Venezia 2012 – La sposa promessa (Fill the Void): recensione in anteprima
Cineblog recensisce in anteprima dalla 69a Mostra del Cinema di Venezia La sposa promessa, dell’israeliana Rama Burshtein
Nell’ambito dell’ortodossia ebraica il matrimonio è da sempre stato un affare di famiglia. Come fino a non molto tempo fa accadeva anche dalle nostre parti, sono i genitori ad accordarsi fra di loro per combinare le nozze dei propri figli. Uso questo ancora attuale in alcune famiglie ebraiche, dove tutto ciò rappresenta la norma.
Rama Burshtein ci porta così all’interno di una di queste famiglie, le cui dinamiche sono ancora regolate da schemi patriarcali, da clan. Ma non è lo scontro con la modernità quello che cerca la regista israeliana. Le donne di La sposa promessa tutto sono fuorché oggetti, creature inferiori e sottomesse. Le velleità critiche o di denuncia, quindi, non appartengono affatto a questa pellicola.
Tuttavia alla donna è evidentemente chiesto ciò che culture di questo stampo hanno sempre esatto da loro, ossia fedeltà e obbedienza anzitutto. Chi pensasse che tale considerazione cozzi con quanto rilevato poco sopra, non si lasci ingannare. La sottomissione in ambienti di questo tipo non ha nulla a che vedere con l’accezione che noi “moderni” diamo al termine.
Shira, giovane e avvenente, è la più piccola delle tre figlie di una famiglia ebraica ortodossa. Promessa sposa ad un suo coetaneo, la sua vita e quelle dei suoi familiari vengono scosse da una disgrazia, ossia la prematura dipartita della sorella durante il parto. Ma il vero problema, in un ambiente di questo tipo, non è tanto il nascituro. Le complessità sorgono in relazione al marito, Yochay, rimasto vedovo e quindi “costretto” a cercarsi una nuova moglie. Ma non appena gli si prospetta la possibilità di contrarre matrimonio con una vedova belga, Yochay comincia a coltivare un discreto interesse per Shira.
Da qui ha inizio il tormento della ragazza, divisa tra due fuochi. Quello dei genitori, che vorrebbero sposasse il marito della sorella defunta, e quello del vincolo, reso vano dalla mancanza di sentimento verso Yochay e dalla conseguente confusione.
Dovere e passione, dunque, fanno da sfondo ad un film che procede in maniera eccessivamente flemmatica, all’interno di spazi per lo più chiusi, claustrofobici. Un ritmo che tende a simboleggiare lo stato d’animo della ragazza, la quale tenta disperatamente di temporeggiare in ogni modo, soffocata da un senso d’asfissia che non le consente di prendere una decisione inequivocabile.
Per buona parte del film, neanche noi riusciamo a comprendere cosa passi per la testa di Shira. Dovremmo intuirlo, forse, ma la sua totale chiusura non consente chissà quale speculazione. Emerge il dolore della giovane, ma bisognerà arrivare fino in fondo per farci un’idea di cosa la turbi. L’amore per i genitori, certo, il suo spiccato senso del dovere verso la propria famiglia. Ma anche il mancato riscontro al sogno idealizzato di un matrimonio perfetto. Quando finalmente si sbottonerà con Yochay, dopo averlo ripetutamente allontanato non con malizia bensì con i suoi tremendi silenzi, Shira dirà grossomodo: “Ricordi com’è fu il tuo matrimonio con mia sorella, la tua prima volta? Sposando te io dico addio a tutto questo“.
Perché in fondo nemmeno la dolce Shira sa cosa vuole. In cuor suo vorrebbe “accontentare” tutti, senza mancare di rispetto a nessuno, ma alla fine si accorgerà che ciò non è possibile. Ed allora le toccherà prendere una decisione; la decisione.
Ciò che non ci ha convinto è lo scarso vigore con cui gli eventi di Fill the Void si succedono. Non ci aspettavamo di certo colpi di scena ogni due/tre sequenze, ma la stasi di Shira si riflette in modo quasi indistinguibile dall’andamento del film, che si trascina per buona parte della sua durata. In mezzo si avverte una certa mancanza di mordente nei dialoghi, che a fronte di una tematica di questo tipo potevano certamente rendere con maggior efficacia. Ed invece anche noi dobbiamo affidarci ai silenzi, a rari botta e risposta ad effetto, nonché a qualche breve episodio più leggero, giusto per stemperare l’atmosfera greve di cui è permeato il tutto.
A questo si aggiunge una fotografia che lascia perplessi per quanto è luminosa, quasi patinata. In certe scene i contorni dei personaggi sembrano quasi disporre di un’aura abbagliante, che stona, confonde se non addirittura infastidisce.
Ed è un peccato, perché l’argomento di fondo merita. Quel che manca è una narrazione convincente, che fa troppo affidamento sulla potenza insita nell’oggetto di cui tratta. Ne viene fuori un dipinto sbiadito, come lo sono le immagini. A più riprese, fino all’ultima scena conclusiva, si percepisce l’assenza di qualcosa. In qualche caso Fill the Void potrebbe decollare, tirando fuori aspetti inerenti alla situazione o ai suoi personaggi, eppure preferisce volare basso. Troppo per dirci soddisfatti non appena le luci si sono riaccese.
Voto di Antonio: 5
Voto di Gabriele: 6
La sposa promessa (Fill the Void / Lemale et Ha’Chal, Israele, 2012, drammatico), di Rama Burshtein; con Hila Feldman, Razia Israeli, Yiftach Klein, Renana Raz, Ido Samuel, Chayim Sharir, Irit Sheleg e Hadas Yaron – Qui il trailer italiano – Uscita in sala il 15 novembre 2012.