Hates: House At the End of the Street – clip, spot in italiano e note di produzione
Prima di trionfare agli Oscar con Il Lato Positivo, Jennifer Lawrence ha girato un horror tutt’altro che straordinario, finalmente in arrivo anche in Italia.
Ancora pochi giorni e Hates – House At the End of the Street sarà finalmente nei cinema d’Italia, grazie alla Eagle Pictures. Uscito nei cinema d’America a fine settembre, l’horror ha avuto la ‘fortuna’ di anticipare per pochi mesi il trionfo agli Oscar di Jennifer Lawrence, sfruttando platealmente anche la sua celebrità legata alla saga Hunger Games. Il risultato in sala, infatti, è stato più che soddisfacente. Costata 10 milioni, la pellicola ne ha incassati 31 solo sul suolo Usa, anche se estremamente balbettante tanto nella trama quanto in cabina di regia.
Da noi già ampiamente recensito in anteprima, il film torna oggi d’attualità grazie all’imminente uscita, da ‘omaggiare’ con l’immancabile pagina ‘produttiva’ legata a curiosità e note di produzione, da affiancare a clip e spot in italiano, da vedere ovviamente in nostra compagnia.
Protagonista della trama una teenager, Elissa, e la madre divorziata, Sarah, trasferitesi in un quartiere esclusivo per iniziare una vita migliore. Ma dopo poco vengono a sapere che girano voci sul bosco vicino, dove pare che viva un omicida; Elissa conosce un ragazzo misterioso, unico sopravvissuto di un efferato doppio omicidio avvenuto nella casa accanto: da quel momento in poi i sogni di un futuro più radioso di madre e figlia precipitano vertiginosamente in una spirale da incubo. All’inizio, infatti, tutto sembra andare per il meglio: Sarah (Elizabeth Shue) trova un buon lavoro e incontra un bell’uomo mentre Elissa (Jennifer Lawrence) inizia la scuola ed è attratta dal vicino di casa, Ryan (Max Thierot). Ryan sembra uno spirito affine, incompreso e appassionato, e Elissa gli sta vicino nel suo isolamento; la comunità lo tiene ancora alla larga da quando anni prima la sorella pazza Carrie Anne ha assassinato i loro genitori in un inspiegabile attacco di follia. Ma con il passare del tempo vengono a galla sempre più dettagli del passato di Ryan. La scoperta della verità potrebbe essere l’evento peggiore della vita di Elissa.
A dirigere il tutto Mark Tonderai (Hush), con David Loucka (Dream House) autore dello script, tratto da un racconto di Jonathan Mostow (Il mondo dei replicanti, Terminator 3: Le macchine ribelli).
LA PRODUZIONE
Una casa spettrale, in rovina, un uomo giovane con un segreto terrificante e un’adolescente testarda sono i classici elementi dei film horror-thriller, ma in House at the End of the Street, una squadra di professionisti ambiziosi e creativi ha saputo trascendere il film di genere con immagini ombrose ed eleganti, personaggi realistici e facilmente identificabili.
“House at the End of the Street è complicato proprio come è complicata la maggior parte dei bei film”, dice il produttore Aaron Ryder. “È un thriller hitchcockiano, indirizzato a un pubblico più giovane, con un grande cast di giovani attori. La sceneggiatura è fantastica, nel senso che fa veramente paura”. I personaggi in House at the End of the Street sono tormentati da un’orribile tragedia consumatasi parecchi anni prima rispetto al momento di inizio del film. “Una coppia venne assassinata dalla figlia handicappata che poi scomparve” dice Ryder. “Ora Elissa e la madre Sarah si trasferiscono nella casa accanto a dove si è consumato il massacro. C’è un unico sopravvissuto, un giovane di nome Ryan, che ancora vive nella casa. È con lui che Elissa inizia una relazione, forse il suo primo amore. Ma si scopre che c’è qualcosa di maligno nel paese”.
