Venezia 2012 – La Cinquième Saison: Recensione in Anteprima
Manca davvero pochissimo alla chiusura di quest’ultima Mostra veneziana. In uno degli ultimi sprazzi di Concorso, ecco arrivare uno dei titoli più in ombra di questa rassegna. Passato in sordina insieme ad altri meno attesi, anche La Cinquième Saison (La Quinta Stagione) del duo belga Woodworth/Brosens fa capolino qui al Lido.
Un film destinato a dividere, essenzialmente perché del tutto fuori dagli schemi. Eppure, come a breve avremo modo di constatare, si tratta di una delle sorprese più interessanti di Venezia 69. Una pregevole esperienza, condotta con uno stile pressoché impeccabile. Virtuoso, per certi aspetti, alla luce di una regia precisa e cadenzata.
Ed è esattamente questo suo porsi al di là a farne un’opera di assoluta rilevanza. Ermetica, sotto alcuni punti di vista anche troppo. In cambio è però in grado di confortare con una resa visiva invidiabile, frutto di un lavoro scenico che sovente durante la proiezione ci ha lasciato basiti.
Ultimo di una trilogia vertente sullo scontro tra Uomo e Natura, le vicende de La Cinquième Saison prendono piede in un villaggio delle Fiandre, sconvolto da un’inspiegabile calamità che ha ridotto alla fame l’intera popolazione. Ma questo non è altro che l’incipit. Sotto la scorza c’è decisamente di più. Trattasi di un intero universo.
Pronti via, la prima immagine ci scaraventa nel film con una forza incredibile. Inquadratura fissa su un tavolo, un uomo contempla attentamente una gallina nel tentativo di farle emettere qualche verso. Ciò che succede di lì a poco ci dà un’idea del grado di stordimento a cui Brosens e Woodworth cercano di sottoporci per l’intera durata della pellicola.
Pur avendo qualche personaggio che ricorre con maggior frequenza, il villaggio è l’unico elemento costantemente al centro dell’attenzione. In nessun caso la nostra vista viene privata di quest’ambiente, uguale a sé stesso fino alla fine. Eppure questa medesima cornice, viva, pulsante come fosse un protagonista aggiunto, muta mediante un processo vagamente mistico.
La quinta stagione cui allude il titolo ci suggerisce di andare oltre. Perché al di fuori delle classiche quattro, questa ulteriore dimensione apre una voragine, uno squarcio su una realtà devastante. Condizione annunciata, quasi propiziata da episodi, gesti, parole – pensiamo al breve canto del ragazzino sulla sedia a rotelle mentre tutti sono radunati all’interno di una locanda, di un’energia notevolissima. Non ci vuole molto per intuire che il piccolo paesino in cui si svolgono gli eventi covi qualcosa. I suoi abitanti conducono le proprie esistenze inconsapevolmente influenzati da questo oscuro, indefinibile ‘qualcosa’.
E non pensate di poter distogliere anche solo per un attimo lo sguardo dallo schermo, dato che la potenza narrativa de La Cinquième Saison poggia radicalmente sulla costruzione delle immagini. Precise, ricche, armoniose, strutturate con una meticolosità quasi maniacale. Ed è proprio in questa scrupolosità che giace il violento vigore con cui ogni singola immagine ci segna. Brosens e Woodworth non sprecano letteralmente un’inquadratura, dimostrando una sensibilità per la disposizione scenica piuttosto significativa. Componente, questa, alla quale contribuisce una fotografia encomiabile, come diversamente non poteva essere.
Mentiremmo però se dicessimo di aver decifrato ogni singolo codice del film. Non tanto per la palese brevità dei dialoghi, asciutti sì ma tutt’altro che banali, quanto per la complessità di certi passaggi, che esigono a gran voce una seconda visione. La Cinquième Saison si produce costantemente in un’ardita speculazione sulle differenze tra Uomo e Natura, e su chi dei due ha più possibilità di avere la meglio sull’altro. Il suo è un lavoro di puro linguaggio filmico, esasperato, calmo all’apparenza, ma alimentato da una fiamma che mai si spegne o anche solo si affievolisce. “Devi avere il caos dentro per generare un fuoco danzante”, questa è la frase di uno dei protagonisti che meglio descrive questo lavoro. Perché La Cinquième Saison lavora con molta discrezione nel non rivelare il brutale disordine che si trascina al proprio interno, ma è altrettanto sadico nel mostrarci in maniera piuttosto cruda gli effetti esterni di un moto interiore così tumultuoso.
Caos che si ripercuote violentemente sugli abitanti, la cui metamorfosi diviene via via sempre più tangibile. In un film dalla forte vocazione al simbolismo, non lascia indifferenti (anzi atterrisce) l’espediente di cui i due registi si servono per apporre il sigillo all’avvenuta mutazione della popolazione. Aggregatisi in una setta, a ciascuno di loro viene fatta indossare un’inquietante maschera. Una maschera che spersonalizza, che mette tutti sullo stesso piano, sformando uno per uno chi la indossa.
Ed in fondo non c’è peggior sconfitta da parte dell’Uomo, se non quella di farsi deturpare in maniera così profonda dalla Natura. Perché è quest’ultima a privare progressivamente ogni abitante di qualsiasi briciolo di umanità, poco alla volta. Defraudati come sono da un ambiente che li rigetta, a questi individui “senza volto” non resta che delegare la propria individualità al gruppo, ragionando all’unisono come se si fosse instaurata una mortifera coscienza collettiva – che, manco a dirlo, prevale nettamente su quella personale.
Tutto ciò, Brosens e Woodworth lo ricreano servendosi di una rappresentazione oltremodo suggestiva, densa di immagini che rapiscono. All’interno di una cornice alla cui ricchezza e maestria compositiva, in termini visivi, corrisponde un vuoto ed una desolazione che ci attraversano rivoltandoci dalle viscere.
Difficile dunque entrare nelle logiche di La Cinquième Saison. Ma quale che sia lo sforzo per riuscirci, non abbiamo dubbi sul fatto che ne valga di gran lunga la pena, proprio perché lo abbiamo sperimentato. Un film che disserta per immagini, per spunti ed episodi. Che mette alla prova il nostro grado di sopportazione come quello degli abitanti, esasperati da stravolgimenti climatici e morie di ogni tipo.
La Cinquième Saison ci parla di un Cinema come specchio, attraverso cui possiamo analizzarci, avvicinarci a noi stessi e se va bene comprenderci. Sequenze di una potenza tale da restituire dignità allo spettatore, esigendo una capacità ricettiva insita in lui. Perché nella Natura dispotica che asservisce l’Uomo, schiavo della necessità, troviamo quella parte di noi da cui troppo spesso ci fa comodo fuggire. E a quel punto basta un solo specchio per scorgere il volto della vittima e quello del carnefice.
Voto di Antonio: 8,5
Voto di Gabriele: 9
La Cinquième Saison (Belgio, 2012), di Peter Brosens e Jessica Woodworth. Con Sam Louwyck, Aurélia Poirier, Django Schrevens e Gill Vancompernolle.