Venere in pelliccia: recensione in anteprima del film di Roman Polanski
Roman Polanski torna a girare un altro gioco psicologico con Venere in pelliccia. In cui un regista teatrale (Mathieu Amalric) ed una misteriosa attrice (Emmanuelle Seigner) sono gli unici personaggi in scena. Regista vs. attore, uomo vs. donna, in un raffinato e provocante divertissement. In concorso al Festival di Cannes 2013: leggi la recensione.
Il regista e sceneggiatore teatrale Thomas si trova da solo a Parigi dopo una lunga giornata a fare audizioni per trovare l’attrice principale del suo nuovo spettacolo. Si lamenta al telefono della pochezza di talento che ha visto. Nessun’attrice ha quel che bisogna avere per interpretare il personaggio di una donna che accetta di diventare la “padrona” di un uomo in un gioco erotico sadomasochista. Thomas sta per lasciare il teatro, proprio quando entra Vanda: un vero vortice di esuberanza, eccentricità e carica erotica.
A prima vista sembra possedere tutto ciò di cui Thomas si è lamentato: è invadente, sboccata, estremista e mal preparata. O così pare. Ma quando l’uomo decide finalmente, anche se riluttante, di farle il provino, resta meravigliato ed accattivato dalla sua trasformazione. Non solo Vanda è perfetta per la parte – ha anche lo stesso nome del personaggio -, ma ha pure fatto delle ricerche approfondite per comprare il materiale di scena ed ha imparato i dialoghi a memoria. La somiglianza sembra andare oltre la superficie. Mentre il provino entra nel vivo, l’attrazione di Thomas si trasforma in ossessione…
Ancora un solo ambiente, ancora pochissimi personaggi che vorrebbero anche uscire da lì ma non possono, e ancora un gioco psicologico. Roman Polanski torna sui territori del suo precedente Carnage con Venere in pelliccia, tratto dall’omonima piece teatrale di David Ives, che a sua volta si rifà alla novella scritta da Leopold von Sacher-Masoch nel 1870. Con lui nacque il termine sadomasochismo nella seconda metà del 1800. Polanski dice di non essere affatto un conoscitore di questo mondo: ma, a livello cinematografico, è indubbiamente il re del sadomaso.
Venere in pelliccia segna innanzitutto la prima collaborazione con la moglie Emmanuelle Seigner dal 1999, anno del discusso La nona porta. Con la Seigner, Polanski ha fatto alcuni dei suoi titoli più chiacchierati, come Frantic e soprattutto Luna di fiele, il gioco al massacro “erotico” definitivo del regista. Ma Venere in pelliccia segna un ulteriore passo avanti nella poetica di Polanski, perché si tratta del suo lavoro con meno personaggi di tutta la sua filmografia: solo Vanda e Thomas, interpretato da Mathieu Amalric.
Una vera sfida fatta solo di due personaggi costantemente in scena: Carnage ne vede quattro, mentre il suo esordio, Il coltello nell’acqua, ne vede tre. Polanski purissimo, quindi. E si discuterà ancora una volta se questo sia effettivamente cinema o soltanto “teatro filmato”. Polanski ne è ben conscio, e per questo fa alcuni cambiamenti rispetto allo spettacolo teatrale. Venere in pelliccia è ambientato originariamente in una stanza per le audizioni, ma il film apre tutto il teatro Théâtre Récamier (ridisegnato da Jean Rabasse per l’occasione) solo per la macchina da presa, dal palco fino al dietro le quinte.
Il film funziona come un diesel: all’inizio può anche far storcere il naso, perché si tratta di un continuo botta e risposta tra “testo teatrale” nel film e dialoghi del film stesso. Vanda e Thomas infatti recitano diverse parti dello spettacolo che il regista vuole portare in scena, citandolo quasi tutto. Ma quando la tensione e la carica “perversa” iniziano a prendere mano, Venere in pelliccia decolla e non si ferma più.
Girato tutto in tempo reale, ovvero senza stacchi di montaggio riconducibili a cesure temporali, il film pare mettere in gioco lo scontro fra due coppie di “entità”: il regista e l’attore, e l’uomo e la donna. In entrambi i casi chi sembra avere il potere in mano sono il regista e l’uomo: ma la Vanda di Polanski gioca duro, e tiene in pugno la situazione dall’inizio alla fine. E anche se i ruoli/personaggi ad un certo punto vengono scambiati, chi conduce il gioco è sempre lei (sin da subito: notare come è in grado di cambiare le luci in scena…).
Scritto in modo raffinato e messo in scena con l’eleganza tipica del regista, Venere in pelliccia vanta appunto un pazzesco lavoro sulle luci, che formano gran parte del lavoro del direttore della fotografia Pawel Edelman. Mentre Alexandre Desplat, che ha scritto le musiche dei precedenti L’uomo nell’ombra e Carnage, scrive una partitura più ricca rispetto a quella dell’opera precedente e si lascia andare ad un tema iniziale e finale di stampo carnevalesco, che accompagna i travelling che ci fanno entrare ed uscire dal teatro dove si svolge il film.
Tutta la parte finale è bellissima, tutta costruita sulla fusione tra ruoli e personaggi, nomi volutamente confusi e una tensione “sessuale” e sottilmente perversa che conquista. La Seigner, vestita in pelle, non è forse mai stata così brava, ed Amalric – a cui viene messo il collarino! – ricorda seriamente Polanski a livello fisico. Il regista vi dirà che è un caso: e infatti Venere in pelliccia ha tutta l’aria di un divertissement, che vuole giocare con dialoghi brillanti e con il mezzo (teatrale e cinematografico). Ci si diverte, anche perché viene citato un cane che si chiama Derrida e c’è una danza finale che può far venire i brividi.
Voto di Gabriele: 7
Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure, Francia 2013, drammatico, 90′) di Roman Polanski; con Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric. Prossimamente in sala grazie a 01 Distribution.