Venezia 2019, El Principe vince il Queer Lion, recensione – sfrenato prison movie gay cileno
Passionale e imperfetto, El Principe di Sebastian Muñoz è un trionfo di omoerotismo in salsa cilena.
A lungo scenografo, il 46enne cileno Sebastian Muñoz fa il suo esordio alla regia con El Principe, film presentato alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nella sezione Settimana della Critica. Tratto dall’omonimo romanzo di Mario Cruz (Elías O. Martínez), scoperto dal regista per puro caso tra i banchi di un mercato, El Principe è ambientato in un carcere cileno del 1970.
Protagonista Jaime, ventenne che al termine di una notte alcolica uccide il proprio miglior amico, in quello che sembra a tutti gli effetti un omicidio passionale. Follemente innamorato di lui, il giovane perde la testa dinanzi alle avances di un altro uomo. Spedito in galera, Jamie finisce nella cella dello ‘Stallone’, uomo maturo, temuto e da tutti rispettato, che da subito lo prende sotto la propria ala protettrice. Il nuovo arrivato diventa così il ‘principe’, in uno spazio ristretto in cui imparerà a conoscere lealtà e amore nei confronti del proprio protettore. Anche perché le lotte di potere all’interno del carcere si fanno sempre più paurosamente violente…
Ci sono tracce di Jean Genet e Rainer Werner Fassbinder, nel 1982 ritrovatisi nell’iconico Querelle de Brest (presentato proprio a Venezia), in questo prison movie che trasuda passione, erotismo, senza mai temere una messa in scena cruda, che accoglie nudi maschili con enfasi e coraggio. Quasi interamente ambientato in una cella, El Principe ruota attorno ad un’anomala “famiglia”, nata per puro caso dietro le sbarre di una galera, in cui affetto e fedeltà prendono presto forma.
Attraverso l’uso dei flashback Muñoz svela lentamente le motivazioni che hanno portato in carcere il solitario e taciturno Jamie, mentre l’anziano Stallone, interpretato da un grandioso Alfredo Castro, si prende cura di lui. Un rapporto inizialmente solo fisico, di pura attrattiva sessuale, ma in grado di mutare con il passare del tempo, e con il 63enne Castro, storico volto del cinema di Pablo Larraín, mai come in quest’occasione impavido, nell’accettare un ruolo clamorosamente esplicito, con nudi totali e lo stupro da parte di una guardia con il bastone di una scopa.
L’omofobia, inevitabilmente, entra in questa cella dove pulsa l’amore libero, microcosmo rainbow in un Paese che da lì a poco avrebbe conosciuto il regime militare di Augusto Pinochet. Ma è sul suo protagonista, interpretato da un poco espressivo Juan Carlos Maldonado, che Muñoz non convince appieno, affrettando un’evoluzione del docile Principe che nei concitati minuti finali crolla sotto i colpi dell’eccesso, del cambiamento radicale, visibilmente forzato e poco credibile. Una giravolta improvvisa che segue un percorso solo teorico, perché mai del tutto esplicitato, che va a sgambettare un esordio comunque audace, nel suo cavalcare 90 minuti di sessualità e omoerotismo, all’interno di una cinematografia (cilena, ndr) che fino ad oggi mai si era esposta ad un full frontal maschile.
Ciò che rimane è un’opera prima sfrenata e conturbante, violenta e sentimentalmente straniante ma indubbiamente imperfetta, a causa di uno stuolo di attori che escluso Castro non convincono appieno e di uno script sbilanciato, ingenuo nella sua costruzione e spropositato in alcune scene chiave. Suo il Queer Lion 2019.
[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]
El Principe (Cile, Belgio, Argentina, 2019) di Sebastian Muñoz; con Juan Carlos Maldonado, Alfredo Castro, Gaston Pauls, Sebastian Ayala, Lucas Balmaceda, Cesare Serra, José Antonio Raffo – SETTIMANA DELLA CRITICA