Muffa – trailer italiano, poster, foto, note di regia e intervista al regista Ali Alydin
Trailer italiano, poster, foto, note di regia e intervista al regista Ali Alydin, aspettando di vivere lo smarrimento di Muffa (Küf) al cinema.
Dal 30 aprile 2013, la Sacher Distribuzione porta al cinema lo smarrimento, la solitudine, la ricerca ostinata e i silenzi di Muffa (Küf), l’opera prima, scritta e diretta dal giovane Ali Aydin, interpretata in modo intenso e coinvolgente da Ercan Kesal, nei panni del 55enne Basri alla ricerca ostinata del figlio scomparso, e da Tansu Bicer, in quello del piccolo piccolo furfante Cemil, capace di commettere il peccato più grave restando in silenzio.
Basri è un guardiano delle ferrovie. Il suo lavoro consiste nel controllare i binari. Per fare questo percorre a piedi venti chilometri al giorno. D’estate, d’inverno, che piova o che nevichi… Qualsiasi cosa succeda, deve svolgere il suo lavoro in zone sperdute e in grande solitudine.
Il figlio di Basri, Seyfi, è stato arrestato 18 anni fa per le sue opinioni politiche. Questa è l’ultima cosa che Basri sa di suo figlio. Sei anni dopo la sua scomparsa, la moglie di Basri è morta e lui è rimasto solo. Per 18 anni, ha scritto due lettere al mese: una al Ministero degli Interni e una alla Questura. In quelle lettere esprime ogni volta solo la speranza di ritrovare il figlio, nient’altro, e per via di quello che ha scritto, Basri è stato torturato, interrogato e messo in isolamento. Ma niente potrebbe fermare Basri nei suoi tentativi per ritrovare il figlio.
Un giorno, Basri viene a sapere che il corpo di Seyfi è stato ritrovato e si reca a Istanbul per recuperarlo. Le ossa del figlio che ha cercato per 18 anni si trovano adesso nelle sue mani. E ora si sente più solo di prima.
Una co-produzione turco-tedesca 2012, prodotta da Motiva Film, Yeni Sinemacilar, co-prodotto da Beleza Film, presentato alla 27. Settimana Internazionale della Critica, della 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film ha vinto il Premio Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima (Luigi de Laurentiis), ma anche il Postproduction Award 2011 – Sarajevo CineLink 2011, The Work in Progress, e di recente ha ottenuto il marchio di qualità “Film della Critica” dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI).
Note di regia
Nel 1995, un gruppo di donne ha iniziato una protesta permanente. Avevano deciso di riunirsi ogni sabato davanti al liceo di Galatasaray con le fotografie dei propri figli scomparsi in seguito al loro arresto. Dopo un po’, la stampa ha battezzato questo gruppo “Le madri del sabato”. Non dimenticherò mai la loro lot- ta silenziosa e le fotografie bran- dite.
Quando nel 2003 ho iniziato a scrivere la sceneggiatura di “Muffa”, le prime domande che mi sono posto sin dall’inizio sono state: su cosa mi devo concentrare per raccontare questa storia? Quale deve essere il punto di vista? Devo seguire le vicende di coloro che aspettano? O di coloro che sono spariti dopo l’arresto?
Ho deciso di raccontare la storia di chi rimane, una famiglia devastata dalla perdita. E mi sono convinto che la cosa più importante su cui concentrarsi era la coscienza. Perché l’elemento che mi ha portato a scrivere questa storia è stato la mia coscienza. Scrivendo, volevo mettermi in pace con lei e fare in modo che la tragedia delle persone scomparse pesasse sulla coscienza di tutti.
Durante la fase di scrittura, che è durata 7 anni, sono stato colpito da due cose: la prima riguarda senz’altro le storie delle famiglie devastate degli scomparsi, la seconda è legata invece alla lettura di Dostoïevski, che descrive con acume in quasi tutte le sue opere la solitudine, le nevrosi, i sensi di colpa, i dubbi, le malinconie che as- salgono la coscienza umana. La cupezza delle sue atmosfere ha nutrito così l’essenza del mio personaggio che perde a poco a poco la speranza. Ali Aydin
Intervista al regista Ali Aydin
di Giulia Ghiri per la Settimana della Critica a Venezia 2012
Chi era Ali Ayd?n prima di diventare un regista?