Benché questo tesissimo thriller psicologico sia pieno di colpi di scena e sorprese che tengono il pubblico incollato alla sedia, House at the End of the Street è innanzitutto un film basato sui personaggi, ci dice il produttore. “Una delle cose che mi piace di questo film e di questi personaggi è che nessuno è stereotipato”, dice Ryder. “Non c’è un rapporto madre-figlia stereotipato. E anzi, Elissa è un po’ più responsabile di Sarah. Ryan è cupo e misterioso, ma anche molto vulnerabile e bellissimo. È facile capire come una ragazza possa esserne attratta”.
Il film è tratto da un breve racconto dello scrittore, direttore e produttore Jonathan Mostow, ed è stato sottoposto a una profonda rielaborazione da parte di Mostow e del suo partner di produzione, Hal Lieberman. “È raro trovare materiale come questo già sviluppato in modo veramente valido da professionisti competenti”, dice Ryan: “È stato per questo che molti registi di grande esperienza si sono interessati al progetto”.
Fra tanti talenti, Ryan e i suoi colleghi produttori hanno selezionato Mark Tonderai, che aveva da poco scosso il mondo dei film indipendenti con la sua pellicola di debutto, Hush, un thriller britannico teso e dalla trama fittissima. “Eravamo veramente emozionati di incontrare Mark per via di Hush” dice Ryder. “Con un budget relativamente contenuto e poco tempo a disposizione, è riuscito a realizzare un film davvero terrificante. Hush mi ha ricordato Breakdown – La trappola di Jonathan Mostow. È un film concepito e realizzato veramente bene e Mark ha ottenuto il lavoro proprio grazie a questo”.
Con la sua seconda opera, Tonderai si mantiene sempre un passo avanti rispetto al pubblico, destabilizzandolo con dubbi leciti e crescente sospetto. “È un film su quello che sta sotto” dice. “È sulla dualità. Tutti l’abbiamo dentro di noi ed è per questo che il film funziona. L’essere genitori e essere ragazzi. Il dolore e la redenzione. Il primo amore e le seconde possibilità. Sono queste le cose di cui parliamo nel film. Sono le cose che danno al film un’anima e gli impediscono di essere semplicemente l’ennesimo horror-thriller. Volevamo alzare il livello e abbiamo lavorato veramente tanto per farlo”.
Ad alimentare la sua passione nei due anni che ci sono voluti per la realizzazione del film, racconta Tonderai, è stata la voglia di realizzare un thriller psicologico che non facesse solo paura. “Come regista è importante trovare qualcosa che ti risuona dentro, per questo non guardo tanto alla storia in sé quanto a ciò che la storia sta cercando di dire”.
Quindi anche l’analisi dei rapporti tra Elissa (Jennifer Lawrence), la madre (Elizabeth Shue) e l’enigmatico vicino di casa (Max Thierot). “Ero appena diventato padre e sentivo fortemente di volermi confrontare con il tema dell’essere genitori”, dice il regista. “Non ho mai dimenticato che questo film è un thriller, ma parla anche di genitori e di come possono aiutarci a diventare chi siamo. Ed è una storia d’amore. Una ragazza si trasferisce in una nuova casa. Finisce per innamorarsi del vicino che è sopravvissuto a un evento terribile. Tutta la comunità è contro di loro, e questo è un elemento molto romantico”.
Prima di iniziare le riprese, Tonderai ha messo a punto quella che chiama la “bibbia”: un documento di quasi cento pagine che definisce tutte le sue idee sul film: personaggi, tono, luce, tematiche fondamentali e altro. Ha consegnato il tomo dettagliatissimo e pieno di illustrazioni agli attori e alla troupe per assicurarsi che fossero tutti sulla stessa lunghezza d’onda al momento delle riprese. “È di importanza capitale quando si inizia che tutti stiano lavorando allo stesso film, con delle precise tematiche fondamentali, concetti e personaggi”, dice il regista, che aveva creato una guida analoga anche per il suo primo film. “Ogni scena è importante. E ogni scena è una sfida. Avevamo una tabella di marcia molto serrata e dovevo assicurarmi di sfruttare al massimo le mie giornate”.
