Torino 2012 – The Land of Hope: recensione in anteprima del film di Sion Sono
Dopo Himizu, il regista Sion Sono torna a confrontarsi con il disastro di Fukushima, con un film imperfetto, sentito ed urgente. Leggi la recensione di The Land of Hope.
“Noi Giapponesi facciamo un passo alla volta”
Atteso prima a Cannes e poi a Venezia, The Land of Hope rientra dalla finestra in Italia grazie al 30. Torino Film Festival, che aveva già festeggiato l’anno scorso il suo regista presentandone l’intera filmografia nella sezione Rapporto confidenziale. Tutti i film escluso Himizu, presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2011.: film a cui questo The Land of Hope si ricollega direttamente.
In entrambi assistiamo infatti alla metabolizzazione del disastro della centrale nucleare di Fukushima. In Himizu il giovane protagonista Sumida voleva essere una persona normale; voleva finire le scuole medie, e già prevedeva che sarebbe finito a lavorare nel noleggio di barche della sua famiglia. Voleva una vita tranquilla, ma che non poteva avere: la madre lo trattava male, ma ben di peggio faceva il terribile padre…
In The Land of Hope la situazione è diversa ma allo stesso tempo simile. La famiglia Ono, composta da un padre e una madre anziani, e da un figlio maschio e sua moglie, vivono proprio una vita tranquilla e ordinaria. Lavorano nella loro piccola fattoria di Nagashima, finché un giorno un terremoto fa esplodere il reattore della vicina centrale nucleare di Oba…
Le autorità calcolano un raggio di 20 km entro cui far evacuare la popolazione di Nagashima. La casa degli Ono resta fuori per un pelo dalla striscia che la polizia mette sui paletti che dividono la sezione sicura da quella colpita dalle radiazioni. Così gli Ono vedono tutti i loro vicini partire verso un vero e proprio campo di “profughi”. Il padre di famiglia però non è affatto sicuro che quei 20 km siano così “matematicamente perfetti”, e decide di far partire suo figlio Voichi e sua moglie Izumi affinché possano salvarsi dalle radiazioni…
Il cinema di Sion Sono sta mutando. Quando verranno scritte su di lui altre monografie, magari tra una decina d’anni, indubbiamente Himizu sarà letto come un’opera spartiacque nella sua carriera. Dagli horror sanguinosi, dalle storie estreme e folli di pellicole come Suicide Club, si è ora passati a pellicole ancorate in modo più diretto alla realtà quotidiana.
Certo, i vari Noriko’s Dinner Table e Cold Fish sono opere radicate nella tradizione, nella cultura e nella società nipponiche, pur essendo titoli “estremi”. Sono non ha mai trattato con i guanti il Giappone, tantomeno il nucleo famigliare, base portante della società: le colpe dei genitori si ripercuotono sempre sui figli, con effetti disastrosi e terribili, e non c’è via di fuga per nessuno. Lo stesso Himizu sposava questa riflessione, mentre invece The Land of Hope vede proprio nel nucleo familiare e nella nascita di un figlio la speranza per il domani.
Si fa più solare e speranzoso, il cinema dell’autore nipponico più radicale ed importante di oggi (sì, Miike compreso!). Di conseguenza anche lo stile si fa più anonimo, piatto, come se fosse dettato dall’urgenza di far respirare direttamente la sua storia lineare ed i suoi personaggi semplici e puri. Certo, comunque non mancano chicche visive (la scena in bianco e nero che gradualmente assume colore, all’arrivo delle autorità a casa degli Ono) e metafore evidenti (i pali sul tavolo che dividono Voichi dai genitori): segni ben distinguibili di una poetica riconoscibile e forte.
Fatto sta che Sono sta cambiando: perché è il Giappone stesso che sta mutando pelle, e non si può far finta di nulla. Il regista resta un lucido indagatore ed analista della società giapponese contemporanea (“Non ci si può più fidare delle autorità”), e riesce a catturare l’ansia e la paura di un popolo scosso dalle fondamenta in modo potente. The Land of Hope è pieno di persone che tentano di confrontarsi, o che leggono libri sulle radiazioni; anche perché, appunto, le autorità e i media non fanno informazione adeguata.
Fondamentale, in questo senso, il personaggio di Izumi, che aspetta un figlio. Fiera e determinata, orgogliosa di essere un’abitante di Nagashima nonostante venga schernita proprio per questo, la donna incarna alla perfezione la fetta di popolazione nipponica terrorizzata e imparanoiata dal pericolo radioattivo. Usa costantemente una mascherina, indossa una tuta “da astronauta”, ed usa skotch e materiale isolante per costruirsi una camera da letto a prova di radiazione in casa. Perché “questa è una guerra invisibile”, e bisogna combatterla.
Passata la prima ora (noiosa, ammettiamolo), The Land of Hope diventa un film abbastanza potente, capace di cogliere il Giappone “qui ed ora” con lucidità e commozione. Impreziosito dal dolcissimo rapporto tra i genitori di Voichi, il film decolla nel momento in cui Chieko “scappa” da casa, superando la linea del raggio di 20 km. Da lì in poi si trasforma in un’opera davvero sentita, con diversi momenti delicati ed emozionanti. Un’opera simile e diversa da Himizu, ma allo stesso modo imperfetta ed urgente. “Resisti, Nagashima!”.
Voto di Gabriele: 7
The Land of Hope (Kibou no Koku, Giappone 2012, drammatico 133′) di Sion Sono; con Isao Natsuyagi, Naoko Otani, Jun Murakami, Megumi Kagurazaka, Yutaka Shimizu, Hikari Kajiwara, Denden, Mariko Tsutsui.