Zero Dark Thirty: le recensioni dall’Italia e dagli Usa
Potente, distaccato, necessario. Il film di Kathryn Bigelow conquista i critici. Ha conquistato anche voi?
E’ uscito pochi giorni fa, il 7 febbraio, il film Zero Dark Thirty diretto da Kathryn Bigelow con Jessica Chastain, Scott Adkins, Joel Edgerton, James Gandolfini, Jennifer Ehle, Taylor Kinney, Mark Strong, Chris Pratt, Jason Clarke, Mark Duplass, Harold Perrineau, Kyle Chandler, Frank Grillo. L’avete visto? Piaciuto? Mentre vi rimando alla nostra recensione vi invitiamo a leggere anche le critiche italiane e americane. In più vi linkiamo il post-curiosità sul film e uno speciale su Jessica Chastain.
Tom Charity – CNN.com: la cosa che colpisce è l’assenza di trionfalismo. Bigelow non si vergogna di mostrare le vittime e abbiamo la sensazione travolgente che questo sia stato un triste e buio episodio della nostra storia.
Ann Hornaday – Washington Post: Dalle prime scene Kathryn Bigelow dimostra perché è un regista formidabile.
Mick LaSalle – San Francisco Chronicle: Uno dei film più innovativi e meglio realizzati dello scorso anno.
Bill Goodykoontz – Arizona Republic: “Zero Dark Thirty” è un grande film, un risultato stupefacente su quasi tutti i livelli.
Chris Vognar – Dallas Morning News: intelligente e implacabile, Zero Dark Thirty comprime un decennio in 157 minuti di puro slancio.
Steven Rea – Philadelphia Inquirer: un ritratto avvincente di una donna determinata nel lavoro in un ambito dominato dagli uomini; il film è un successo clamoroso.
Roger Moore – McClatchy-Tribune News Service: Sentiamo esattamente quello che gli interessati devono aver provato alla fine. Non euforia. Non il brivido della vittoria. Solo sollievo.
Christopher Orr – The Atlantic: Un potente lavoro moralmente complicato su un argomento urgente. E’ un film che merita, che richiede di essere visto e discusso.
Kenneth Turan – Los Angeles Times: Kathryn Bigelow si dimostra ancora una volta di essere una maestra di realismo.
Claudia Puig – USA Today: C’è un distacco emotivo che mina la sua potenza.
James Berardinelli – ReelViews: Un thriller avvincente.
Peter Travers – Rolling Stone: Jessica Chastain è una meraviglia.
Rafer Guzman – Newsday: Zero Dark Thirty” si svolge con il freddo distacco di un documentario anche nelle sue scene più tese e avvincente.
David Denby – New Yorker: Unisce la spietatezza e l’umanità in un modo che è paradossale e sconcertante.
Peter Rainer – Christian Science Monitor: Mostrando le scene di tortura Bigelow ha fatto un film amorale, che è, a mio avviso, un approccio irragionevole a questo materiale.
Richard Roeper – Richard Roeper.com: Zero Dark Thirty è il miglior film del 2012.
Dana Stevens – Slate: Un vitale film inquietante, e necessario …
Andrew O’Hehir – Salon.com: la qualità rende “Zero Dark Thirty” qualcosa di simile a un capolavoro.
Peter Debruge – Variety: non si può negare il suo potere.
Todd McCarthy – Hollywood Reporter: un risultato finale potente.
Maurizio Porro – Il corriere della sera: Zero Dark Thirty 2 ore e 37’, è un film straordinario per ritmo, tensione interna,m suspense politico-ideologica, come un thriller di cui conosciamo la fine ma che seguiamo con partecipazione totale (….) Opera non consolatoria ma intelligente, critica sulla tentazione di diventare un individuo sopra la storia. Per chi volesse banalizzare anche la rivalsa di una milite nota nel rubare ai maschi la scena di guerra, guardando alla considerazione che il fondamentalismo islamico dimostra verso le donne.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa: Katherine Bigelow ha usato il neologismo «reported film», in quanto il suo Zero Dark Thirty (in gergo spionistico significa “mezzanotte e mezzo”, ovvero l’ora in cui nel maggio 2011 scattò la cattura di Osama bin Laden) non si ispira a un libro, ma è realizzato sulla base di carte e testimonianze di operativi della Cia raccolte dallo sceneggiatore e giornalista Marc Boal: il cui principale referente è stata un’agente soprannominata Maya, la quale dopo l’11 settembre si è consacrata a rintracciare il leader di Al Qaeda. Il particolare non è di poco conto. Di solito sono giornali e libri a creare un primo interesse dell’opinione pubblica su temi che il grande schermo provvede poi a spettacolarizzare. Qui è accaduto il contrario e questo ha provocato polemiche varie sulla liceità o meno di accedere e divulgare informazioni top secret; e sulla crudezza delle iniziali scene di interrogatori di presunti terroristi basati sul sistema della tortura. Il tutto nel sospetto avanzato da alcuni che, essendo stato il metodo dell’«interrogatorio rinforzato» avallato dall’amministrazione Bush e l’uccisione di bin Laden conseguita in era Obama, il film volesse giocare un ruolo nella campagna presidenziale, ragione per cui ne è stata posticipata l’uscita. Comunque sia, il risultato è che questo materiale ha dato alla Bigelow l’opportunità di immergersi, dietro alla sua combattiva eroina (incarnata dall’intensa Jessica Chastain, una delle tante candidature all’Oscar della pellicola), nel contesto di una subcultura maschile – quella dell’esercito e dei servizi segreti – riuscendo a imprimere un continuo, implacabile clima di suspense a una storia di cui si conosce e la conclusione e che è imbastita su un paziente lavoro di ricerca.
