Home Festa del Cinema di Roma Roma 2012: Alì ha gli occhi azzurri – Recensione in Anteprima

Roma 2012: Alì ha gli occhi azzurri – Recensione in Anteprima

Corre per il Marc’Aurelio d’Oro Alì ha gli occhi azzurri. Da noi recensito, direttamente dal Festival del Cinema di Roma

pubblicato 10 Novembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:22

3 anni dopo Fratelli d’Italia, documentario presentato proprio al Festival Internazionale del Film di Roma, Claudio Giovannesi torna nella Capitale con Alì ha gli occhi azzurri, primo film italiano in Concorso in questa prima edizione targata Marco Muller. Vero e proprio ‘spin-off’ di Fratelli d’Italia, perché una delle tre storie allora raccontante è stata qui fatta evolvere in lungometraggio dallo stesso regista, Alì ha gli occhi azzurri delinea un’Italia multietnica e multiculturale.

Girato quasi interamente ad Ostia, e già nel titolo esplicitamente ‘dedicato’ a Pier Paolo Pasolini, il film di Giovannesi stupisce dal punto di vista registico, per quanto attuale, sporco, reale, nel voler raccontare le contraddizioni di una società ancora oggi divisa, tra lotte di razza e conflitti religiosi.

Impreziosito dalla straordinaria fotografia di Daniele Ciprì (ormai vero e proprio marchio di garanzia) e dalle musiche dello stesso regista, il film di Giovannesi prova a raccontare un mondo adolescenziale concentrato su dinamiche e problemi troppo spesso periferiche, seguendo passo passo la settimana di un ragazzo problematico, nato in Italia ma da genitori egiziani, con tutte le contraddizioni del caso.


Ostia, lungomare di Roma. Qui era di casa Pier Paolo Pasolini. Qui vive Nader, egiziano nato nella Capitale d’Italia. Nader fa tutto per non sembrare ‘diverso’. Quasi costretto ad una vera e propria ‘omologazione’ culturale, il ragazzo indossa tutte le mattine delle lenti a contatto azzurre, pur di sembrare ‘italiano’. Pur di non apparire ‘arabo’. Come la sua famiglia, che non riesce a capire, così come loro non capiscono lui.

Nader è infatti innamorato di una ragazza della sua età. Bianca, italiana. Ben accolto dalla famiglia di lei, Nader si trova costretto a dover affrontare la ‘rabbia’ della propria famiglia. Che ripudia questa unione. “Noi siamo musulmani, siamo diversi. Loro non sono cattivi, ma non sono noi“. Costretto a dover scegliere tra la propria libertà individuale e il volere religioso/culturale imposto dalla propria famiglia, Nader opta per la prima opzione. Scappa di casa, grazie anche all’aiuto dell’amico Stefano, vero e proprio ‘criminale’ della scuola. I due si conoscono da 10 anni, sono cresciuti insieme, si proteggono a vicenda, rapinando supermercati e prostitute per racimolare qualche soldo. Peccato che l’ennesima bravata rompa il già precario equilibrio, portando le due vite ad implodere.

Religioni differenti che si incontrano, concenzioni sociali che si scontrano, con tutte le contraddizioni dell’evoluzione maschilista, che vuole la donna musulmana comunque ‘diversa’, sempre e comunque, anche rispetto ad un fratello in cerca di quella stessa libertà ‘occidentale’ che in patria sarebbe considerata quasi blasfema. In una Ostia grigia, fredda, spoglia e volutamente pasoliniana, Giovannesi conferma le qualità registiche già viste al Festival del Cinema di Roma grazie a Fratelli d’Italia, realizzando un lungometraggio dal taglio quasi documentaristico, per quanto straordinariamente naturalistico. Merito di un cast completo e credibile, capitanato da due giovani protagonisti tanto ribelli quanto vittime di un io a tratti incontrollabile, e in perenne contraddizione.

La ‘comprensione’ famigliare che Nader pretende per 3/4 di film deraglia nel momento stesso in cui è la sorella minore a reclamarla, alimentando rotture interne, frantumanto rapporti d’amore e d’amicizia che apparivano come consolidati, e il tutto in una semplice settimana. Perché Giovannesi questo fa, raccontando 7 giorni. Non uno di più. Il finale spiazza, nel non dare risposte definitive, ma solo momentanee. Violente, rumorose, ma tutt’altro che ‘conclusive’, tanto nel bene quanto nel male. Per quel che accadrà una volta finiti quei 7 giorni, possiamo solo intuirlo.

In cerca della propria identità, Nader dovrà abituarsi a sopportare il freddo, la solitudine, il tradimento di amici storici, la fame, la paura della morte, la violenza, maturando di fatto a soli 16 anni. Perché quasi ‘costretto’, da una società che troppo spesso non conosce sfumature, passando dal bianco al nero con un sol balzo.

Il taglio registico voluto da Giovannesi è quasi ‘asfissiante’. La macchina da presa segue i suoi protagonisti. Siamo gli occhi azzurri di Nader. Camminiamo con lui, lottiamo con lui, amiamo con lui, diventiamo violenti e criminali insieme a lui. Non esistono buoni e/o cattivi in Alì ha gli occhi azzurri, perché tutti colpevoli. Nel puntare il dito, nell’accusare e pontificare, nel sentenziare e nel pretendere. Tanto dall’uscire dalla sala finalmente consapevoli, che un mondo così, diviso tra pseudo buoni e cattivi, tra diversi e anormali, non ha senso di esistere.

Voto di Federico: 7

Alì ha gli occhi azzurri (Ita, 2012, drammatico) di Claudio Giovannes; con Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian – uscita: 15 novembrequi il trailer

Festa del Cinema di Roma