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Buon San Valentino da Cineblog!

Cineblog sceglie quattro film d’amore per parlare d’amore.

pubblicato 14 Febbraio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:34


Potevamo stupirvi con “affetti” speciali… ma preferiamo quelli assai più semplici di un film. E’ San Valentino, giorno degli innamorati, e Cineblog non poteva restare indifferente al fascino dell’anniversario più romantico dell’anno, quello in cui amore, sospiri e languori si sprecano, in quantità industriali, in ogni angolo della terra.

Il contributo di ogni cinefilo non potrà che essere quello di suggerire titoli che rimandano alla propria sensibilità e al diverso impatto emotivo suscitato, nella consapevolezza che esistono tante tipologie d’amore almeno quanti sono i film licenziati nella storia.

Così, scansati “consapevolmente”i classici (Via col Vento, Casablanca o Colazione da Tiffany per capirci ), la mia scelta -grafica innanzitutto- è ricaduta su quattro pellicole della storia più recente che rappresentano quattro diversi modi di intendere questa “many splendored thing” e, soprattutto, altrettanti splendidi esempi di fare cinema.

E se in (quasi) tutte prevale la tragedia mentre la felicità è solo un miraggio, non si può negare che a trionfare, alla fine di tutto, sia sempre lui, l’amore vero, traboccante dentro, ma soprattutto fuori, i confini stessi dello schermo.

Prima di tutto “All you need is Love”. Semplicemente. Lo dicevano I Beatles negli anni ’60, lo ribadisce Ewan McGregor nella Parigi (a)storica di Moulin Rouge! (col punto esclamativo!), musical post-moderno di Luhrmann che ha stravolto le regole del genere, definendo il concetto di bohemienne al cinema e, naturalmente, ridisegnando nuove coordinate fantastiche all’amore. Che è “Spettacolo, spettacolare”, destinato a consumarsi (letteralmente) dentro un teatro che sembra la vita e attraverso vite che si nutrono d’arte. E mentre i cuori battono al ritmo di fuochi d’artificio su cieli di cartapesta, la felicità che sembra risplendere è effimera come i lustrini dei corpetti. Christian dedica alla sua musa note e parole d’altri tempi ma il corpo di Satine, moderna Mimì o Angelo Azzurro di Parigi, è un contenitore di porcellana troppo fragile per contenere sia il dolore che la gioia. La storia finirà tragicamente (Puccini docet), ma Christian e Satine si stagliano subito davanti ai nostri occhi come incarnazioni purissime di un’ideale, intrappolati eternamente in un loop emotivo (amore, morte e ancora amore) cui è impossibile sottrarsi. Crudele e straziante ma anche incantevole.

Può uno specchietto retrovisore tramutarsi d’improvviso in una rappresentazione quasi insostenibile dell’infelicità? La risposta è sì, se a filmarlo c’è Clint Eastwood che nel commovente I ponti di Madison County riesce a condensare in pochi, semplicissimi istanti, una delle sequenze d’addio più belle di sempre di tutta la storia del cinema. Al rude “ex Ispettore Callaghan” basta una pioggia battente, un vecchio pick-up e l’adesione totale di una Meryl Streep più toccante che mai. Una sequenza, quella citata, quasi chirurgica nella sua perfezione eppure talmente “classica” nella sua costruzione da riuscire ad insinuarsi immediatamente e con naturalezza nel più duro ed incallito dei cuori cinefili. Tutto il romanticismo instillato dentro la descrizione di un lento corteggiamento (di lui) e della successiva e delicata resa (di lei), trova la quadratura “spietata” e perfetta in un pre-finale capace, come pochi, di rendere quei pochi istanti di incertezza (il gesto che “rischia” di cambiare il corso degli eventi) eterni e pesanti come macigni. E aggrapparsi all’ultima immagine riflessa in uno specchietto diventa quasi necessario. Debordante e doloroso.

Ma se l’amore di Eastwood è soffocato dalle convenzioni matrimoniali che dire allora di quello rappresentato ne I segreti di Brokeback Mountain, dove invece viene lentamente “massacrato” da quelle sociali o perfino antropologiche? Il sentimento impossibile fra i due cowboys (impossibile perché non accettato in primo luogo da loro) si riflette nelle asperità del contesto western -macho più per convenzione che per convinzione- e si evolve all’interno delle contraddizioni da esso generate (l’imborghesimento familiare, l’inquadramento nei ruoli). Ang Lee, cineasta sempre sensibile e acuto, orchestra una storia d’amore trattenuta e quasi “balbuziente” (proprio come il personaggio di Heath Ledger, sorta di John Wayne nevrotico e sull’orlo di collassare) e fotografa con sobrietà e pudore le intermittenze del cuore e quelle del desiderio dei due protagonisti. L’amore segue un crescendo silenzioso, ben celato dietro la rilassata contemplazione dei paesaggi, ma è rappresentato anche nella sua discontinuità o nel suo implacabile affievolirsi. Solo quando irrompe silenziosa e brutale la tragedia allora si squassa anche quella monca illusione di continuità; l’immagine finale, le due camicie tenute amorevolmente insieme, assesta il colpo (al cuore) definitivo e restituisce tutto il peso della perdita. Un trattenuto melò sugli inganni del cuore e sul giudice più spietato, il tempo, che li orchestra.

Ma amore non può far rima solo con dolore. Ce lo ricordano Wall-E e Eve, fra le pieghe del Pixar più bello e sperimentale di tutto il decennio. Storia di uno Charlot di cuore, metallo e fibre sintetiche? Naturalmente. Rappresentazione di un futuro distopico e disumanizzato? Ovvio. Manifesto libertario e ambientalista? Assolutamente. Ma proviamo a guardare meglio. Wall-E è un tenero “adolescente” che vive alimentando le sue uniche ossessioni personali (il collezionismo). Avverte un vuoto dentro ma non sa ancora bene cos’è (e infatti guardare un cielo gemmato di stelle al suono di “It Only takes a moment” di “Hello Dolly!” gli procura sempre una gran fitta ai circuiti interni). Ma Dio (o la Axiom, fate voi) gli manda la sua Eve su questa terra, mandando all’aria tutte le sue (in)certezze. Lei è sicura, inquadrata nelle direttive, rispettosa dei protocolli. Lui è lo spiantato, sognatore e lunare, che decide di inseguirla per mari e monti (di rifiuti ovviamente) ma anche nello spazio infinito o fin dentro astronavi. Lui asseconderà (in)coscientemente la sua direttiva, uscendo malconcio da una rivolta di nevrotici robot e arrivando quasi a giocarsi la vita. Lei, dopo tanta “Odissea nello spazio”, finalmente cambierà direttiva sullo spiantato, piccolo nerd. Bene, ogni ragazza che conosco, dopo aver visto Wall-E, ha ammesso di aver scorto nel tenero robot quasi una proiezione del suo uomo ideale. E non è un caso. Perché quella che in apparenza sembrava solo una magnifica space-opera d’animazione non è altro che il corteggiamento più dolce, irresponsabile e toccante degli ultimi vent’anni! Ci voleva un robot per insegnare a tutti, uomini e donne, che l’amore, umano o sintetico che sia, può essere ancora l’esperienza più “avventurosa” di tutte… Buon San Wall-e ntino!

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