non ci interessa nemmeno mettere in discussione, viene dopo. I reali limiti di Diana sono da ricercare nelle modalità attraverso cui viene filtrata una storia complessa, somministrata servendosi di misure a tratti troppo ingenue, di quell’ingenuità pedante, che in alcuni frangenti fa della sua protagonista una teenager alle prese con la prima cotta. Le innegabili differenze tra le due condizioni, quella di Diana e quella di Hasnat, vengono proposte in maniera a dir poco claudicante, quasi schizofrenica: estemporaneamente rievocate (per non dire sbattute in faccia) allorquando le cose sembrano mettersi male, gestite in maniera incerta quando invece non se ne fa menzione ed è proprio lì che andrebbero “mostrate” prima ancora che “sottolineate”. Non ci si prende nemmeno la briga di suggerirle certe cose, come sarebbe opportuno, sebbene la vicenda sia nota a molti.

In ultima istanza, il film dura oggettivamente più del dovuto. Chiunque sa che la durata di un film è relativa, ma per un contesto di questo tipo l’ora e mezza sarebbe stata più che sufficiente. Invece si sfiorano le due ore, con la vicenda che ad un certo punto tende a trascinarsi, tra un tira e molla che nessuno mette in dubbio in termini di coerenza a quanto a realmente accaduto, ma che sullo schermo sfianca, o per lo meno tende pericolosamente ad annacquare ancora di più una storia fino a quel punto sempre in bilico. L’idea che deve a tutti i costi passare è che non si può spiegare la Diana Spencer pubblica se non alla luce di questa sua liaison, che rivede completamente la chiacchieratissima relazione con Dodi Al-Fayed; quest’ultimo, a conti fatti, strumento per una sorta di ripicca amorosa e nulla più. Affari da cronaca rosa, nulla a che vedere con quanto ci compete.

Limitatamente a quanto attiene alla nostra breve disamina, non ci resta che prendere atto di una pellicola estremamente debole. A cavallo tra dramma e romanticismo, commistione le cui sfumature sono sempre o troppo marcate o non abbastanza. In certi casi non ci sono ricette prestabilite e le dosi vanno sapute ponderare con cura, obiettivo che Jeffreys ed Hirschbiegel sono ben lontani dall’avere raggiunto. Ma in fondo la distonia di Diana – La storia segreta di Lady D si può beffardamente sintetizzare in ciò per cui sembra ostinatamente adoperarsi lungo tutto l’arco del film, ossia una velata nonché tarda critica a certo tradizionalismo, proposta nella maniera più “tradizionalista” che ci sia.

Voto di Antonio: 4
Voto di Federico: 3

Diana – La storia segreta di Lady D (Diana, UK, 2013) di Oliver Hirschbiegel. Con Naomi Watts, Douglas Hodge, Geraldine James, Charles Edwards, Cas Anvar, Juliet Stevenson e Naveen Andrews. Nelle nostre sale da domani, giovedì 3 Ottobre.