All’inizio Ryder era scettico, ma poi ha capito quanto fosse essenziale la “bibbia” per il modo di lavorare di Tonderai, e per creare la tensione che regge tutta la storia. “Ci ha messo dentro un sacco di cose, un sacco di concetti e temi, spiegando come l’avrebbe girato, le luci da usare e il sapore che doveva avere. Non sono molti i registi che preparano tanto il lavoro”.
Pur riconoscendo la natura collaborativa della realizzazione di un film, Tonderai si è assicurato che tutti, dagli attori ai capo reparto, dai produttori ai tecnici, avessero l’opportunità di condividere la sua visione. “È evidente che ognuno si confronta con il materiale dal proprio punto di vista, e questo è positivo” dice. “Ma se quelli della troupe non sanno cosa ho in testa, o i costumisti non sanno come sarà l’illuminazione, o il tecnico delle luci non sa che tipo di ricchezza visiva voglio, allora mi trovo in difficoltà. Con questa idea a fare da guida, le decisioni non venivano prese in maniera arbitraria, ma sulla base dei personaggi e delle tematiche fondamentali della storia. Ogni cosa era motivata”.
Questa ulteriore preparazione ha inoltre permesso che le riprese venissero effettuate con più facilità. “Ogni volta che c’era una domanda, dicevo: ‘Apri la bibbia; troverai tutto lì dentro’. Era la nostra guida, il nostro arbitro, la nostra corazza. Con quella tutti sapevano qual era il film che volevo realizzare. Non avevo bisogno di parlare. Semplicemente facevo vedere le immagini”.
Il direttore di produzione Robert Menzies non ha mai visto un regista condividere con il gruppo di lavoro così tanto del materiale preparatorio. “La bibbia è stata utilissima per la produzione. Era una lettura molto densa. Era molto mirata e trattava quasi ogni singolo aspetto del film, così da permettere al gruppo di lavoro di entrare nella testa del regista. Da quel documento hanno capito la sua visione riguardo ai costumi, alla scenografia, alle inquadrature: la visione di tutta l’opera. E sono convinto che abbia dato il là a tutta la produzione, perciò è venuto un lavoro eccezionale”.
RIEMPIRE LA HOUSE AT THE END OF THE STREET
I filmmaker hanno fatto tombola quando hanno scelto Jennifer Lawrence per il ruolo di Elissa. Lawrence, la cui carriera è esplosa nel corso degli ultimi due anni, è già stata protagonista del violento film drammatico indipendente Un gelido inverno, per il quale ha ricevuto la nomination agli Oscar a soli vent’anni. Ma ancora non era stata scelta per il ruolo che le avrebbe dato la celebrità: Katniss Everdeen nel blockbuster d’azione The Hunger Games ed era ancora lontana dal ricevere il Premio Oscar come Migliore attrice protagonista ne Il Lato Positivo. Secondo Aaron Ryder però, non c’erano dubbi sul suo potenziale.
“Nell’attimo stesso in cui incontri Jennifer, ti rendi conto che ha una lunga carriera davanti a sé”, dice il produttore. “Ha un talento incredibile. La sua interpretazione in Un gelido inverno è stata una delle migliori che abbia visto in tanto tempo. È entrata nel mio ufficio durante una riunione generale ancor prima che avessimo letto la sceneggiatura e io non riuscivo a capire se avesse trent’anni o diciotto. Ha una maturità e una saggezza rare. Alcune persone possiedono una naturale sicurezza in sé, e Jen ne è l’esempio lampante. È eccezionale. È una superstar in divenire e siamo stati fortunati ad averla con noi”.
I filmmaker hanno ingaggiato Lawrence subito dopo l’uscita di Un gelido inverno. “Con The Hunger Games, è diventata famosissima”, dice Tonderai. “Ma all’epoca era un rischio. È ovvio che siamo stati ripagati. Jen ha capito la parte e ha reso suo un ruolo difficile, complicato”. Lawrence aveva interpretato solamente una manciata di film all’epoca e l’idea di cimentarsi con un horror-thriller per la prima volta la attraeva molto. “Era qualcosa di completamente diverso per me” dice l’attrice. “Non avevo mai lavorato in questo genere prima, ed è stata un’esperienza incredibile fare qualcosa di così distante dall’ambiente in cui mi ero sempre mossa. Ma mi piaceva molto che il film non spaventasse le persone con il sangue o con quelli che io chiamo elementi ‘buu’. I personaggi sono sviluppati molto bene e si finisce per spaventarsi per loro in una maniera molto sentita e personale. Con Elissa per esempio ci si sente coinvolti dalla storia d’amore ma anche spaventati per quello che può succederle. È una maniera molto sofisticata di spaventare il pubblico”.
