Effetti collaterali: Recensione in Anteprima del film di Steven Soderbergh
Uno Steven Soderbergh oltremodo impegnato negli ultimi tempi, si accinge a chiudere il suo ciclo di pellicole consecutive, in pochissimo tempo, con Effetti collaterali. Thriller provocatorio a tinte noir ambientato in una patinata New York.
Più volte sedotto e più volte abbandonato, per poi essere nuovamente sedotto, il pubblico di Soderbergh – che conta più militanti tra i non-addetti-ai-lavori anziché il contrario – ha dovuto suo malgrado assistere ad un avvicendarsi di notizie contraddittorie. Più di una volta, infatti, il regista premio Oscar si è detto in procinto di scendere dalla nave, di essere pronto a fare a meno del cinema; salvo poi smentirsi direttamente o indirettamente, come accaduto di recente. Quattro film in circa due anni (con Behind the Candelabra ai nastri di partenza, pronto per l’HBO ma, si dice, pure per Cannes), spaziando tra più generi, com’è solito fare lui.
Questo è uno dei più prominenti tra i caratteri distintivi del suo approccio al mezzo, ossia la mancata specializzazione. Soderbergh non ha bisogno di generi, di cui al massimo si serve per veicolare il proprio cinema. Certo, non mancano le predilezioni, quei terreni su cui in più occasioni ha voluto ambientare i propri lavori; tuttavia senza mai legarsi troppo, lasciando a sé stesso la possibilità di “fuggire o prendersi una pausa” non appena gli si fosse presentata l’occasione. Un modus operandi che spiega, almeno in parte, il suo vivere con un piede dentro ed uno fuori dall’industria. Un’industria regolata da dinamiche che il diretto interessato conosce evidentemente molto bene, ma che oramai pare faccia fatica a tollerare.
Recentemente intervistato ai microfoni di Vulture, Soderbergh ha ribadito tale concetto estendendolo ad una sorta di gabbia esistenziale, dovuta non ad una bensì a più cause. Stanco della narrazione (così per come comunemente intesa), il regista americano ritiene tale «tirannia» (cit.) vieppiù soverchiante. Eppure probabilmente nessuno come lui ha avuto modo di cimentarsi in produzioni così agli antipodi, non solo in termini di contenuto: ci sono state le mega-produzioni hollywoodiane (gli Ocean’s, per esempio), così come i progetti indipendenti. E di nessuno di questi pare si sia “pentito” (ci mancherebbe), accogliendoli tutti come figli legittimi, mai indesiderati né imposti.
Eppure, a ben vedere, qualcosa del buon vecchio Steven la troviamo sempre nei suoi film; solo che quasi mai è la medesima cosa. Parliamo di un effetto particolare, di un’atmosfera che ci attanaglia trascendendo qualunque situazione venga trasposta sul grande schermo. Senz’altro, in tal senso, gioca molto la sua poliedricità: sì perché Soderbergh è regista almeno quanto è fotografo e montatore. Inutile sottolineare quanto una così pronunciata duttilità giochi a favore di un’impronta pressoché univoca, proprio per quanto attiene all’ambito che maggiormente lo contraddistingue, vale a dire quello visivo.
Non è da meno la sua ultima fatica, Effetti collaterali. Un thriller per tanti aspetti canonico, che i più apprezzeranno proprio in relazione al suo scorrere su binari piuttosto codificati. In superficie abbiamo una storia ricca di colpi di scena, con una parte tragica ed una seconda che ribalta quella precedente. Per certi aspetti possiamo affiancare Side Effects (titolo originale) al suo recente Contagion, nel suo partire da una premessa, foraggiarla per buona parte della narrazione e poi capovolgerla del tutto. Anche stavolta, vero termometro di questo fulminante passaggio è un Jude Law appropriato come pochi. Elegante, ossessivo, cinico; tutti termini che ben si addicono alla pellicola tutta. Law interpreta uno psichiatra (il dottor Banks) che prende in carico il caso di Emily, una giovane ragazza che soffre di una forma di depressione. Proprio questa incerta diagnosi, come in tanti, troppi casi accade (specie negli States, avidi consumatori di psicofarmarci), induce il dottor Banks ad affiancare alle sedute di terapia dal vivo alcune pillole; mix che, unito all’instabilità della paziente, condurrà quest’ultima a commettere addirittura un gesto estremo come l’omicidio.
In altre parole, ordinaria amministrazione. L’industria farmaceutica rappresenta una delle lobby notoriamente più influenti al mondo, realtà che presta il fianco a parecchie critiche in merito all’innegabile abuso di farmaci per curare una lunga lista di disturbi stipati a forza nella generica ma pericolosa categoria delle malattie psichiche. Un settore che aggiunge e derubrica condizioni e stati mentali con una nonchalance disarmante, rendendo operativi tali “aggiornamenti” (!) con la pubblicazione dei vari DSM, la Bibbia in ambito psichiatrico.
