A Lady in Paris: Recensione in Anteprima
Ritratto dolce e mai banale sulla perdita e sull’amare, A Lady in Paris ci regala anzitutto una meravigliosa Jeanne Moreau, nonché una storia tenera e dai ritmi tutt’altro che serrati. Anche per una storia d’amore
In una gelida serata estone, la non più giovane ma altrettanto bella Anne rientra in casa dopo aver raccattato per strada il proprio cognato: un molesto beone, apparentemente senza speranza. Divincolatasi tra le grinfie del corpulento parente acquisito, sfonda la porta di casa, dietro la quale si era asserragliata l’anziana madre; distesa per terra, la dolce vecchietta sembra non ricordare chi sia la donna che ha davanti. Amnesia dovuta all’urto? No, inesorabile demenza senile.
In questa descrizione delle prime fasi di A Lady in Paris si cela tutto ciò su cui, da lì in avanti, ci si soffermerà. Con delicatezza, quasi pudore nel rappresentare situazioni così fragili, il cui approccio non è mai abbastanza appropriato. Il regista Ilmar Raag confeziona un film sincero, pur barcamenandosi tra personaggi non sempre distanti da certi stereotipi, ma non per questo meno adorabili.
È questo il caso della fenomenale Jeanne Moreau, se non protagonista, certamente trascinatrice e termometro di questa complessa vicenda. L’intramontabile Moreau interpreta Frida, un ex-diva del Teatro, anch’ella estone, emigrata molto giovane a Parigi. Ed è proprio da quest’ultima che Anne, morta sua madre, si reca per lavorare. Esasperata dal quel contesto che l’ha tenuta ingabbiata per anni, Anne decide di espatriare, cogliendo al volo l’opportunità di fare da balia in Francia.
Da qui A Lady in Paris (che in francese s’intitola, in maniera più incisiva, Une Estonienne à Paris) comincia ad assumere consistenza. Tassello dopo tassello, il garbato mosaico prende forma, restituendoci non soltanto un’umanità inizialmente assente per via di una freddezza pari al gelo riscontrato in quelle prime battute, ma anche delle notevoli interpretazioni, non solo da parte della già citata, splendida Moreau.
Anche Laine Magi, l’attrice che interpreta Anne, si comporta più che dignitosamente. Lei e Frida sono due personaggi se vogliamo speculari; entrambe, ciascuna a proprio modo, melanconiche, tristi. Anne emana una fragilità che appare quasi a lei connaturata, dato che oramai fa parte della sua personalità: estremamente umile, sottomessa ma con signorilità. Peculiarità che, almeno in un primo momento, fanno di lei una sorta di eroina cristica, carne innocente nelle grinfie di famelici e rozzi macellai. Frida, invece, s’impone a sua volta per un altro tipo di signorilità, quella smaliziata, altezzosa, ficcante. Battuta sempre pronta per la facoltosa signora, che non perde occasione per far pesare la propria condizione, sia sociale che anagrafica.
Entrambe, però, sono accomunate da un’angoscia che aleggia per tutto il tempo, affrontata in maniera diversa da ognuna delle due. La deliziosa Anne si trova a smaltire una perdita per certi aspetti agognata, che le ha causato più sofferenza finché non si è concretizzata. La scontrosa Frida, al contrario, deve sì smaltire una perdita, ma dinanzi alla quale non riesce in alcun modo a rassegnarsi. Quasi a volerci dire che tanto più si è disposti a perdere quanto più si ama, A Lady in Paris tratteggia le fasi conclusive di un più o meno lungo travaglio, fermandosi saggiamente lì, sul punto di mostrarci l’entità delle ferite.
Come già accennato, non manca il tatto da parte del regista estone. Un’atmosfera innegabilmente greve, viene stemperata da alcune mordaci ma al tempo stesso esilaranti uscite di Frida, mai fuori posto. Per questo abbiamo descritto la Moreau quale termometro della pellicola, proprio in virtù di quel sua saper bilanciare i toni, prendendo letteralmente per i capelli il film esattamente in quei punti in cui è in procinto di sgattaiolare verso non sappiamo dove.
Nondimeno, resta il mistero che si cela dietro l’attempata signora, svelato con riguardosa discrezione, perché tutto in A Lady in Paris viene maneggiato con i guanti di velluto, dalla sceneggiatura alla regia, quest’ultima totalmente asservita ai personaggi attorno ai quali ruota praticamente ogni cosa. Tanto che alcuni potrebbero non gradire tale tocco, così attento e ricercato: sarebbe un peccato, ma ci sta, perché l’intero film procede lungo la medesima linea, pressoché mai scostante. Senza affannarsi nel febbrile tentativo di tenere incollato lo spettatore, il reale valore va ricercato in quelle due signore estoni e nel loro inconsapevole aiutarsi a vicenda per uscire dai rispettivi gusci. Ed è ovvio che nelle loro storie ci sia parecchio dolore, ma il tutto è raccontato con una tenerezza che nella maggior parte dei casi tocca i tasti giusti.
Voto di Antonio: 7
A Lady in Paris (Une Estonienne à Paris, Francia, 2012), di Ilmar Raag. Con Jeanne Moreau, Ita Ever, Patrick Pineau, Corentin Lobet, Laine Mägi, Fabrice Colson, Piret Kalda e Tõnu Mikiver. Nelle nostre sale dal 16 Maggio.