Quando ero uno studente universitario, ho partecipato a diversi workshop incentrati su differenti aspetti dell’arte. Una di queste era il cinema. Non avevo l’intenzione di di- ventare un regista o uno sceneggiatore. E’ capitato poi che girare video sperimentali e creare installazioni diventasse il mio scopo: essenzialmente, ero intenzionato a lavorare nel campo dell’arte contemporanea. La libertà che offre la video-arte nel territorio della sperimentazione mi ha sempre attratto. In ogni caso, ho completamente cambiato idea quando ho cominciato ad occuparmi di lavori cinematografici e di sceneggiatura. Il cinema è senza dubbio un campo più produttivo: la scenografia, le luci, la macchina da presa, il colore, la sceneggiatura e gli attori… la ricchezza del cinema è veramente affascinante. Quando ho avuto l’opportunità di lavorare come assistente in un film durante i miei studi universitari, ho accettato senza esitazione e iniziato a lavorare subito. Per il periodo in cui ho fatto da assistente, ho alimetato il desiderio di fare un mio film. In alcuni momenti certi sentimenti e umori mutevoli ti fanno crollare… La sensazione che non avrei mai potuto essere in grado di raccontare delle storie o di fare i film che sognavo era davvero irritante. E invece, in questo periodo, provo la forte emozione di scrivere già il mio secondo film.
Che necessità ti ha spinto a scegliere questa storia per il tuo film?
Ero decisamente coinvolto dalla profondità e dal senso di turbamento che mi evoca il concetto di conscio e dei segni profondi che ha lasciato nella mia memoria. La parte cosciente agisce in maniera differente per ogni essere umano, alcuni ne sono sconfitti, altri la vincono, o alcuni altri sono l’esempio della mancanza di consapevolezza. Mentre noi osserviamo l’intenzione di qualcun altro, in realtà facciamo i conti con noi stessi. Solo una persona agisce con coscienza, o no? Non lo so, o forse non lo voglio sapere. Tutto quello che so è che l’unica cosa che mi ha fatto scrivere questa storia è la mia coscienza.
Com’è stato cimentarsi con un lungometraggio?
Il mio periodo come assistente è stato molto importante per me, perché non avevo mai girato neanche un cortometraggio prima. Dopo che il mio progetto ha ricevuto il supporto del Ministero della Cultura, ho iniziato una lunghissima preparazione. Ho iniziato il lavoro di ricerca degli attori dopo che ho stabilito esattamente l’ambientazione. Ho perfino deciso angolazioni e inquadrature con il direttore della fotografia prima di iniziare le riprese. Abbiamo anche fatto molte prove con gli attori prima di girare. Tutti gli attori hanno ricevuto ogni dettaglio possibile sui loro personaggi e questo ha offerto la possibil- ità di provare nuove cose anche dopo aver trovato ciò che volevamo. Ho capito quanto importante fosse la preparazione dopo che le riprese sono iniziate. Un altro aspetto dif- ficile nel girare un lungometraggio è il fatto di non poter girare le scene secondo il loro ordine nella sceneggiatura. Un giorno giri la prima sequenza e quello successivo devi girare la scena finale. In certi momenti anche mantenere l’integrità della sceneggiatura e proteggere la concentrazione degli attori hanno fatto parte del lato difficile del processo.
Com’è stata l’esperienza del set? (il momento più difficile e quello più gratificante?)
Realizzare una scena scritta nella sceneggiatura e filmarla in modo che rimanga fedele a come è stata scritta è probabilmente il momento più emozionante di fare cinema. C’è una lunga sequenza in Muffa (Küf) che costituisce la spina dorsale dell’intera storia. Questa scena era stata concepita in nove pagine in sceneggiatura mentre per le riprese la scena sarebbe dovuta durare undici minuti con il ritmo che abbiamo previsto dagli attori. Nel piano di lavorazione abbiamo posizionato questa scena all’ultimo giorno perché ave- vamo pianificato di utilizzare il resto del negativo che avevamo proprio per questa scena in particolare. Ciò che avevo in mente fin dal momento in cui scrivevo la sceneggiatura era di girare questa sequenza in un’unica ripresa. Questa era la sequenza che determinava il mio punto di vista come regista sulla storia. Per questa sequenza, abbiamo preparato una bobina di negativo 35 mm di 11 minuti . Non volevo che gli attori perdessero la concentrazione a causa del cambio di rullo. Abbiamo iniziato a girare dopo una prova generale. Alla fine però, in un modo o nell’altro non ho potuto ottenere quello che volevo e la pellicola era diventata da buttare. Dopo qualche altra prova andata male abbiamo discusso con tutti gli attori su come sarebbe potuta essere la scena. Ricordo di avere detto che la tensione fra due personaggi sarebbe dovuta essere più evidente. Non avevo sentito così tanta pressione dall’inizio della lavorazione. Dopo l’ultima discussione abbiamo nuovamente iniziato a girare. E finalmente il risultato è stato esattamente quello che avevo desiderato. Nonostante avessi voluto che la scena fosse un unico piano sequenza abbiamo girato delle inquadrature ulteriori, ma durante il montaggio ho praticamente las- ciato l’intera sequenza come un’unica inquadratura. Alla fine la sequenza portante della sceneggiatura aveva funzionato perfettamente.
