Solo Dio perdona: Recensione in Anteprima del film di Nicolas Winding Refn
Violenza e passione in questo thriller a tinte simbolicamente metafisiche diretto da Nicolas Winding Refn. Solo Dio perdona approda a Cannes, tra le alte aspettative di molti. A voi la nostra recensione.
Con Bronson il salto di qualità, con Drive la consacrazione. A due anni di distanza dal Premio per la Miglior Regia proprio a Cannes, Nicolas Winding Refn torna sulla Croisette con un film che definire tanto atteso quanto enigmatico è dire poco. E pensare che alcuni mesi fa Solo Dio perdona rischiò per un brevissimo lasso di tempo di approdare al Lido; salvo poi la fulminea smentita che prenotò virtualmente il biglietto per Cannes.
Oggi, infatti, è il giorno del regista danese, chiamato a confermare gli elogi che gli piovvero addosso per Drive. Ed Only God Forgives (titolo originale) non tradisce le attese, aggiungendo un altro importante tassello alla già nutrita filmografia del giovane Refn. Una storia, quella sbattutaci in faccia stavolta, arcigna come poche, dura, dalla violenza disturbante ma contenuta. Forse è proprio tale matrice che fa di questa pellicola la più inquietante tra quelle dirette fino ad ora dal regista.
Sensazioni imputabili ad una scelta ben precisa, oltre che azzeccata, ossia quella di strutturare un’atmosfera per poi, in un secondo momento, calarci dentro una storia. Storia che di per sé non porta in dote alcuna ventata d’aria fresca, ma che s’incastra alla perfezione con un contesto spiccatamente onirico. D’altra parte il Refn cinefilo non è certo una novità, e qui non manca di omaggiare in particolar modo quel surrealismo d’ispirazione bunueliana che ha fatto scuola a tanti. Omaggio che sfocia nella sfrenata citazione, allorché assistiamo al truculento taglio di un occhio, vivido rimando al film manifesto Un chien andalou.
“Imitazione” a parte, ogni cosa in Solo Dio perdona è intrisa di un alone metafisico difficilmente descrivibile, espressione di un equilibrio meraviglioso tra regia e montaggio, con quel loro dilazionare minuscoli frammenti di trama un tanto al chilo, quasi a volercene privare. Un’attenta e rigorosa parsimonia che, nell’economia di quel risultato finale che è il film, va a tutto vantaggio di una premessa marcatamente esistenzialista. Julian (Ryan Gosling a questo punto “anima gemella” di Refn) gestisce un’attività di copertura a Bangkok, ovverosia una palestra: in realtà è un trafficante di droga. Ma non è questo il punto. Un giorno suo fratello, mosso da un’inspiegabile follia, commette un’omicidio e viene a suo volta brutalmente assassinato. Dietro la sua morte c’è Chang (Vithaya Pansringarm), un sinistro poliziotto che opera in maniera non meno spietata dei criminali che punisce, ai suoi ordini un intero corpo di ufficiali, tenuti al rango di scagnozzi.
Abbiamo evocato un termine chiave dell’ultima opera di Refn, ossia punizione. In superficie Solo Dio perdona potrebbe apparire l’ennesimo film «vendetta-centrico», ma si tratterebbe di un’interpretazione non poco errata. È evidente che il confine tra i due termini, «vendetta» e «punizione», sia decisamente labile: in ogni caso si tratta di ristabilire un ordine. La sottile ma fondamentale differenza è che la vendetta mira ad un ordine interno, per lo più satisfattivo per il singolo o il gruppo mossi dal mero desiderio di rendere al colpevole il torto subito con uno analogo. La punizione, invece… beh, qui ci muoviamo all’interno di tutt’altra dimensione.
Man mano che la vicenda va esaurendosi, con quel suo ritmo intensamente flemmatico, ci viene sempre più svelato il mistero che si cela dietro ai personaggi di Julian e Chang – o meglio, dietro le rispettive entità mistiche da ciascuno rappresentate. Figure complementari in un contesto popolato da profili profondamente sfumati. In tal senso, e non solo, non si può fare a meno di entusiasmarsi per una fotografia ispirata, che centra nel segno. Volendoci limitare alla componente su cui ci siamo appena soffermati, notiamo come proprio tale aspetto tecnico lavori con perizia per consegnarci integra l’ambiguità delle varie maschere: giocando con le luci artificiali di neon e lampioni, più e più volte i volti dei vari personaggi, primari e secondari, ci vengono mostrati in forma bicolore, per lo più metà rossi e metà azzurri. Arguti espedienti che ci scaraventano in un contesto teatrale, da palcoscenico espressionista. Ed è lì che, a conti fatti, Refn attinge ancora una volta; in quell’ambiente da tragedia ricostruita in chiave tedesca, e che anche nell’ambito della Settima Arte ha avuto un notevole seguito – su tutti La congiura dei boiardi di Ėjzenštejn, uscito postumo, quando già il duo Powell/Pressburger aveva sfornato opere capitali come Narciso nero, giusto per citarne uno.
