Buon anno Sarajevo: trailer italiano, poster e note del film
trailer italiano, poster e note di regia aspettando il “Buon Anno Sarajevo” (Djeca) di Aida Begic, nei cinema italiani dal 3 gennaio 2013 distribuito da Kitchenfilm
BUON ANNO SARAJEVO TRAILER from kitchenfilm on Vimeo.
A poco più di due giorni dal 2013, “Buon Anno Sarajevo” (Djeca – Children of Sarajevo) di Aida Begic è più di un augurio per festeggiare la fine dell’anno tra fuochi d’artificio e conflitti con gli orfani Rahima e Nedim.
È una buona occasione per riflettere sul prezzo delle guerra, approfittando subito del trailer italiano, e tutto quello che trovate dopo il salto, aspettando che Kitchenfilm lo distribuisca nelle nostre sale, a partire dal 3 gennaio 2013. Buon Anno ovunque siate!
Buon anno Sarajevo: poster e note di regia del film candidato agli Oscar 2013
Dal 3 gennaio 2013, Kitchenfilm porta nelle sale italiane gli auguri di Amnesty International con il “Buon Anno Sarajevo” (Djeca – Children of Sarajevo) di Aida Begic e la camera a mano che avvicina lo sguardo sulla lenta rinascita di una città dilaniata dalla guerra, piena di vecchie ingiustizie e nuove lotte di potere, “in un periodo di transizione che non arriva a compimento da sedici anni”.
Rahima di 23 anni e Nedim di 14, vivono a Sarajevo dopo la fine della guerra che li ha resi orfani. Dopo un’adolescenza punk, Rahima, è costretta a lavorare sottopagata in un ristorante gestito da un personaggio losco, mentre l’irrequieto Nedim va ancora a scuola.
Rahima, che si è avvicinata alla religione islamica e ha deciso di indossare il velo, proverà a risolvere i problemi di suo fratello pacificamente. Da quel momento si innesca una catena di eventi che le faranno scoprire che il giovane adolescente conduce una doppia vita.
Un film candidato agli Oscar 2013 per la Bosnia ed Erzegovina come Miglior film straniero, dopo aver ricevuto:
– Cannes 2012: Un Certain Regard – Menzione Speciale della Giuria
– Mostra Internazionale del nuovo Cinema – Pesaro 2012: Premio Lino Micciche Miglior Film
– il premio della Giuria Giovani – il premio “Cinema e diritti umani” di Amnesty International
– 18° Sarajevo film Festival: Premio Heart of Sarajevo alla Migliore Attrice Marija Piki?
– Premio Sigillo della Pace al Festival di Cinema e donne 2012
– Prix spécial du Jury, au 12ème Festival de Cinéma Méditerranéen de Bruxelles
– “João Benard da Costa” Special Jury Award, au Lisbon & Estoril Film Festival.
Con le immagini di guerra, i bambini che giocano tra le bombe, sullo sfondo dell’ultimo giorno dell’anno, questo piccolo film autoprodotto con aspirazioni elevate, evoca fuochi d’artificio anche in Emanuela Piovano, distributrice per l’Italia, con la Kitchenfilm.
“I fuochi d’artificio dell’ultimo dell’anno creano una straordinaria unità spazio-tempo, sono il ricordo sonoro di una tragedia che ha lavorato dentro le persone e che ha lasciato segni inimmaginabili”.
NOTE DI REGIA
Genesi
“Snijeg (Neve)”, il mio primo lungometraggio, racconta la storia di un gruppo di donne
che avevano perso i loro uomini durante i massacri in Bosnia orientale. La storia segue la loro lotta per la sopravvivenza dopo la guerra, nel 1997.
Durante lo sviluppo di Snijeg abbiamo parlato molto di ciò che noi chiamiamo “il sogno bosniaco”. In quel momento credevamo nella ricostruzione della nostra società. Quando ho pensato al soggetto del mio secondo film, ho cercato di capire il tipo di società in cui viviamo oggi, cosa era cambiato dai tempi in cui sviluppammo Snijeg . Mi sono resa conto che oggi non crediamo più nella ricostruzione e abbiamo sostituito i nostri sogni con i nostri ricordi.
Ho notato che quando con i miei amici discutiamo della guerra, ne parliamo sempre in maniera particolarmente forte, passionale. Mi sono allora chiesta se il tempo che abbiamo vissuto sotto la guerra non sia il solo tempo in cui abbiamo veramente vissuto. Le nostre vite durante la guerra erano veramente migliori o ci sentiamo in questo modo perché ormai quel tempo ce lo siamo lasciato alle spalle? Le persone erano più umane in quel periodo, che è stato il più difficile nella storia della nostra città, o abbiamo questo sentimento oggi perché eravamo tutti nella stessa situazione? Che dire di quelli di noi che non hanno nemmeno ricordi di quello che la mia generazione chiama “vita normale” prima della guerra?