Alberto Crespi – l’Unità: Zero Dark Thirty è lo straordinario ritratto di un ossessione femminile in un mondo ferocemente maschile travestito da film di guerra. Potrebbe essere – per Bigelow – paradossalmente autobiografico: prima regista donna a vincere l’Oscar, si è fatta strada a Hollywood con stile super-macho e film imbottiti di testosterone. Zero Dark Tirthy è il più ambizioso e complesso , diciamolo pure: il suo capolavoro.
Massimo Bertarelli – il Giornale: Crudo, interminabile dramma, tratto da un’arcinota storia vera, la cattura di Bin Laden, decorato con cinque esagerate nomination. Un film rimpinzato nella prima, di atroci torture, esibite con sadico realismo, e nella seconda incentrato su un’estenuante caccia all’uomo. In piena notte e in pienissimo buio. Così non si vede niente e si capisce ancora meno.
Paolo D’Agostini – la Repubblica: Non è facile accostarsi a questo film serenamente, anzi non è possibile. È Zero Dark Thirty, titolo che si riferisce alla fascia oraria notturna con la quale in gergo gli incursori indicano le operazione segrete, realizzato dalla stessa regista Kathryn Bigelow che nel 2010 fu coperta di Oscar per The Hurt Locker sugli artificieri in Iraq, ancora una volta in tandem con il giornalista Mark Boal suo compagno nella vita (da un suo articolo aveva tratto spunto il film Nella valle di Elah). A sua volta candidato a cinque Oscar tra il quali quello a miglior film: ma l’esito è reso incerto dalla coda polemica sollevata negli Stati Uniti dal film. Posticipata l’uscita in America dove si era sotto le elezioni presidenziali che hanno condotto alla conferma di Obama, il film di Bigelow si è trovato rapidamente al centro di un fuoco incrociato: accusato per aver mostrato senza mezzi termini l’uso della tortura da parte della Cia da chi ha eccepito sulla possibilità di accesso a dati recenti e segreti relativi alla sicurezza nazionale che, secondo gli accusatori, sarebbe stata consentita dall’amministrazione Obama, non è stato risparmiato neanche dalle critiche di chi ha invece sospettato che quell’esibizione includesse anche adesione e approvazione. Zero Dark Thirty ricostruisce con minuzia di riferimenti il lavoro d’indagine svolto da parte della Cia lungo il decennio che va dall’attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle fino alla cattura e all’esecuzione nel maggio 2011, da parte dei reparti speciali, di Osama Bin Laden in Pakistan. Tutto ruota intorno al personaggio di Maya (Jessica Chastain), l’agente che all’inizio arriva in una delle prigioni segrete della Cia e viene immediatamente introdotta ad assistere all’interrogatorio di un prigioniero che ha avuto un ruolo nell’attentato terroristico di New York e di cui si ha ragione di credere che possieda informazioni che lo collegano a Bin Laden e dunque utili a inseguirne le tracce. Non è un interrogatorio: è tortura. Vengono usati gli stessi mezzi e metodi usati dagli apparati polizieschi delle dittature. Tutto ruota intorno al personaggio di Maya e al contrasto tra il suo essere donna, il suo contegno, i suoi modi, il suo aspetto così diversi e distanti dallo stereotipo, il suo carattere riservato introverso e solitario, e la tempra d’acciaio, la determinazione superiore a chiunque altro, che dimostrerà nel corso della lunga operazione, della lunga caccia, che condurrà infine, dieci anni dopo, a stringere il cerchio intorno a una casa-fortezza alla periferia di una cittadina pakistana. Dieci anni nel corso dei quali il terrorismo continua a colpire con attacchi e attentati gravissimi: a Madrid (11 marzo 2004), a Londra (7 luglio 2005), all’hotel Marriott di Islamabad (20 settembre 2008). Diversamente da quanto accaduto in passato (ma accade ancora: ne è esempio Argo che torna a fatti di oltre trent’anni fa e sulla base di documenti desecretati) per esempio sul Vietnam su cui il cinema intervenne solo con una certa distanza temporale, Bigelow (ma non è la sola) interviene a caldo su materie ancora incandescenti. E lo fa, come già in The Hurt Locker, con uno stile personale e ibrido, di finzione che dà un’impressione documentaristica. Ed è forse proprio questa sua intenzione di rappresentazione distaccata e obiettiva («fare un film moderno e rigoroso sull’antiterrorismo incentrato su una delle missioni più importanti e segrete della storia americana») a procurare commenti e reazioni che travalicano i consueti confini del fatto cinematografico.