Lawrence si è anche sentita molto vicina al modo in cui la sceneggiatura tratta l’idea di come operiamo le nostre scelte in relazione agli altri. “Ci diciamo costantemente di ascoltare il nostro istinto”, dice. “Ma che succede se per dare retta alla pancia ti esponi a un rischio e alla fine ti accorgi che ti eri sbagliata? Ci sono così tanti colpi di scena nel comportamento dei personaggi che non sai mai di chi ti puoi fidare. Rimani con il dubbio per tutta la durata del film”.
“Amo i film horror”, ammette. “Amo i programmi di paura come ‘Celebrity Ghost Story’, che non dovrebbe far paura, ma a me spaventa da morire. Sono come una bambina di cinque anni. La mia immaginazione si mette a galoppare”.
Riconosce a Tonderai il merito di aver reso reale e viscerale la paura senza però perdere mai di vista la qualità della narrazione e il realismo dei personaggi. “Avevo fiducia in Mark,” dice. “Ha sempre visto il film come un’opera sui personaggi, senza trucchetti facili per spaventare, ma solamente esseri umani impauriti, perché non possiamo fidarci gli uni degli altri. È la persona più stimolante con la quale abbia mai lavorato. Ci tiene moltissimo al suo lavoro, te ne accorgi da cose come la bibbia. Ha scomposto tutto il film, compresi i personaggi. Questo ci ha aiutati ad avere un punto di vista più ampio e profondo su tutto.”
Il ruolo, che comprendeva complicate scene d’azione, ha richiesto alla giovane attrice più prestanza fisica di quanta ne avesse mai dovuta usare. “Non mi ero mai dovuta concentrare tanto sui miei piedi,” dice Lawrence. “Quando giriamo una scena molto emotiva con un altro attore, possiamo sempre provarla e riprovarla. Ma come diamine la riprovi una scena in cui devi salire di corsa le scale, urlare e strisciare sul pavimento? Me ne stavo lì ad aspettare che Mark desse l’azione, ripetendomi mentalmente la scena, ma poi quand’era il momento di girarla poteva venire fuori completamente diversa. Non puoi sapere cosa succederà finché non la giri.”
Poiché il suo personaggio è una musicista in erba, Lawrence ha avuto l’opportunità di tornare a coltivare una passione che aveva abbandonato. “Adoro cantare”, dice. “Ma da quando sono diventata attrice, ho dovuto smettere. Era così divertente andare allo studio con Benji Hughes e Steve Lindsey, che sono dei veri geni. Abbiamo registrato per ore e ore.”
Per il ruolo della madre scapestrata di Elissa, Sarah, i filmmaker hanno chiamato un’altra candidata al premio Oscar, Elisabeth Shue. “Elisabeth è una grande attrice e una persona veramente speciale” dice Tonderai. “È tutta bravura. È anche fantastico lavorare con qualcuno per cui avevo una cotta da bambino”.
Il regista afferma che le esperienze personali delle due attrici hanno aggiunto al rapporto madre-figlia una dimensione unica. “Elisabeth è diventata una star quando era ancora molto giovane,” dice. “Aveva circa 19 anni quando recitò in Karate Kid ed ebbe un enorme successo. Jennifer aveva più o meno la stessa età quando ha recitato in Un gelido inverno. È stato proprio durante le riprese che ha cominciato provare cosa sia il successo. Ho sentito che saremmo riusciti ad avere quel tipo di energia speciale tra madre e figlia”.
