Elezioni in Iran: il cinema lo racconta così
Non solo Argo: oltre a Ben Affleck sono molti i registi iraniani che raccontano la vita in uno dei paesi più affascinanti e meno conosciuti del mondo.
Cinquanta milioni di cittadini iraniani chiamati al voto per votare il successore di uno dei leader più controversi e criticati (dall’occidente) degli ultimi decenni. Non sappiamo ancora che strada intraprenderà il paese nel dopo Ahmadinejad ma l’opinione pubblica mondiale si augura che chiunque dei candidati prenda in mano il governo del paese sia più moderato del suo predecessore. L’Iran, dalla rivoluzione Komehinista del ’78, è entrato in pianta stabile nella black list deigli Stati Uniti: un paese isolazionista, dove l’intransigenza religiosa influenza la politica più di ogni altra nazione al mondo. E se recentemente Ben Affleck ci ha raccontato (molto bene, tra l’altro) la rocambolesca e avventurosa fuga del personale americano prigioniero a Teheran, con il film Argo, sono altri i film che possono aiutare un occidentale a capire la società iraniana.
In primis I gatti persiani, del 2010 premiato nell’edizione del Festival di Cannes di quell’anno e divenuto immediatamente un cult underground. Innanzitutto per la storia che ci narra di un gruppo di ragazzi di Teheran che suona di nascosto dalla polizia, perché è vietato per legge suonare musica occidentale. Un film tenero, fresco e commovente che ci offre uno spaccato della vita quotidiana in un paese retrogrado e che fa pensare: cosa significherebbe per noi, per la nostra esistenza, se anche strimpellare una cover dei Beatles alla chitarra fosse reato? La musica è solo l’inizio, un esempio di come molte persone che vivono in Iran siano costrette a vivere come gatti persiani, stranamente proibiti per legge, quindi chiusi in casa e nelle cantine.
E come non citare Una separazione, del più famoso regista iraniano Asghar Farhadi, che nel 2010 divenne vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino (primo nella storia dell’Iran), nonché l’Oscar come Miglior Film Straniero: angosciante perché realistico, ci racconta la storia di un nucleo famigliare in dissoluzione alle prese con problemi quotidiani (anche legali) che per un occidentale possono apparire fantascientifici. Da vedere per cogliere quell’incredibile commistione di antico e moderno che convivono assieme in equilibrio veramente precario: epica la scena dello scontro tra le due coppie di coniugi davanti al giudice con i due “proletari” che invocano il nome di Allah in continuazione spergiurando al giudice il loro essere credenti. Insomma, come se, fermato a un posto di blocco, iniziasse a recitare un Salve Regina… Batture a parte, da vedere e comprendere, in attesa di sapere che destino prenderà il paese.