Tornando ad Only God Forgives, non a caso, i dialoghi sono ridotti all’osso. Tutto in questo film ci parla, fuorché i suoi attori, specie i due protagonisti. Corre un bel rischio Refn a svuotare il parlato in questo modo, specie a fronte della considerevole calma attraverso cui la trama si dipana. Ma non immaginatevi un Ryan Gosling novello Driver. Nient’affatto. Qui il giustiziere non è lui, bensì Chang, che esercita tale Giustizia con una freddezza ed una precisione angoscianti. La sua imperturbabile mitezza si scontra con degli estemporanei e folgoranti lampi di violenza che lasciano tramortiti. Come una furia che si abbatte funesta su colui il cui peccato deve essere sanato, l’inflessibile Chang emette ed esegue le proprie inappellabili sentenze ai danni di coloro che si sono macchiati di una qualche colpa.
Quello di Julian altro non è che un percorso spirituale teso a ristabilire quell’equilibrio corrotto dalle sue stesse azioni. Ambiguo a sua volta, per tutto il tempo ci trascina con sé in quei suoi sogni/visioni di redenzione, per la quale è disposto a sacrificare tutto, a partire dalla propria anima ancor prima che il proprio corpo. Il ruolo di Crystal (Kristin Scott Thomas ai livelli che le competono), madre di Julian, copre esattamente questo buco, umanizzando un figlio con il quale coltiva un rapporto velatamente edipico. Si sfiorano, si scambiano occhiate languide, ma tutto rimane saggiamente celato sotto un costante avvicendarsi di malizioso detto e non detto. Basta osservare l’esilarante ancorché pungente reazione di Crystal quando Julian le presenta la sua ragazza, Mai: neanche il tempo di sedersi a tavola che la povera malcapitata viene travolta da brillanti insulti, sotto gli occhi di un Julian dallo sguardo glaciale. Tutto ciò è parte di quel pellegrinaggio che, in Only God Forgives, è oramai prossimo al suo climax. Noi veniamo catapultati in quella fase terminale quando, oramai agli sgoccioli, il sentiero di Julian ci pone dinanzi alla vetta di quel percorso.
Refn si dimostra ancora una volta un regista “di bocca buona” e con Solo Dio perdona tende ad accaparrarsi le sicure simpatie anzitutto dei cinefili, che in questo suo sfoggio di bravura non faticheranno a rintracciare nell’opera numerose e blasonate influenze, sia stilistiche che contenutistiche. Perché il regista danese, sembra quasi banale dirlo, il cinema lo conosce e va sempre più acquisendo una padronanza del mezzo senza la quale risulta difficile anche solo immaginare un film così potente, a dispetto di un lavoro dal battito lento, a tratti irritante. Tuttavia la mano ferma di Refn riesce nel non indifferente compito di tenere tutto insieme, senza lasciare che la compattezza di questo suo armonioso lavoro si disfi.
Lo aspettavamo e lo abbiamo avuto, pur non avendo idea alla vigilia di cosa ci sarebbe stato dato in pasto. Il già folto gruppo di estimatori del giovane cineasta avranno di che gioire per un film la cui violenza va ben oltre l’immediato visivo, insinuandosi tra gli interstizi psichici di chi riuscirà a vivere Solo Dio perdona per quello che è, ossia un’esperienza, cupa e densa di colori che si scontrano. Un viaggio allucinato ma lucido, dolce ma crudele, ostile ma seducente. Ma soprattutto onesto.
Voto di Antonio: 9
Voto di Gabriele: 6
Solo Dio perdona (Only God Forgives, Thriller, 90 minuti) di Nicolas Winding Refn. Con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas, Tom Burke, Vithaya Pansringarm, Yaya Ying, Byron Gibson, Gordon Brown, Sahajak Boonthanakit, Charlie Ruedpokanon e Oak Keerati. Nelle nostre sale dal 30 Maggio.