Per Shue e Ryder House at the End of the Street è stata una rimpatriata, avevano già lavorato assieme nella commedia del 2008, Hamlet 2. “Elisabeth è fantastica,” dice Ryder. “È una vera professionista. È una di quelle attrici che ti rendono il film migliore per il solo fatto di esserci. È sexy e ha talento, e ti piace subito dal primo istante in cui entra in scena. Ogni volta che la vedo di fronte a una cinepresa penso: ecco, questa è una star. Ha proprio quella luce”.
Sarah ed Elissa (Jennifer Lawrence) all’inizio del film hanno un rapporto madre-figlia invertito, e Sarah sta combattendo per riguadagnare la sua autorità. “Sarah è una neo-divorziata con una figlia di 17 anni”, spiega Shue. “Un tempo era una mamma rock’ n’ roll, che seguiva il marito di concerto in concerto, ma adesso lei e la figlia si sono trasferite in un paesino per iniziare daccapo. Sarah non è mai stata una mamma pratica. Da più punti di vista è meno matura della figlia, che si occupa molto di lei, ma alla fine le sfide che si trova ad affrontare la portano a diventare una vera madre.
“È una dinamica insolita e una delle ragione per le quali mi è veramente piaciuta la sceneggiatura,” aggiunge l’attrice. “Jen era perfetta nel ruolo perché ha una presenza molto forte, per cui per me è stato facile sentirmi immatura di fronte a lei.”
Secondo Shue, grazie ai continui e inaspettati colpi di scena il film è permeato da un intenso senso di paura e una crescente suspense. “Di solito riesco a prevederli, ma ero sorpresa mentre leggevo la sceneggiatura. La cosa bella è che non sono messi lì solamente per scioccare. Sono parte integrante della storia, il che rende il tutto più ossessionante e pauroso. Il film è teso e spaventoso dal primo momento. Si dice che la ragazza che ha pugnalato i genitori viva nella foresta, e fin dalla prima inquadratura, si ha la sensazione che qualcuno stia spiando. Questo elemento pervade l’atmosfera del film e fa salire la tensione.”
Il film è sia intelligente che pauroso, dice Shue, una combinazione rara nella sua esperienza d’attrice. “Penso che il pubblico sarà spaventato dalla primissima inquadratura fino alla fine del film. Sarà assorbito dalla complessità psicologica dei personaggi e poi terrorizzato perché ci sono dei momenti veramente paurosi che lo faranno saltare sulla poltrona.”
A questo punto della sua carriera, racconta Shue, il fattore determinante quando deve scegliere se accettare o meno un ruolo che la terrà lontana dalla sua famiglia per settimane o mesi, sono le persone con cui lavorerà. “Mark è un regista eccezionale. È così caloroso e, poiché è stato anche attore, capisce quello che stiamo vivendo e si assicura che tutti si sentano a proprio agio sul set. È riuscito a dare al film molto stile, ma senza mai strafare. La telecamera non ha un ruolo predominante, ma ci sono dei momenti in cui riesce a creare degli effetti veramente spaventosi.”
Avendo lei per prima vissuto il successo da giovanissima, l’attrice apprezza molto il talento e la tenacia della giovane star. “Ho moltissimo rispetto sia per Jen che per Max Thierot; per la profondità del loro talento, e per la loro mancanza di ego. Avevo già visto Un gelido inverno, quindi conoscevo bene la straordinaria bravura di Jen. C’è una vera e propria calma nella sua interpretazione, è elettrizzante, soprattutto nei momenti di paura e di panico. È come un puledro, che cammina per la prima volta sulle sue gambe, ma per essere una ragazza della sua età è anche molto matura. Si vede che si sente bene nella sua pelle.” La dedizione e la professionalità di Shue sono state di grande ispirazione per Lawrence. “Lavorare con Elisabeth è stato incredibile”, dice. “Ti pone delle domande profonde, che ti spingono a pensare. Sono stati giorni di lavoro molto intensi e spesso inserivo il pilota automatico, ma lei si fermava e chiedeva perché facevamo determinate cose. Faceva sempre dei commenti validi e mirati.”
