Barbera: “Poca qualità nel cinema italiano.”
Sulla vittoria di Sacro GRA: “Basta polemiche. Se un Presidente di giuria italiano non premia L’italia succede l’ira di dio sulla stampa.”
Il Leone d’Oro a Sacro GRA non poteva essere immune da polemiche. Ma non perché l’opera di Gianfranco Rosi non abbia meritato la vittoria, ma semplicemente perché ogni Festival che si rispetti deve essere accompagnato da rimpianti, ripensamenti, rimbrotti e recriminazioni. Alberto Barbera è soddisfatto, o perlomeno così dichiara alla stampa e mette l’accento sull’assoluta concordia che ha regnato in giuria e l’assoluta imparzialità del suo presidente, Bernardo Bertolucci:
“Se un presidente di giuria italiano non italiano non premia l’Italia sulla stampa succede l’ira di dio, se la premia scatta la dietrologia. Ma non vi stancate mai di polemizzare? La giuria è sovrana, posso condividere o meno, ma ci sono nove persone di paesi diversi che attribuiscono otto premi a loro insindacabile giudizio. Fa parte del gioco.”
Barbera ha così replicato, in un’intervista rilasciata al Secolo XIX, a coloro che vedono nel Leone d’Oro a Sacro GRA una punta di faziosità da parte della Giuria. E in effetti, spezzando un a lancia in favore dei suoi componenti e di Barbera stesso, se avesse vinto, poniamo, Stray Dogs, in molti avrebbero lamentato un’eccessiva esterofilia:
“L’ultima riunione è durata tre ore e mezza. Né risse ne contrapposizioni, discussione aperta, schietta. Bertolucci non è stato prevaricatore, non ha imposto nulla, anzi alcuni dei premi sono stati suggeriti da altri giurati e lui li ha condivisi, a volte più e a volte meno.”
Un Festival caratterizzato da temi violenti, estremi, destinati a far discutere. Ma per Barbera la selezione ha funzionato e rispecchia anche la situazione attuale del cinema, specialmente italiano, sofferente e in calo di idee:
“Mi pare un verdetto equilibrato. Ha rispettato le componenti della selezione e fotografato la situazione attuale. Il cinema d’autore non se la passa affatto bene, la distanza tra film commerciali e film artistici, sta diventando enorme. Il mercato non sa più contenere questa contraddizione. Così i festival diventano un’oasi di libertà, offrono una speranza agli autori. Mi pare che la quantità non corrisponda alla qualità. C’è un problema di sistema industriale e fantasia creativa, poi i singoli film possono anche andare benissismo.”
Un discorso ormai ribadito fino alla nausea da molti addetti ai lavori. Barbera rigetta anche le critiche sull’eccessiva violenza vista in molti film in concorso, spesso incentrati su tematiche di abusi familiari:
“C’erano film anche più feroci. Non c’era nulla di preordinato, si sceglie film per film, non si compongono panoramiche tematiche. Ma certo la cronaca ci ricorda ogni giorno come la disgregazione familiare produca inaudita violenza.”
Il tema quindi rimane sempre lo stesso: “film artistici” VS “film nazional popolari”. Aprire le porte dei festival ai secondi significherebbe far perdere l’aurea di sacralità sacerdotale detenuta dalle giurie stesse, abbassandole alla stregua del “volgo”. Quindi si prosegue con le serrate e premiando film che spesso al cinema non hanno riscontro economico. Fa parte del gioco. Ma la sensazione che rimane dopo questo Festival, ma che già da anni è chiaramente percepibile, è quella di uno scollamento, di una netta divisione tra i gusti del pubblico e quelli delle giurie e secondo Barbera “…non basta qualche commeddiaccia che arricchisce solo il produttore a ricreare il legame tra il pubblico e i film nazionali.”