Venezia 2019, Moffie di Oliver Hermanus, recensione – essere gay nel Sudafrica dell’apartheid
Durante l’apartheid, proprio come una donna o un uomo di colore, essere gay significava essere sbagliato.
Queer Palm al Festival di Cannes del 2011 con Beauty, il 36enne sudafricano Oliver Hermanus è sbarcato alla 76ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con Moffie, in concorso nella sezione Orizzonti e in corsa per il Queer Lion.
Moffie, nel gergo Afrikaans, significa checca, fr*cio, effeminato. Il film di Hermanus è ambientato nel 1981, ovvero nel pieno del conflitto tra il governo di minoranza bianca sudafricano e l’Angola. Tutti i ragazzi bianchi che hanno più di 16 anni sono chiamati al servizio militare obbligatorio, naturalmente brutale e in grado di segnarli a vita, per difendere il regime dell’apartheid. Nicholas Van der Swart deve così cedere due anni della propria esistenza alle armi, alla ferocia dell’esercito, per lui doppiamente presente. In quanto omosessuale.
E’ il peso della visibilità, nell’essere molto banalmente ‘diverso’ da quel che la ‘società’ considera ‘normale’, a trainare Moffie, pellicola sin dal titolo alquanto esplicita nel raccontare una storia di pura e semplice discriminazione, di crudo, insensato e ostentato odio. Hermanus racconta un mondo a noi lontano, anche se distante poco meno di 40 anni, in cui essere neri o omosessuali significava stare al centro del mirino. Va da sé che i ‘moffie’ sudafricani tacevano il proprio io, per timore, nascondendolo, affossandolo, uccidendolo.
La guerra raccontata da Hermanus è doppia, e corre spedita su due binari. Quella sul campo, sanguinosa contro l’Angola, e quella puramente educativa, sociale, che vedeva i giovani ragazzi bianchi cresciuti a pane e omofobia.
Il biondo Kai Luke Brummer, che interpreta l’educato, sensibile e combattuto protagonista, si ritrova ancora ragazzino in un campo di addestramento, dove l’immancabile sergente di ferro forma i futuri soldati attraverso insulti costanti, punizioni corporali, sfiancanti sedute di allenamento. La retorica militare qui prende il sopravvento, perché il regista e sceneggiatore non riesce ad evitare gli spietati allenamenti visti in decine e decine di altri film di genere, mentre il passato di Nicholas irrompe sulla scena attraverso uno splendido e angosciante piano-sequenza, ambientato in una piscina, in cui per la prima volta viene etichettato come ‘moffie’. Pubblicamente umiliato, e poco più che bambino, Nick reagisce nell’unico modo a lui conosciuto. Cancellando la propria natura, fino a quando proprio in un campo di addestramento non conosce Dylan, recluta che manda in frantumi lo scudo protettivo che anni prima aveva faticosamente issato.
E’ un’anomala storia d’amore, quella scritta da Hermanus, segnata dai tempi e dalla pericolosa omofobia che nei primi anni ’80 aleggiava su tutto il Sud Africa. Diretto con indubbia capacità, con macchina in spalla e lunghe scene prive di stacchi, Moffie torna a rappresentare sul grande schermo l’apartheid, indegna politica di segregazione razziale rimasta in vigore per oltre 40 anni, dal 1948 al 1991, per volontà del governo sudafricano di etnia bianca.
Immancabilmente didascalico, e ambientato nel corso di 24 mesi che vedono maturare e cambiare per sempre i suoi protagonisti, Moffie prende a piene mani dalla recente storia bellica sudafricana per denunciare il disumano che si nasconde dietro qualsiasi forma di discriminazione, razziale o di genere, rimarcandone le inevitabili conseguenze, il più delle volte (auto)distruttive nei confronti dei diretti interessati. Perché la strada della auto-difesa estrema è spesso l’unica via percorribile, laddove non sembrano esserci altre opzioni praticabili, se contestualizzata in ambienti in cui ti insegnano che la norma, il giusto, è proprio l’essere omofobi e razzisti. Una dolorosa verità che Hermanus, con un finale spiazzante e lancinante, ribadisce con puntuale e doverosa precisione.
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]
Moffie (Sud Africa, Regno Unito) di Oliver Hermanus; con
Kai Luke Brummer, Ryan de Villiers, Matthew Vey, Stefan Vermaak, Hilton Pelser – sezione ORIZZONTI