Nei panni di Ryan, il ragazzo di cui si innamora Elissa nel film, Max Thierot ricordava alla Lawrence una leggenda del cinema e una delle sue star preferite. “Sembra la reincarnazione di Paul Newman,” dice. “E detto da me non è poco: io adoro Paul Newman. È bello e pieno di talento, ma è anche come un cowboy. Sembra che non gli importi nulla. Passa il tempo nella sua roulotte ad ascoltare musica country e a masticare tabacco. Lo trovo veramente sexy.”
Per il suo ruolo intenso e complesso, Thierot è riuscito a mantenere la tranquillità sul set mentre regalava un’interpretazione affascinante e delicata, dice Tonderai. “Max era molto rilassato e molto, molto divertente,” dice il regista. “La sua interpretazione è ricchissima di sfumature fantastiche. Vedendola per la seconda volta, con la consapevolezza della trama, si notano delle accortezze nella recitazione che probabilmente non si erano notate la prima volta. Qualcuno ha detto che il novanta per cento di un film sta nella scelta degli attori, e io sono assolutamente d’accordo. Il ruolo di Max è estremamente complesso e non so immaginare chi avrebbe potuto interpretarlo meglio.
Theriot racconta che la sceneggiatura gli ha messo in moto la fantasia sin dalla prima lettura. “Ero impressionato e sorpreso dall’originalità della storia. I colpi di scena e la follia hanno letteralmente catturato la mia immaginazione. Non riuscivo a prevedere il finale, anche se di solito riesco a capire come finirà un film.”
Interpretare Ryan è stata un’opportunità per creare un personaggio unico, cosa che non era ancora capitata a Thierot. “È stato veramente intenso”, dice l’attore. “È un personaggio molto complesso ed è stato molto emozionante interpretare il ruolo di qualcuno così poco ‘normale’. Mark ha lavorato con me a un livello molto profondo; penso che pochi registi lo facciano e mi ha molto aiutato. Ryan ha avuto un’infanzia traumatica e tormentata che l’ha trasformato in una persona fuori dal normale”, continua Thierot. “Vive come un eremita perché sa di essere incompreso e guardato dall’alto in basso. Quando Elissa entra nella sua vita, lei lo vede da una prospettiva diversa. Questo gli cambia qualcosa dentro. Gli tira fuori una parte del carattere che fino a quel momento non sapeva nemmeno di avere.”
Ryan nasconde dei segreti devastanti riguardo al suo passato, ma il regista e l’attore sono d’accordo sul fatto che sta vivendo la sua vita senza sensi di colpa. “Non nasconde nulla consciamente”, dice Theriot. “Tutto gli sembra normale ed è così che ho interpretato il personaggio di momento in momento. La bibbia di Tonderai è stata di grandissimo aiuto per definire il personaggio” ci dice. “Raramente capita di lavorare con un regista che si spende più del dovuto. Mark è così appassionato nel suo lavoro. Non si può resistere al suo entusiasmo e alla sua passione”.
Anche se non conosceva i ruoli che Lawrence aveva già interpretato prima di questo film, Thierot fin dal primo giorno aveva capito che aveva a che fare con una vera star. “Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, ancora non godeva del successo che ha ora”, dice. “Aveva lavorato in televisione e recitato in un paio di film indipendenti. The Hunger Games era ancora solamente un libro. Ma il talento di Jennifer sembra una cosa naturale”
Il ruolo era stimolante per il giovane attore, sia fisicamente che emotivamente. Come Lawrence, anche lui ha trovato impegnative le intense sequenze fisiche. “È molto difficile fare le cose che bisogna fare in quei momenti”, dice. “Bisogna dare il massimo emotivamente. Voglio che il mio personaggio risulti il più realistico possibile, così dico agli altri ‘colpiscimi, calciami; non mi farà male’. Deve sembrare vero. Convincere gli altri che va bene spingersi oltre è una delle parti più difficili.”
Tutto questo impegno da parte di Thierot ha impressionato i suoi colleghi. “Max è un attore magnifico”, dice Lawrence. “È capace di accendersi o spegnersi. Era inquietante vedere la luce nei suoi occhi cambiare nel momento in cui Mark dava l’azione. Di colpo era un’altra persona. Con Max non avevo mai l’impressione di recitare.”
