Marco Muller chiude il suo Festival con un insolito errore di comunicazione o è un segno programmato di addio?
Italo Moscati fa il punto sul Festival di Roma 2012.
Confesso. Quest’anno ho seguito il Roma Film Festival 2012, il settimo della serie (continua?), con l’occhio (la mano) sinistra. Lo confesso: da subito, fin dall’elenco dei film, il programma non è che mi attraesse troppo. Ma, com’è giusto, gli assenti (o quasi) hanno torto. Nelle mie capatine ho avuto strane reazioni. Il red carpet contava nulla, ed era poco male; gli ospiti erano in massa gli italiani, e anche fin qui niente di male; il pubblico era un po’ sbandato, confuso, incerto ed era colpa dei film o della cornice che non esprimevano seduzione, non so; la tendenza non erano le novità ma le commemorazioni, da Tibero Murgia che non c’è più a Carlo Verdone e Giuliano Montaldo, due grandi, che sono stati effigiati in omaggi ricordo e, siccome sono persone gentili, si sono subìto rassegnati alla sventura, e hanno fatto i debiti scongiuri.
Ho letto i giornali e le critiche, molto disparate. Ho prestato attenzione a due critici che se la sono data di santa ragione in passato: Marco Giusti, angelo dello straculti ovvero dello stracotto dei generi del cinema, affossatore sistematico del cinema “d’autista” (a volte come e perché dargli torto?) e fanatico dei retrobottega, compresi i servizi igienici, del cinema popolare-populista- poliodori; e Paolo Mereghetti del “Corriere”, scrittore in punta di penna, riflessivo, rigidamente fofiano (il suo mentore frà Goffredo da Gubbio), da mesi in polemica con Giusti fino al punto di ritenerlo il responsabile, o fra i responsabili, di tutto il male del nostro cinema malato di narcisismo e felice di crogiolarsi nei malanni.
Non sono un arbitro di boxe e quindi non mi pronuncio su un match che francamente è stolto e va tolto dai buoni confronti di idee. Una cosa voglio notare. Il mio carissimo amico Roberto D’Agostino, gran capo di Dagospia, mio “collega” d’antan (come collaboratori entrambi dell’ “Europeo” dei direttori migliori Lamberto Sechi e Claudio Rinaldi), ha affidato a Giusti la proprietà degli interventi sul cinema; bene ha fatto a intitolare i suoi scritti “il cinema dei giusti”, inteso come degno; magari non sarà quello degno il suo cinema ma almeno il Giusti può essere lieve, spiritoso e non fastidiosamente gossip; ma spero si emendi dai cascami dei suoi amori trash più trash a prezzo di uno.
Giunti a questo punto, riservandomi un ulteriore post, vorrei concludere qui con qualcosa che non mi sarei mai aspettato da Marco Muller, ex direttore della Mostra di Venezia, bravo, competente, cittadino del mondo e delle cittadelle dei film.
Muller è stato spesso, anzi sempre, un abile, abilissimo stratega della comunicazione, conoscitore della stampa e della sua emotività e del pubblico festivaliero italiano, quanto mai emotivo.
Non so spiegarmi perché abbia deciso di concludere il cigolante festival con il film di Paolo Franchi, “E la chiamano estate”. Non l’ho visto e non so se andrò a vederlo- il tempo è prezioso- ma una persona scafata, eccelso navigatore come sua eminenza Marco dalle mille chiese avrebbe potuto le reazioni, i fischi e gli ululati, che hanno punito la sua scelta per il congedo del festival.
Non posso credere che queste reazioni “inaudite” non le avesse messe nel calcolo. Allora, io avanzo l’ipotesi, inforcando il binocolo sbagliato, che Muller abbia cercato questo scandalo, scaldaletto, fin di grottesco letto, per favorire corali dissensi destinati ad essere raccolti dai giornali e dai media quasi sempre paciosi e vili. E’ stato un modo per presentare un segnale che annuncia dimissioni? Le aveva già testa, visto che il programma (programmino) con cotanto finale scaldaletto, lo aveva ideato lui stesso? O no, o non aveva calcolato?
In questo caso, c’è da temere che anche lui, come tanti guru della mass comunication italiota possano coerentemente errare da esseri umani. Per troppa competenza o semplicemente per eccessiva fiducia in se stessi e nella bontà delle loro selezionate gaffes?