Venezia 2019, Ad Astra di James Gray, la recensione: sci-fi intimista e superficiale
Un astronauta costretto a viaggiare fino ai limiti conosciuti dell’Universo per trovare il padre scomparso.
25 anni dopo il folgorante esordio con Little Odessa, premiato con un Leone d’Argento e una Coppa Volpi a Vanessa Redgrave, il 50enne James Gray è finalmente tornato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Ad Astra, suo esordio nel mondo della fantascienza. Prodotto e trainato da Brad Pitt, il film guarda alla vastità dell’Universo per raccontare una storia quanto mai intimista, con protagonista Roy McBride, astronauta che viaggia fino agl estremi confini del sistema solare per ritrovare il padre scomparso e silenziare una pericolosissima minaccia per l’intera umanità.
Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe sono terrificanti.
James Gray è partito da questa citazione di Arthur C. Clarke, autore di 2001: Odissea nello spazio, prima di sceneggiare Ad Astra, titolo fantascientifico che abbraccia non solo Kubrick quanto Joseph Conrad, Herman Melville e non poche altre pellicole di genere viste al cinema persino di recente. Da Gravity a Interstellar, se non fosse che l’ultima fatica del regista americano sfrutti lo Spazio per concentrarsi su altro, ovvero noi stessi, con annesse debolezze e inquietudini. Il viaggio spaziale visto come fuga dalla realtà, dai contatti umani, prende forza attraverso immagini straordinarie, non a caso ‘fotografate’ da quel Hoyte van Hoytema che negli ultimi anni ha lavorato proprio con Nolan, sia in Dunkirk che in Interstellar.
Pitt, mattatore assoluto e credibilmente efficace nell’abbracciare un ruolo segnato dalla solitudine e dalla glaciale espressivitá, è un astronauta che sta costruendo una gigantesca antenna terrestre, chiamata a captare segnali alieni. L’umanità ha infatti colonizzato i pianeti a noi conosciuti, da Giove a Saturno passando per Marte e Nettuno, ma di vita oltre la Terra nemmeno l’ombra. Tra gli eroi spaziali più acclamati trova spazio proprio suo padre, scomparso 30 anni prima in una missione da nessuno mai dimenticata. Ma il Pianeta è ora minacciato da sbalzi energetici che mettono a rischio la vita di milioni di persone, con il padre di Roy apparentemente coinvolto. E conseguentemente ancora vivo.
Dietro i 100 milioni di budget, le corse delle ‘bighe spaziali’ sul suolo lunare, le esplosioni, gli ammaraggi, le scimmie assassine e la spettacolarità di uno Spazio sempre più realistico e attrattivo, Ad Astra ruota attorno ad un padre e ad un figlio. La storia più antica e raccontata di sempre, al cospetto dei grandi segreti dell’Universo.
Grey pennella i lineamenti di un uomo cresciuto senza padre, tormentato a tal punto dall’aver issato un muro emotivo, incapace di aprirsi con gli altri e accecato dalla solitudine. Quando la figura da lui mai dimenticata torna inaspettatamente nella sua vita, il viaggio impossibile verso l’ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare prende forma. Nel farlo, il regista e sceneggiatore sceglie una narrazione dal ritmo volutamente pacato, appesantita da una seconda parte che abbandona l’impianto blockbuster per abbracciare l’intimità di una relazione famigliare esplosa a miliardi di miglia dalla Terra.
C’è tanto, troppo, di già visto e raccontato, in Ad Astra di James Grey, che se da una parte ha il pregio di optare per una strada solitamente poco battuta, ovvero l’assoluta solitudine dell’umanità nell’Universo, dall’altra pecca in superficialità, volendo affrontare tematiche tanto universali limitandosi a letture decisamente poco originali: perché non c’è bisogno di andare chissà dove per trovare la felicità, il più delle volte a noi vicinissima. L’intera pellicola poggia sulle spalle di un ottimo Pitt, produttore e protagonista assoluto, tanto dall’oscurare tutti i personaggi secondari, privi di qualsivoglia forma e sostanza. Donald Sutherland, Ruth Negga e l’assolutamente inutile Liv Tyler, a cui il regista concede un unico breve dialogo, sono stelle cadenti che rapidamente scompaiono, mentre il premio Oscar Tommy Lee Jones, padre di Brad, fa sua la scena per pochi minuti, prima di cedere nuovamente spazio ad un Pitt mai tanto centrale.
Visivamente ineccepibile, anche se scientificamente parlando neanche lontanamente credibile, Ad Astra paga pesantemente pegno con le ambizioni di un Gray che fatica maledettamente a tenere le redini di una storia temeraria ma mal sviluppata, incocludente, a tratti ridicola (occhio ad uno ‘scudo spaziale’ finale che riporta Hollywood all’esilarante salvifico frigorifero di Harrison Ford in Indiana Jones 4) e concettualmente approssimativa, segnata da infiniti ed evitabili spiegoni e da una freddezza emotiva che mai abbandona la narrazione. Obbligandola a galleggiare in superficie, senza mai affiorare del tutto.
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
Ad Astra (Usa, 2019, Sci-fi) di James Gray; con Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler e Donald Sutherland – CONCORSO