Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian): recensione in anteprima del film di Arnaud Desplechin
Arnaud Desplechin gira il suo primo film in America: Jimmy P. (Psychothérapie d’un Indien des Plaines), in concorso al Festival di Cannes 2013. Una storia vera che porta sul grande schermo la figura dell’antropologo Georges Devereux, tra psicoanalisi, etnie e rapporto medico-paziente. Ma neanche Benicio Del Toro e Mathieu Amalric possono salvare un film noioso in cui il suo autore si appiattisce del tutto. Ecco la nostra recensione.
“Una persona in pace con sé stessa è in pace con gli altri”. Scava nella psicologia il nuovo film di Arnaud Desplechin, la sua seconda opera in inglese e la prima girata in America. Jimmy P. (Psychothérapie d’un Indien des Plaines) è tratto da una storia vera, e porta sul grande schermo la figura del francese Georges Devereux, interpretato da Mathieu Amalric: prima etnologo in Francia, poi psicoanalista negli States.
Ma il protagonista che dà il titolo al film è Jimmy Picard, interpretato da Benico Del Toro: un nativo americano, un Indiano delle Pianure della tribù dei Blackfeet che torna dalla Seconda Guerra Mondiale ed inizia a provare dei sintomi inspiegabili. Siamo a Browning, Montana, nel 1949, quando la sorella di Jimmy decide di portarlo al Winter Hospital di Topeka, Kansas: “Hai soltanto una vita”, gli sussurra in un orecchio prima di prendere il treno per raggiungere l’ospedale.
Una vita che deve riprendersi in mano e rimettere a posto, prima che sia troppo tardi: anche perché l’uomo non ha mai dimenticato la sua ex moglie, Lily, e sua figlia, che non vede da tanto, troppo tempo. In più, nell’ultimo mese, Jimmy ha pure perso brevemente la vista per ben tre volte. I medici iniziano a fare tutti gli esami psico-fisici del caso, ma non riescono a capire cos’abbia effettivamente.
È anche vero che non hanno mai avuto in cura un indiano, e quindi decidono di chiamare Devereux, che sta a Brooklyn ed è visto con aria un po’ sospetta dall’associazione degli psichiatri per le sue teorie sull’etnologia nuove e strampalate. Il medico non crede che Jimmy abbia problemi fisici o sia afflitto da schizofrenia, ed indaga invece sui suoi sogni, visto che afferma che a volte non sa se è sveglio o sta sognando.
Jimmy fa dei sogni stranissimi che gli sembrano ogni volta decisamente reali: una volta è su un muro ed ha la sensazione di star per cadere, un’altra combatte contro un uomo senza volto prima di venire inghiottito dalle sabbie mobili, un’altra ancora incontra un orso… Desplechin si affida a queste scene oniriche, girate con particolare perizia tecnica, per raccontarci un po’ di più della mente del suo protagonista. Ma il centro del film è la relazione di amicizia (e di fiducia, che ad un certo punto si spezza) tra Jimmy e Devereux.
Visto il tipo di relazione che s’instaura tra i due (ad un certo punto del film appare quasi secondario, ma non bisogna dimenticare che il protagonista sembra all’inizio soffrire da stress post-traumatico dopo la guerra) viene quasi naturale fare dei paragoni tra Jimmy P. e The Master: tutto a discapito del primo. Perché Desplechin non riesce a creare l’atmosfera giusta per mantenere vivo il suo film.
Jimmy P. perde anche contro il Cronenberg di A Dangerous Method. In entrambi i film ci sono la psicoanalisi e un rapporto medico-paziente, entrambi i film sono molto parlati, ma è evidente che in Cronenberg ribolle sotto lo stile cauto e “impersonale” una tensione che qui è totalmente assente. Il film è talmente piatto che sembra che Desplechin abbia lasciato perdere la sua “visione” per rimettersi nelle mani dei due protagonisti. Che sono bravi, certo, ma non possono reggere due ore di sedute, sogni e sottotrame poco sviluppate: come quella della relazione di Devereux con Madeleine, utile solo per l'”ultima scena” del personaggio di Amalric.
In Jimmy P., che potremmo quasi ribattezzare “La versione di Jimmy”, non ci si concentra alla fin fine troppo a fondo su psicologia, psicoanalisi, stress post-traumatico ed etnie (anche se sarà curioso vedere quanti fiumi di inchiostro verranno spesi per parlare della “psicoanalisi dell’America”…): si parla piuttosto di rapporti di fiducia e dell’importanza di ritrovarsi, per poi ritrovare il proprio spazio nel mondo. Ma quanto piattume, che delusione, e che sbadigli.
Voto di Gabriele: 4
Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian) (Usa 2013, drammatico 120′) di Arnaud Desplechin; con Benicio Del Toro, Mathieu Amalric, Gina McKee, Larry Pine, Joseph Cross, Elya Baskin, Gary Farmer, Michelle Thrush, Misty Upham, Jennifer Podemski, Michael Greyeyes, A Martinez, Danny Mooney, Linda Boston, Arnold Agee.