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Roma 2012: A Walk in the Park di Amos Poe – Recensione in Anteprima più trailer italiano

Docu-dramas in arrivo dalla sezione Cinema XXI con A Walk in the Park di Amos Poe

pubblicato 9 Novembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:24

Esponente del movimento No Wave del Cinema tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80, Amos Poe è uno dei nomi di punta della nuova sezione del Festival Internazionale del Film di Roma dedicata al cinema d’autore. Accolto nella Capitale con l’anteprima mondiale di A Walk in The Park, Poe ha avuto il piacere di ammorbare i pochi presenti alla proiezione stampa, follemente programmata alle 9 del mattino.

A forza di voler ‘sperimentare’ a tutti i costi, il cinema di Poe è infatti diventato ‘altro’. Video installazioni artistiche, fotografie animate che alternano la pura fiction allo stile documentaristico. Come se fossimo nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, Poe ci conduce per mano tra gli alberi e gli strani personaggi che quotidianamente popolano Central Park. Tutto questo per raccontare la vita di Brian Fass, da lui stesso definita un ‘film di fantascienza, uno psichedelico viaggio di ritorno al grembo materno’.

Legato a doppio filo all’amata ed odiata madre Alice, Brian vive una non vita. Fatta di incubi e paure, di ipocondria e solitudine. Estremizzando sempre più il concetto di ‘artista e comunicatore’, Poe finisce per abusare del proprio titolo di ‘avanguardista del cinema americano’, realizzando un non film semplicemente insostenibile.

Cosa potremmo e dovremmo definire Cinema? Sull’argomento sono stati scritti decine e decine di libri. Il già citato movimento No Wace Cinema negli anni 80 fece conoscere registi come Jarmush ed Abel Ferrara. Peccato che Poe negli anni abbia poi preso una strada totalmente diversa rispetto a quella dei blasonati colleghi, finendo così per fare altro.

Perché A Walk in The Park non è propriamente Cinema. E’ un ‘docu-dramas’ che prova a pennellare l’esistenza di un individuo visibilmente disturbato. Partendo dal malato rapporto con la madre e con il fratello minore, Poe riporta in vita il ‘mito’ di Norman Bates di hitchcockiana memoria. Il fotografo (e direttore della fotografia) Brian Fass racconta la propria storia in prima persona, la propria dipendenza dai farmaci, i 69 trattamenti di scosse elettriche che gli hanno annebiato la memoria, la solitudine che per anni l’ha travolto, perché oscurato dall’ingombrante presenza di Alice, sua madre. Dividendo la realtà, ovvero Central Park, dalla sua fantasia, ovvero l’appartamento in cui ha vissuto 42 dei propri 44 anni, Fass non viene mai realmente mostrato. Noi vediamo solo e soltanto la sua silhouette, l’abisso dell’io, con un’algida ed infinita New York sullo sfondo.

Alternando versi poetici a fotografie storiche, splendide immagini naturalistiche a scorci newyorkesi magnificamente ‘colorati’, visioni del passato ovviamente di finzione e filmati reali, Poe realizza un film così forzatamente sperimentale da non lasciare il segno. Perché ripetitivo, nella sua lunga ed infinita suddivisione in capitoli, mai mininamente entusiasmante e per questo incapace di mantener alta l’attenzione dello spettatore. Nata per dedicarsi quasi esclusivamente a quelle ‘correnti del cinema mondiale senza distinzione di genere e durata, che esprimano le ridefinizione continua del cinema all’interno del continente visivo contemporaneo‘, la sezione XXI del Festival Internazionale del film di Roma fa così subito capire l’andazzo della stagione 2012, e le enormi differenze con il passato, ovvero rispetto alla celebrata sezione Extra, ormai morta e diventata ‘questo’.

Voto di Federico: 4

A Walk in the Park (Usa, 2012, documentario) di Amos Poe.

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