Transizione
La transizione è un momento di trasformazione. La metamorfosi implica un cambiamento che non ha sempre una connotazione negativa. Ma la Bosnia è in un periodo di transizione che non arriva a compimento da sedici anni. Una sensazione dominante di impotenza e l’incapacità di immaginare il futuro. Quasi venti anni dopo la fine della guerra, viviamo ancora in un infinito “presente” e abbiamo sempre paura del futuro.
Come in quasi tutti i paesi con questo destino, la transizione è un terreno fertile per il mantenimento dell’ingiustizia, la corruzione, la violenza e molti altri impatti sociali nefasti. Quelli che erano in fondo alla scala sociale sono a volte diventati ricchi molto rapidamente e hanno ottenuto posizioni influenti, mentre quelli che si sono rifiutati di accettare le nuove regole del gioco li hanno sostituiti in basso alla scala.
Ognuno è “L’ALTRO”
Al ristorante dove lavora, i colleghi di Rahima si comportano come una famiglia disfunzionale, in cui ognuno a suo modo si differenzia dalla norma sociale. Indossando il velo, Rahima viene automaticamente emarginata poiché i pregiudizi verso le donne con il velo sono gli stessi a Sarajevo come nel resto del mondo. Anche se porta il velo, Rahima non è poi così diversa dalle altre ragazze della sua età – a casa ascolta la stessa musica, lei ama, odia, commette errori e vive la sua vita come le altre ragazze “normali”. Ma a causa del suo credo religioso, è percepita come l’”altro” come “diversa” e discriminata. Il capo cuoco, Davor, appartiene alla minoranza croata ed è omosessuale. Sono la sua razza e la sua sessualità a metterlo nella categoria degli “inaccettabili”. Dino, il cameriere è un drogato, la proprietaria del ristorante, Vedrana, si mostra crudele perché il marito, che è diventato un radicale wahabita, le ha tolto la custodia dei figli…
C’è una storia Sufi che parla di due uccelli, un corvo e un piccione, che divennero amici del cuore. Quando la gente si chiede cosa abbiano in comune due uccelli così diversi si accorgono che manca una zampa a entrambi.
Come questi uccelli, i dipendenti del ristorante condividono il proprio dolore e le proprie mancanze.
La memoria
La maggior parte delle persone nel mondo sanno a cosa somiglia la guerra: la televisione ha creato una rappresentazione comune. Ma la guerra evoca qualcosa di molto diverso per coloro che l’hanno realmente vissuta. In tempi di guerra, per esempio, le persone agiscono, o almeno provano ad agire come se fossero in una situazione normale.
Durante l’assedio di Sarajevo, abbiamo fatto spesso teatro, film, feste, festeggiavamo i nostri compleanni. I bambini giocavano come tutti gli altri bambini del mondo. In ogni famiglia c’è una grande quantità di documenti che mostrano la vita degli abitanti di Sarajevo durante l’assedio. Evocando un aspetto individuale e umano della guerra, gli archivi personali sono molto più fedeli alla memoria delle persone che le immagini che vediamo in televisione. Le immagini della vita quotidiana durante l’assedio esprimono un sentimento intimo e complesso del ricordo che è difficile da tradurre in parole: la memoria della guerra è fatta di orrori, ma anche di cose belle. Mostra che la resistenza non si fa solo con le armi. La resistenza si trova anche nella forza del popolo, nella loro capacità di mantenere uno stile di vita normale in tempi anormali.
Quello che ho voluto fare, utilizzando gli archivi del tempo di guerra per illustrare i ricordi di Rahima, è quello di condividere, capire quali possono essere i ricordi di chi ha vissuto una situazione così complessa. La storia del film lo giustifica, ma si tratta anche di un desiderio personale e del bisogno di parlare della mia esperienza e della memoria della guerra che è la mia.
Qualcuno che ha un passato così difficile come quello di Rahima può essere in grado di ritrovare dentro di sé un’umanità, e come? Sceglierà di costruirsi o di distruggersi?
Contrasti
Il contrasto per me è la chiave per l’identità di un film. Il contrasto tra ricchi e poveri, tra la vita e la morte, tra passato e presente, realtà e illusione, la libertà e la prigionia. Paradossalmente tutto questo coesiste in Djeca. Il personaggio principale, di cui il film segue il punto di vista, mette insieme tutti questi contrasti. Rahima è il paradigma della complessa realtà del dopoguerra. Seguendo il personaggio principale, camera a mano, spero che lo spettatore accompagni la ragazza nel suo viaggio attraverso le proprie emozioni.