Gil Bellows, produttore che ha vinto un premio Emmy nonché attore di lunga data, si è unito al cast nelle vesti dell’ufficiale di polizia Bill Weaver, la cui passata relazione con Ryan dona una nota di colore alla sua nascente storia con Sarah. “Gil ha quella virilità da poliziotto, ma si sente che ha anche un lato oscuro”, dice Shue. “Quel tipo di misteriosità che è davvero interessante”. Weaver e Sarah si incontrano quanto lei cerca di informarsi sul passato di Ryan. Subito scocca la scintilla. “Bill è il volto amico delle forze dell’ordine nel paese”, dice Bellow. Elisabeth Shue è una piena di positività, e in un mondo come questo se sei positivo le persone pensano che devi essere pazzo. Io invece penso che sia semplicemente fantastica e che sia un toccasana per il morale di tutti. Mi è sempre piaciuta e ora che ho avuto l’occasione di lavorarci insieme penso che sia una donna veramente splendida.”
L’agente ha un atteggiamento protettivo nei confronti di Ryan, atteggiamento che ha radici antiche. “Sono successe un mucchio di cose prima dell’arrivo di Sarah ed Elissa in paese, e vi ha preso parte anche il mio personaggio”, dice. “Loro due si sforzano di capire il mondo in cui sono appena arrivate. Io do loro qualche strumento per capire perché molti membri della comunità sono estremamente critici nei confronti di Ryan. Io offro loro un punto di vista leggermente diverso.”
“Sono successe molte cose brutte in passato”, dice Bellows. “Weaver pensa che il ragazzo non ne sia responsabile. Lui vede le due facce di Ryan. È possibile vedere le due facce di tutti i personaggi, in realtà. Di solito negli horror-thriller le persone fanno molto in fretta a giudicare se un personaggio è buono o cattivo. Penso che questo film faccia esattamente l’opposto.”
I filmmakers sono particolarmente orgogliosi di aver scoperto Eva Link, una talentuosa giovane attrice di Ottawa, e di averle dato una piccola ma importante parte nel suo primo film. “Quando vai nelle cittadine più piccole, non sai mai quanto talento ci puoi trovare”, dice Ryder. “Siamo rimasti scioccati dal talento di questa ragazza. Non penso che abbia mai recitato se non in qualche recita alle superiori, ma la ha un talento portentoso. Una così a Hollywood farebbe faville”.
Alla fine, ammette il produttore, l’impegno di ogni singolo attore è stato fondamentale per il successo del film. “Tutti lavoravano assieme per lo stesso risultato”, dice Ryan. “Avevamo a disposizione relativamente poco tempo per le riprese e bisognava trovare l’equilibrio fra tre aspetti fondamentali. Stare nei tempi, tirare fuori gli aspetti migliori dei personaggi e fare un film divertente. Penso che abbiamo raggiunto tutti e tre gli obbiettivi e in buona parte è stato per merito degli attori e del modo in cui hanno legato fra loro e in cui hanno affrontato seriamente il lavoro”.
COSTRUIRE HOUSE AT THE END OF THE STREET
La storia di House at the End of the Street è ambientata nella provincia della Pennsylvania, ma i filmmakers hanno portato la produzione a Ottawa, in Ontario, per ventotto giorni di riprese. “Non ho mai pensato che avremmo effettuato le riprese del film a Ottawa”, dice Ryder. “Mi è capitato di girare a Toronto e a Vancouver, ma non ero mai stato a Ottawa. Non sapevo cosa aspettarmi. Non sapevo nemmeno se ci sarebbe stata una troupe di appoggio. Ma Rob Menzies, il nostro assistente di produzione, ci ha convinti. Stavano proprio finendo di girare un film, c’era una troupe disponibile, e gli incentivi erano allettanti.”
Così hanno scoperto che Ottawa è una città versatile e relativamente sconosciuta che ben si presta per girare un film. “Un posto come Albuquerque assomiglia molto ad Albuquerque”, dice Ryder. “Devi impegnarti molto per farlo sembrare un posto diverso. Ottawa invece è molto adattabile. Può ricordare Chicago, Boston o certe zone di New York. Abbiamo pensato che la città avesse molto da offrire.”