Al momento, hai qualche idea per dei progetti futuri?
Ho un progetto a cui mi sto dedicando attualmente e di cui sto scrivendo la sceneggiat- ura. Sto cercando di fare un’osservazione sulla violenza con la quale gli uomini hanno paura di confrontarsi e alla quale sono inclini. Sto scrivendo una sceneggiatura che pon- ga l’interrogativo su come noi giustifichiamo la violenza.
Il film è ispirato alla protesta delle donne del sabato. Perché invece il protagonista principale è un uomo?
La ragione per la quale ho raccontato la storia di un padre al posto di una madre è dovuta al fatto che volevo porre una distanza tra il pubblico e il film. Voglio dire che se il personaggio principale fosse stato una madre, le persone avrebbero avuto uno sguardo più vicino, addirittura forse compassionevole. Tuttavia come società noi manteniamo una distanza dalle Madri del Sabato. Nessuno stabilisce un legame profondo con loro; non potremmo… perché non siamo passati per ciò che hanno passato loro. Noi non stiamo sopportando tutto quel dolore e i nostri cari sono tutti intorno a noi. Ma per loro non è così… Nella società turca è facile affezionarsi a una madre ma non è necessariamente così facile stabilire questo legame con un padre. Perché questo è il ruolo che la società affibbia agli uomini: un padre deve essere protettivo, deve essere quello che è sicuro e solido. Questa posizione pone involontariamente una distanza tra il padre e i figli. Nondimeno ci sono padri, fratelli e bambini tra le Madri del Sabato. Due figli di un padre chiamato Osman Efeoglu sono stati fatti sparire dalla polizia nel 1992 e nel 1994. Nessu- no è passato attraverso ciò che Osman Efeoglu ha vissuto. Gli sono stati presi entrambi i figli, prima Ayhan poi Ali… E nel 1992 Osman Efeoglu era tenuto sotto custodia mentre era studente della mia università. Questa è un’altra ragione per cui il mio personaggio è un padre; questa è la storia di Osman Efeoglu che non ha ricevuto notizie dei suoi figli per anni.
Hai impiegato sette anni per scrivere la sceneggiatura. Come mai così tanto tempo? L’idea originale è cambiata durante il tempo?
La ragione più importante per la quale la sceneggiatura di Muffa (Küf) è durata sette anni è stata la mia incertezza. Non riuscivo a decidere di quale parte della storia avrei dovuto parlare per lungo tempo. Non riuscivo ad essere sicuro nemmeno se avrei dovuto parlare delle persone che erano scomparse o di quelle dimenticate. In questo modo ho iniziato a fare ricerche sulle Madri del Sabato e ho iniziato a leggere le loro storie. Ricordo di non essere stato in grado di scrivere una sola riga per lungo tempo dopo la mia fase di ricerca perché è stato impossibile non rimanere profondamente commossi da quello che ave- vano passato. Quando ho deciso di continuare la sceneggiatura stavo lavorando come assistente in una serie tv. Ho iniziato a scrivere senza fermarmi tutte le notti per 6-7 mesi e quando ho finito, era il 2010.
Per cui ho impiegato sette anni per scrivere la sceneggiatura che ho iniziato nel 2003 prendendo qualche annotazione. Lungo questo processo sono rimasto fedele al concetto originario. Sebbene abbia cercato di apporre qualche cambiamento, mi sono sempre ritrovato al punto di partenza. Infatti quello che volevo scrivere era davvero semplice: la ragione per la quale un uomo sopravvive alla morte del proprio figlio è il figlio stesso, alla fine. Il mio obbiettivo era quello di raccontare la lotta di un uomo che è solo o alienato dagli altri, dal sistema, dallo stato e non mi sono mai allontanato da questo obiettivo.
Via | Sacher Distribuzione – Guido Curcio