The Summit – Genova: i tre giorni della vergogna. Trailer, sinossi, locandina e note di regia
A quasi un anno di distanza dall’uscita del film di Vicari, un’altra pellicola porta sullp schermo i drammatici fatti del luglio 2001
Il prossimo 21 febbraio arriverà sugli schermi, distribuito da Minerva Pictures, il documentario d’inchiesta realizzato dai giornalisti Franco Fracassi e Massimo Lauria sul G8 di Genova del 2001. The Summit – questo il titolo della pellicola – è stato presentato alla Berlinale 2012 nella sezione Panorama Dokumente (mentre nella sezione Panorama è passato Diaz di Daniele Vicari, aggiudicandosi il premio del pubblico) e nell’ambito di svariati altri festival, vincendo un premio come miglior documentario al “I’ve seen films” di Rutger Hauer.
I due registi, presenti a quel G8, dopo una lunga indagine condotta insieme ad un gruppo di giornalisti, gettano luce, a dieci anni di distanza, su molte zone d’ombra del G8 di Genova, raccontando quegli indimenticabili giorni (19-21 luglio 2001), le speranze dei manifestanti, i meccanismi che hanno portato alla violenza indiscriminata da parte delle forze dell’ordine e di una parte dei manifestanti, gli interessi politici internazionali intorno a quel G8.
The Summit è il frutto del lavoro di oltre cinquanta persone, di oltre cento intervistati, di oltre mille pagine di documenti raccolti, di oltre mille ore di registrazioni audio ascoltate, di oltre cento ore video visionate. Un viaggio attraverso le forze dell’ordine e la catena di comando, nazionale ed internazionale. Un viaggio che parte dal vertice dell’Organizzazione mondiale per il commercio a Seattle fino al G8 di Genova, passando per i summit di Nizza, Praga, Napoli e Goteborg. Un film in cui si intrecciano riprese dal vero e ricostruzioni attraverso disegni ed animazioni.
The Summit – Genova: i tre giorni della vergogna. Trailer, sinossi, locandina e note di regia
Franco Fracassi ricorda:
il giovedì sera (19 luglio 2001) mi si avvicinò un poliziotto e mi disse: “Vuoi proprio sapere dove saranno gli scontri domani? Fatti trovare all’angolo della banca a piazza Paolo da Novi a mezzogiorno di domani. E vedrai che lì cominciano gli scontri.” La mattina dopo arrivo in quell’angolo. In quel momento ci stavano i Cobas, e uno schieramento di polizia, che era proprio in quel punto là. A mezzogiorno, precisi come un orologio, arrivano i black bloc, e incominciano a devastare la banca. La polizia non fa altro che osservarli. Appena finito di devastare la banca scappano via. La polizia carica i manifestanti dei Cobas.
Note di regia
Dopo il G8 di Genova sentimmo l’esigenza di condurre un’inchiesta indipendente per capire che cosa davvero fosse accaduto in quei giorni. Sembrava impossibile che le violenze subite dai manifestanti fossero dettate soltanto dalla volontà di repressione delle forze dell’ordine italiane o dai singoli appartenenti ai vari corpi di polizia.
Cominciammo allora a indagare sulla gestione della repressione, sulla catena di comando che portò agli avvenimenti che tutto il mondo poté osservare in quei due infuocati giorni di luglio del 2001. Possibile che le operazioni di ordine pubblico di un vertice internazionale dell’importanza di un G8, fosse prerogativa esclusiva della polizia italiana? In effetti le nostre fonti, che poi verificammo, ci parlarono subito di una strategia repressiva voluta e affidata ad un coordinamento di intelligence sovranazionale. Per le manifestazioni che riguardavano i summit europei, il coordinamento venne affidato al capo della polizia italiana Gianni De Gennaro.
Intervistammo decine di manifestanti, parlamentari, giornalisti e i rappresentanti del Genoa Social Forum col suo portavoce Vittorio Agnoletto. Ascoltammo tanti poliziotti e carabinieri, che dopo il G8 sentirono l’esigenza di un’obiezione di coscienza e che ebbero la necessità di denunciare quanto i dirigenti gli chiesero di fare. Trovammo allora nei rappresentanti di alcune organizzazioni sindacali di polizia la conferma che quanto accaduto a Genova non era frutto del caso o di semplici errori tattici, ma di una strategia voluta e pianificata per colpire il movimento dei diritti globali, che contestava le scelte dei rappresentanti della politica e dell’economia mondiale.
Ci colpì in particolare una conversazione con un carabiniere, che allora prestava il suo servizio di leva a Genova. Ci raccontò che prima del G8 rimase in caserma coi suoi commilitoni per oltre quattro mesi di fila. Per tutto quel tempo a lui e a suoi colleghi vennero negate sistematicamente e senza alcun preavviso le licenze di libera uscita, come se in quel momento in Italia ci fosse uno stato di guerra. Le sue parole furono: “Ci dicevano che se eravamo costretti a stare lì era perché i manifestanti sarebbero stati particolarmente violenti. Ci avrebbero tirato addosso qualunque cosa, avrebbero cercato di ferirci e quindi dovevamo addestrarci per difenderci. Io ero uno di quelli che avrebbe voluto stare in piazza a manifestare, ma dopo quel lavaggio del cervello e la costrizione dentro la caserma senza mai andare a casa dai miei genitori e dalla mia fidanzata, alla fine ero talmente incazzato coi manifestanti, che non vedevo l’ora di spaccare il manganello sulla testa di qualcuno di loro”.
Più parlavamo con i testimoni, più ci convincevamo che a Genova c’era stata la precisa volontà di massacrare letteralmente un movimento, di frantumarlo contro i manganelli delle forze dell’ordine. La debolezza della politica a confrontarsi con il movimento cedette il passo all’uso della forza, tentando di ribaltare la prospettiva. Le botte in piazza dovevano infatti servire ad allontanare l’attenzione dai veri temi in discussione: la cancellazione del debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo (il sud del mondo), l’accesso delle persone alle risorse naturali come l’acqua, l’ampliamento dei diritti di usufrutto delle terre da parte dei contadini che la lavorano.
A dieci anni di distanza da quei due indimenticabili giorni, molti hanno ancora timore di testimoniare: molte delle nostre fonti sono rimaste anonime, come quelle di alcuni dirigenti dell’Ospedale Galliera di Genova, che ci hanno aiutato a ricostruire la verità sulla presenza di Mario Placanica (il carabiniere autoaccusatosi dell’omicidio di Carlo Giuliani) proprio in quell’ospedale: Placanica è arrivato in ospedale su un’ambulanza priva di insegne un’ora e mezza dopo l’omicidio di Carlo, mentre la versione fornita dai carabinieri parla di un trasferimento immediato del carabiniere in ospedale.
Perché quelle menzogne? Che cosa si vuole ancora nascondere, o non far sapere?