Perché questa lunga precisazione? Perché, come in Contagion, l’assunto di fondo altro non è che un trampolino di lancio per una tematica successiva; strettamente legata a quella di partenza, ma che, a conti fatti, ribalta ogni cosa. L’empatia che Side effects riesce a stabilire tra i suoi personaggi e lo spettatore è encomiabile: dal generale di una questione di estrema attualità, ancora una volta è il singolo a farla da padrone, nell’accezione più assurda del termine. Una parabola ascendente e discendente al tempo stesso, i cui attori sperimentano il gelido glaciale di una situazione e l’afa infernale di un’altra nel giro di poco meno di due ore – peraltro, a parti invertite. Il personaggio di Law è estremamente emblematico in tal senso; la sua ambiguità morale e formale riflette l’ironica ambivalenza di una pellicola che non disdegna in più occasioni il contatto discreto con la commedia nera. Rooney Mara è un’altra che rema decisamente nella stessa direzione, piazzando un’interpretazione di spessore notevolissimo; anche lei tenuta ad assecondare l’andamento bipolare della narrazione.
Verrebbe quasi da cedere alla tentazione di osservare come Side Effects funzioni nella misura in cui Law e la Mara buchino lo schermo con le loro prove. Trattasi però di una deriva alla quale resistiamo volentieri, perché vorrebbe dire non riconoscere anzitutto un lavoro di sceneggiatura piuttosto pregevole. Il film ci risparmia infatti il tedio di più o meno lunghe dissertazioni, e scientifiche e morali, sulla portata di un fenomeno così ampio come quello relativo all’abuso indotto di psicofarmaci. Non un mero esercizio di erudizione, dunque, nonostante la partecipazione di uno psichiatra vero e proprio (il dottor Sasha Bardey) alla stesura. No, il tutto è calato in un contesto fortemente filmico, attento ai tempi, alla dilazione dei contenuti, alle immagini. Il tutto condotto con una spontaneità che non ha di conseguenza pressoché nulla di rigoroso, forte dell’impatto spiccatamente cinematografico che Soderbergh è riuscito ad infondervi.
Accodandoci a quanto espresso in apertura, torniamo a ripetere che i film di Soderbergh vanno saputi vedere. Non c’è alcuno sprezzo verso qualsivoglia tipologia di spettatore in quanto appena evidenziato, ma è giusto far notare che anche Side Effects, come buona parte dei film del regista americano (la cui filmografia segnala non pochi scivoloni, ad essere sinceri), riesce a distinguersi per ben altro rispetto a ciò che c’è in superficie. Solo che stavolta, servendosi in maniera piuttosto arguta di alcune misure tipiche del thriller psicologico, riesce ad entrare potenzialmente nelle corde di un pubblico decisamente più vasto; il quale, anche solo per il graduale twist della seconda metà, risentirà di un onesto ceffone inizialmente destabilizzante, ma per cui si ringrazierà di lì a poco. Chi scrive, di solito, non vede di buon occhio chi non prende posizione; ma anche stavolta bisogna riuscire ad andare al di là della scorza, ed individuare la posizione di questo film ad un livello diverso rispetto a ciò che è immediatamente percepibile. Questioni che non scopriamo certo adesso, ma la cui indagine viene condotta con un piglio difficilmente riscontrabile oggigiorno in sala.
Soderbergh firma così l’opera migliore di questi suoi ultimi due anni almeno, dopo Contagion, Haywire e Magic Mike, film tutto sommato nella media. E se del suo penultimo lavoro, uscito dalle nostre parti pochi mesi fa ed intelligentemente incentrato sulla vita di alcuni spogliarellisti, ci piace ricordare il tiepido giallo nel cui calamaio hai intinto la pellicola, con Side Effects non riusciremo forse a fare a meno di pensare al grigio tutte le volte che lo evocheremo; freddo, distaccato, appena venato di qualche nota amaramente sarcastica. Spunti cromatici che ci aiutano quantomeno ad entrare in certi discorsi: al centro, ancora una volta, l’uomo, la cui ampiezza non viene certo vanificata da argomenti pretenziosi, bensì richiamata a più riprese mediante uno studio attento, che sa coinvolgere, intrattenere e (perché no?) pure divertire. Un gioco ad incastro in costante divenire, dove quasi nulla di ciò che scorgiamo è quello che sembra.
Voto di Antonio: 8,5
Voto di Gabriele: 5
Effetti collaterali (Side Effects, USA, 2013), di Steven Soderbergh. Con Channing Tatum, Vinessa Shaw, Jude Law, Catherine Zeta-Jones, Rooney Mara, David Costabile, Polly Draper, Laila Robins, Ashlie Atkinson, Kerry O’Malley, James Martinez, Greg Paul, Andrea Bogart, Nicole Ansari-Cox, Carol Commissiong, Peter Y. Kim, Kevin Cannon, Kelly Southerland e Dennis Rees. Nelle nostre sale da mercoledì 1 Maggio.