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Educazione siberiana: Recensione in Anteprima

Torna il regista premio Oscar Gabriele Salvatores con il suo nuovo Educazione siberiana. Ecco la nostra recensione in anteprima del film con John Malkovich

pubblicato 22 Febbraio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:18

«Educazione siberiana si avvicina di più al genere di cinema che sognavo di fare quando cominciai». Queste furono le parole di Gabriele Salvatores in occasione della presentazione di Educazione siberiana a Courmayeur. Esternazioni che, per quanto ci riguarda, non passarono affatto inosservate, specie alla luce di un primo trailer abbastanza intrigante.

Ora Educazione siberiana ci è stato mostrato e non ci resta che tirare le somme di questa prima visione. Progetto ambizioso già in premessa, sia perché si trattava di adattare un romanzo alquanto corposo, sia perché l’intenzione è stata sin da principio quella di conferire a questa pellicola un taglio da blockbuster (o almeno avvicinarsi a quei livelli).

Un unicum nella filmografia del regista di origini partenopee, nonché, stando sempre alle sue parole, una specie di sogno divenuto realtà. In una cornice altrettanto inusuale per lui, che insieme a cast e troupe ha dovuto sfidare temperature rigidissime ed ambientazioni davvero particolari.

Educazione siberiana ci porta in un mondo distante non solo spazialmente ma, soprattutto, temporalmente. Un mondo sommerso non tanto dalla neve, che lì abbonda, quanto dalle macerie del tempo, sotto i colpi di un Occidente spietatamente innovatore e senza scrupoli. Qui due ragazzi, Kolima e Gagarin, crescono insieme sotto l’egida severa di nonno Kuzja. Il film ci parla dei loro percorsi e di come i loro destini s’intreccino a dispetto dei loro desideri e della loro condotta.

Non parte male Educazione siberiana, anche se le prime battute tendono ad esemplificare l’intero andamento della narrazione. Aperto da un monologo di nonno Kuzja (John Malkovich), dopo pochissime sequenze assistiamo ad un brevissimo inseguimento, girato in pieno stile anni ’70. Unica nota stonata: neanche il tempo di alzare un po’ di neve, che il tutto si risolve molto in fretta. Peccato, eravamo già entrati in clima adrenalina.

Ecco, in fondo Educazione siberiana è questo: una fiamma che è quasi costantemente sul punto di accendersi, salvo poi restare irrimediabilmente spenta. Alcune scelte di Salvatores lasciano l’amaro in bocca, come per esempio l’utilizzo di buona parte dei brani musicali: sconnesso, talvolta addirittura fuori luogo. Il potenziale di un soggetto tutt’altro che banale cede sotto i colpi di una narrazione scialba, pressoché mai coinvolgente.

Da qualunque prospettiva lo si intenda osservare, il film presta il fianco a deficienze più o meno evidenti. Il rapporto d’amicizia che lega i due protagonisti, Kolima e Gagarin, è privo di mordente, in sintonia con un andamento che si distingue più per una certa piattezza che altro. Non ricordiamo un solo sussulto, non un momento di puro pathos o anche solo empatia verso dei personaggi che ci passano davanti con una triste indifferenza. E questo vale anche per i cosiddetti comprimari, tra cui è bene estrapolarne due.

Il primo e Malkovich: da lui filtra un po’ il senso dell’opera, con quel suo coscienzioso richiamo ad un’era che non esiste più. È l’unico, paradossalmente, attraverso cui traspare lo scontro generazionale in atto, con la definitiva dipartita di un mondo che non riesce più a stare al mondo («sai come chiamano la Siberia? Terra addormentata. Ed è lì che anch’io voglio addormentarmi»). Il suo codice misticheggiante, il suo onore, su di lui è caricato il peso di una civiltà a cavallo tra il sacro e profano, un po’ santi e molto criminali (onesti criminali, come viene a più riprese precisato). Tutte chiavi di cui avvertiamo il fascino, ma che si perdono all’interno di un contesto ahinoi apatico.

L’altro personaggio che intendiamo menzionare è Xenja, una Eleanor Tomlinson a noi parsa piuttosto impacciata. Il suo era un ruolo delicato, che doveva fungere da collante ai due protagonisti, e dunque alle due storie galoppanti di una terra dimenticata da Dio (mentre lei è definita una “voluta da Dio”). Poco credibile, di certo non aiutata da un doppiaggio che lascia parecchio a desiderare.

Si resta ancora più amareggiati se si pensa che di spunti notevoli non ne mancano, come la traccia narrativa aggiunta rappresentata dai tatuaggi, a loro volta forieri di storie e intrecci dal potenziale innegabile. Componente questa tenuta anche troppo a bada, forse per evitare il rischio che si accavallasse alla progressione a binario doppio, con qualche trovata a dire il vero interessante. Di base il film procede alternando eventi risalenti all’88 con altri avvenuti nel ’98; soluzione da cui chiaramente ci si concede qualche rara licenza, per dare forma e coerenza al racconto.

Eppure non basta nemmeno questo gradevole gioco ad incastri, perché, come già evidenziato, i problemi restano sempre gli stessi: certi episodi, certi personaggi, non riescono proprio a far breccia. Ad un certo punto, nella sequenza della giostra, sembra aprirsi uno spiraglio: i ragazzi coinvolti gioiscono per della musica occidentale e si lasciano spensieratamente andare. Davvero un bel passaggio, oseremmo dire d’impatto. Ma non è che un’estemporanea e timida impennata, prima che il ritmo torni gradualmente ad inabissarsi.

Abbiamo apprezzato il tenore, duro e nient’affatto condiscendente, adottato da Salvatores, ma quanto fino a qui rilevato ci induce a propendere per un responso non esattamente favorevole. Attendevamo con discreta curiosità l’ultimo film del regista nostrano, che però non riesce ad infondere nel suo Educazione siberiana quella scintilla capace di farcelo amare come alcuni dei suoi protagonisti dicono di amare la propria gelida, desolata terra.

Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 5

Educazione siberiana (Italia, 2013). Di Gabriele Salvatores, con John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalji Porsnev e Peter Stormare. Qui trovate il trailer ufficiale italiano. Nelle nostre sale dal 28 Febbraio.