Non aprite quella porta: il Texas Chainsaw Massacre 40 anni dopo
Scopri “Non aprite quella porta”, la trama, il trailer e le recensioni del film di Tobe Hooper destinato a cambiare il mondo dell’horror.
“Tratto da una storia vera”, questo l’ammonimento col quale iniziava Non aprite quella porta, uno dei più famosi film (non solo horror) di tutti i tempi. La storia vuole che il 20 agosto 1973, ossia 40 anni fa esatti, la polizia si recasse, in seguito a una segnalazione, a casa di tale Thomas Hewitt, un contadino che abitava in una casa isolata ad alcune miglia da Austin, Texas. Quello che gli agenti trovarono fu raccapricciante: i miseri resti di ben 33 corpi martoriati in quello che fu il più grande massacro di tutti i tempi e che prese il nome di Texas Chainsaw Massacre e l’efferato carnefice venne soprannominato Leatherface, faccia di pelle, per la raccapricciante abitudine di costruirsi maschere con lembi di pelle strappati ai volti delle sue vittime. Alcuni giorni dopo Leatherface venne trovato dall’FBI e ucciso con un colpo di pistola: solo dopo alcuni mesi l’unico sopravvissuto al massacro ebbe il coraggio di raccontare l’accaduto e la sua storia è diventata il primo di una lunga serie di film dedicati al “massacro alla motosega del Texas”.
Una storia incredibile che fece in breve tempo il giro del mondo ma che non ha alcuna attinenza con la realtà: la fama che ben presto raggiunse Non aprite quella porta, il film diretto da Tobe Hooper nel ’74, fece si che in tutto il pianeta si diffondessero e generassero decine di leggende sul “vero” Leatherface e sul massacro del Texas e ancora oggi molte persone credono che Thomas Hewitt sia realmente esistito. O meglio, sono realmente esistiti parecchi Thomas Hewitt negli USA e non è detto che tra di loro non vi fosse realmente un omicida, ma un massacro come quello descritto nel film non c’è mai stato. Né in Texas né altrove.
L’uomo, il mostro che più ispirò il regista, che scrisse la sceneggiatura a quattro mani con Kim Henkel, fu Ed Gein, famigerato serial killer accusato di aver ucciso due donne negli anni ’50, mutilandone i corpi. Durante una perquisizione nella sua dimora furono trovati svariati resti umani, ma che non appartenevano alle vittime bensì a cadaveri riesumati da diverse tombe: Gein confessò di essere un necrofilo e che lo scopo dei suoi raid notturni nei cimiteri fosse quello di recuperare “elementi” col quale ricostruire un corpo umano femminile che avesse le sembianze della madre. Il caso scosse notevolmente gli States e ispirò numerose opere letterarie, musicali e ovviamente cinematografiche, tra cui Psycho e Il silenzio degli innocenti.
Quello che fecero il regista Hooper, lo sceneggiatore Henkel e la casa di produzione all’uscita di Non aprite quella porta, può essere considerato uno dei primi, grandiosi, esperimenti di viral marketing e dopo 40 anni la leggenda del crudele Thomas Hewitt rimane intatta, tanto che sul web sono ancora parecchie le persone chiedono informazioni su di lui. Il film, girato con un budget di circa 140 mila dollari ne incasso oltre 30 milioni negli USA, divenendo uno dei film indipendenti di maggior successo della storia, meritando quattro sequel, un prequel e un remake.
Non aprite quella porta – Parte 2, diretto sempre da Hooper, uscì nel 1986 e racconta la fuga di Leatherface dalla polizia, assieme al fratello Drayton: i due trovano rifugio in un parco divertimenti del Texas e in un secondo tempo vengono raggiunti anche dal fratello minore “Testa di latta”. Non passa molto tempo prima che inizino a mietere una nuova messe di corpi umani. Stroncato dalla critica ebbe comunque un buon successo di pubblico, che apprezzò il maggior sense of humor rispetto al precedente.
Nel ’90 Jeff Burr (regista cult di film horror) diresse Non aprite quella porta – Parte 3, che nonostante abbia riscosso un buon successo di pubblico (e annoveri nel cast anche un giovane Viggo Mortensen), prosegue stancamente gli stilemi dei precedenti, con la classica giovane coppia in viaggio attraverso il Texas che si imbatte nel mostruoso “Faccia di pelle”.
Quattro anni dopo usci il IV capitolo della serie, diretto da Kim Henkel (sceneggiatore dell’originale), con Renée Zellweger e Matthew McConaughey. Fu universalmente riconosciuto come il peggiore della serie e per la banalità della sceneggiatura è da alcuni critici considerato un remake. Il vero remake arrivò però solo nel 2003, con l’esordio alla regia del tedesco Marcus Nispel: Non aprite quella porta, ebbe un successo strepitoso al botteghino, in parte dovuto al trentennale dall’uscita dell’originale, in parte grazie al cast in cui figuravano Jessica Biel e Jonathan Tucker. Nonostante gran parte dei fan continui a preferire l’originale, questo remake è appoggiato da ottime ambientazioni e da una splendida fotografia che lo rendono un horror tout court.
Passiamo ora al prequel, Non aprite quella porta – L’inizio, del 2006, diretto da Jonathan Liebesman (La furia dei titani) e che narra dell’adolescenza di Leatherface, giovane disadattato che viene licenziato da un mattatoio e che, ironia della sorte, decide assieme al resto della famiglia di iniziare a nutrirsi di carne umana.
Concludiamo la rassegna con l’immancabile 3D, Non aprite quella porta 3D di John Luessenhop del 2013, sequel che riprende direttamente la fine del film del ’74: la famiglia Sawyer viene arsa viva dai concittadini inferociti, ma la giovane Edith sopravvive alle fiamme e vent’anni dopo, tornata alla casa avita, è costretta suo malgrado a scoprire che il vecchio Leatherface ha la pellaccia più durA del previsto…