Menzies, che è anche uno dei proprietari della compagnia di produzione Zed Filmworks, con base a Ottawa, ha aiutato Ryder e Tonderai a trovare le location e a reclutare il gruppo di lavoro. “Il film è fichissimo e la storia è molto emozionante”, dice. “Ottawa era perfetta per le location. Quando Mark e Aaron sono venuti per fare dei sopralluoghi, si sono fatti subito un’idea della troupe. Ottawa è una piccola gemma inesplorata. Si trova tra i due grandi centri di produzione cinematografica canadese, Toronto e Montreal, quindi possiamo attingere a quelle risorse e abbiamo location che non sono mai state viste in nessun film prima d’ora. C’è una comunità cinematografica che accoglie le produzioni a braccia aperte. È motivo di fierezza che venga girato qui un film di questo calibro.”
Secondo Menzies, la troupe ha superato persino le sue aspettative, già altissime. “È stata una grande occasione per mostrare il talento fenomenale degli scenografi. Hanno lavorato tantissimo, sono davvero appassionati nel loro lavoro. Sono riusciti a creare dei set incredibili senza un grande budget. Hanno costruito interi set, ricreato alcune location dalla a alla z, trasformato case, ribaltato ambienti, e poi alla fine della giornata hanno rimesso tutto a posto. È stato uno sforzo estremo, ma sono così orgoglioso di loro”.
I filmmaker erano molto contenti delle trasformazioni operate dagli scenografi. “Lisa Soper, la capo-scenografa, ha creato tutta una serie di set fantastici”, dice Ryder. “È riuscita a trasformare un normale ristorante in una classica trattoria della Pennsylvania. Ha trasformato una casa normalissima nella singolare abitazione di Ryan. A quella ha dedicato tantissimo tempo.”
Piena di angoli nascosti e pericoli invisibili, il terrore aleggia in ogni angolo della casa. “E ciò che non si vede fa sempre più paura”, dice Ryder. È quella cosa che potrebbe acchiapparti per una gamba mentre scendi nel seminterrato di notte. Quella cosa che appare all’improvviso mentre cammini nel bosco di sera. È il non poter vedere cosa c’è lì fuori che fa infinitamente più paura”.
La quantità di dettagli e fantasia che ci ha messo per creare la casa trasandata di Ryan inquietava persino gli attori. “Quel posto metteva veramente paura,” dice Shue. “Non potevo credere che avessero trovato una casa così spaventosa. Tutti avevano paura di starci dentro. Era piena di muffa, molto buia e c’era anche una strana puzza. Passavamo il tempo a immaginare quali eventi spaventosi fossero veramente accaduti in quella casa.”
Tonderai è convinto che il prodotto finito sia molto più che un semplice horror-thriller ben riuscito. “Le persone spesso snobbano i film horror, ma i migliori horror o thriller dicono cose importanti,” dice Tonderai. “Ho rilavorato parti della sceneggiatura non per aggiungere scene d’inseguimento, ma per tirare fuori meglio dai personaggi e dalla situazione un senso di realtà. Abbiamo fatto in modo che sin dalla prima inquadratura, gli spettatori potessero identificarsi con i personaggi, in modo che poi il pubblico li segua in ogni situazione. Per me questo è dare un’anima al film. Per esempio, il personaggio di Jen è un po’ trasandato e scontroso, ma è una teenager. Ti dispiace per lei. Le piace il ragazzo che abita nella casa accanto ed è l’unica persona a dedicargli del tempo. Questo te la fa stare simpatica”.
Lo scopo del regista, ci dice, era di mettere il pubblico al suo stesso livello. “Voglio veramente spaventare gli spettatori, ma non con dei trucchi banali. Sono convinto che se tratti il pubblico con vero rispetto e intelligenza, lui diventa tuo complice. Se riesci a fare affezionare il pubblico ai personaggi, e poi li esponi al pericolo, la paura cresce: prima, seconda, terza, e così via. Alla fine, quando si arriva all’ultima dissolvenza in nero, la paura gli rimane dentro.”