Paolo Virzì: “più coraggio, registi”!
Virzì da 20 anni è uno dei più acuti osservatori del sistema Italia e nel suo ultimo Il capitale umano, analizza vizi e debolezze della ricca Lombardia.
Terminate le riprese della sua ultima fatica, Il capitale umano, Paolo Virzì ha deciso di spiegare al pubblico il perché ha scelto il romanzo di Stephen Amidon, ambientato tra la borghesia del New England e da alcuni già considerato come l’erede di Gotico Americano. Proprio Virzi, il toscanaccio livornese di Ovosodo, il fustigatore della mediocrità italica di Ferie d’agosto, uno dei registi di riferimento della sinistra italiana, alle prese con un romanzo made in USA, poi ri-ambientato in Lombardia?
“E’ un paradigma dei nostri tempi, ormai Italia e Stati Uniti si assomigliano sempre più.”
Ha recentemente dichiarato il regista a Il Corriere della Sera. La Lombardia, in cui è rimasto per ben sette settimane, da fine febbraio in poi, a girare: non solo Milano, ma tanta provincia, nebbia, risaie e paesini, dove si intrecciano storie però comuni a ogni tipo di società, rurale o urbana, le cui distinzioni sono ormai state distrutte dalla globalizzazione culturale. Fabrizio Bentivoglio, Carla Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni, Bebo Storti… Un cast eccezionale, al quale, ci auguriamo corrisponda un film altrettanto eccezionale.
La vittima sarà la piccola borghesia e per Virzì non è una novità assoluta, dal momento che il livornese è sempre stato palesemente più portato a raccontarci le virtù del proletariato (se ha ancora senso usare questo termine in decenni di crescita demografica involuta) che della classe media:
“Nel film c’è dell’ironia beffarda verso una borghesia che vuole fare il passo più lungo della gamba, ma soprattutto c’è un viaggio nel conflitto tra genitori e figli. Anzi proprio tra padri e figli… Vedo la situazione proprio male, Per la politica di cui mi spaventano i faciloni che seguono chi grida di più e semplificano tutto in uno slogan o in una battuta. Per la società dove gli adulti non aiutano i giovani a maturare. E per il cinema dove semnra che manchi l’aria. Sto seriamente pensando di girare il mio prossimo film in inglese.”
Quest’ultima dichiarazione lascia di stucco perchè tra i registi italiani contemporanei forse solo Virzì fino ad oggi era rimasto insensibile alle sirene hollywoodiane e alla tentazione di tentare la fortuna all’estero. Non è un buon segnale, anche perché il regista, nonostante non sia immune da critiche ha sempre comunque tentato di realizzare un cinema di qualità, che unisse l’umorismo della commedia a spunti di riflessione non banali. Certo, c’è sempre stato un fil rouge piuttosto forte da Ferie d’Agosto, passando per Ovosodo e terminando con Tutti i santi giorni: la mediocrità dell’uomo comune, le piccolezze quotidiane di ognuno di noi, l’antieroismo dell’italiano medio. Ma l’aria è cambiata, si è fatta più pesante:
“Mi piacerebbe tornare a Ventotene a vedere come sono cambiati i Mazzalupo e i Molino, le famiglie di destra e di sinistra di Ferie d’agosto. Ma forse sarebbero tutte irriconoscibili. Sarebbe anche belle vedere com’è finito il protagonista di Ovosodo quindici anni dopo. Ma la fabbrica dove andava a lavorare oggi non esiste più, rasa al suolo. E allora che cosa racconto? Il deserto e le macerie?”
Dispiace questo pessimismo del regista, ma d’altronde come dargli torto? Il cinema in questi anni è nell’occhio del ciclone e più di tanti altri settori patisce la crisi e tra sale vuote e case di distribuzione a rischio chiusura, girare un film che non sia “natalizio” diventa sempre più difficile:
“Sono convinto che il cinema serva ancora. Non è mai un lusso perchè ti nutre l’immaginazione. Non spetta certo a me dettare la linea editoriale del cinema italiano anche perchè potrei solo ripetere che serve un cinema capace di raccontare il nostro paese, soprattutto in questo brutto momento. Serve un cinema che sappia rischiare, che non si faccia condizionare e ritrovi la libertà che l’aveva fatto grande in altre stagioni. Più coraggio registi!”