Vita di Pi: Recensione del film di Ang Lee
Ang Lee torna nelle nostre sale con lo spettacolare Vita di Pi. Ecco la recensione di Cineblog
Opera leggermente complessa quest’ultima di Ang Lee. Film se vogliamo inedito nella fimografia di un regista piuttosto trasversale, in grado di reinventarsi ad ogni pellicola. E Vita di Pi, cosa che ad alcuni forse sfuggirà anche dopo averlo visto, è probabilmente il suo progetto più ambizioso; e ciò è vero a più livelli.
Tratto dall’omonimo romanzo di Yann Martel, Vita di Pi ha il non indifferente merito di sottoporre all’attenzione del grande pubblico una tematica pressante, troppe volte e troppo malamente elusa dal cinema mainstream e non solo. Argomenti che non sono nelle corde di tutti e su cui sta o cade l’intera resa del film. Perché qui si discute apertamente di Dio, senza escamotage di sorta. L’intento è dichiarato sin dall’inizio, prendere o lasciare.
Tuttavia, pur vertendo su tale questione, è evidente che il tutto non si limiti a tale incipit basilare. Un film tanto intelligente quanto obiettivamente compiacente; con quel suo tenersi in equilibrio precario tra l’esigenza di risultare appetibile al grande pubblico, e quella invece di stimolare riflessioni più alte, anche a costo di irretire lo spettatore.
Quella di Pi nasce come storia trasmessa oralmente, e che quindi come tale potrebbe benissimo funzionare descrivendola nero su bianco. Ciononostante, in questa sede ci limitiamo a poche, semplici indicazioni. Piscine Molitor Patel, anche detto Pi, è un giovane piuttosto irrequieto, che non si lascia scappare nemmeno un’occasione per cercare di approfondire meglio il rapporto tra sé e Dio. Le danze vengono quindi aperte all’insegna di questo seme sincretistico, lasciato depositare per buona parte del film, salvo poi ritornare sotto forma di arbusto rigoglioso in chiusura.
Al mercato delle religioni, Pi non scarta nulla: meglio tutte che una sola. Suo padre, meno avvezzo a certe logiche, sarcasticamente gli fa notare: “Devi convertirti ad altre tre religioni e passerai tutta la vita in vacanza“. Sì perché quello sperimentato e praticato da Pi è un calderone di fedi, da cui attinge a piene mani, battezzandosi prima e pregando verso la Mecca dopo.
Finché un giorno la nave mercantile sulla quale lui e la sua famiglia si imbarcano per raggiungere il Canada naufraga nell’Oceano Pacifico. Da qui ha inizio il vero viaggio di Pi, ad un quarto di strada rispetto a quando la sua storia ha avuto inizio. Ed è da questo momento in avanti che la pellicola si schiude come una crisalide.
Limitatamente a tale aspetto, ampiamente meritato il plauso ad Ang Lee, che riesce a coinvolgerci in maniera brillante servendosi di pochi elementi per buona parte della narrazione: un ragazzo, una tigre del Bengala ed una scialuppa di salvataggio. Qui i pareri potranno nondimeno essere discordanti. Romanzo a parte, c’è chi potrebbe lamentare un’infarinatura piuttosto lenta riguardo all’approfondimento spirituale della disastrosa avventura del giovane – anche perché di questo si tratta, ossia un percorso profondamente spirituale. Altri invece potrebbero apprezzare a tal punto l’ineffabile rapporto che si instaura tra l’uomo e la bestia, da soprassedere su tutto il resto.
Ciò su cui non si può fare a meno di concordare è invece sullo sfarzoso impianto tecnico messo su per l’occasione. Vita di Pi, al di là dei giganteschi significati a cui rimanda, è un’opera visivamente eccelsa. Se nella prima parte certe costanti sovrapposizioni, per quanto funzionali alla narrazione, tendano a stonare, buona parte di ciò che vediamo dal naufragio in poi esercita un fascino altamente suggestivo. Una magnificenza che si regge letteralmente sulle proprie gambe, astraendoci e astraendosi dalle vicende mostrate.
Probabilmente è in relazione a tale componente che non riusciamo paradossalmente a dirci del tutto convinti. Ang Lee è un regista che sa bene come e quali soggetti scegliere, optando talvolta per vicende piuttosto condiscendenti. Vita di Pi non è da meno, perché in fondo si tratta di un film costruito per piacere, prima ancora che per suscitare quesiti. A tratti si atteggia un po’ come il suo personale (di Lee) The Tree of Life, salvo disattendere in toto tutte le pressanti istanze di cui in maniera a dire il vero scomoda, pedante ma assolutamente arguta Malick riesce a farsi portavoce.
Certo, qui siamo nell’ambito della favola, contemporanea per giunta. Ergo trattasi di quei racconti che soffrono una certa crisi d’identità, alla luce di certe idiosincrasie, mosse dal desiderio, altrettanto contemporaneo, di mettere d’accordo quante più cose possibile. Con un finale a sorpresa risolleva comunque le cose, essenzialmente per via di un colpo letterario che non a caso attiene per intero al romanzo.
Dubbi a parte, Vita di Pi resta comunque un notevole esempio di cinema e di come la computer grafica possa lavorare in simbiosi con quanto s’intende descrivere, senza deturpare il volto di un film. Meno profonda di quanto vorrebbe farci credere, l’ultima fatica di Ang Lee ha comunque un suo forte perché, laddove certi limiti attengono tutt’al più alla fonte da cui attinge. Visceralmente impreziosito da immagini vive, sgargianti, in un turbinio di colori che alla fine della fiera colpiscono senz’altro di più rispetto a certe speculazioni dallo spiccato retrogusto ecumenico. Va in ogni caso dato atto del coraggio di portare in sala qualcosa di un po’ più particolare, dipingendo un quadro il cui tenore oramai sembrava esclusivamente appannaggio di certa incantevole animazione.
Voto di Antonio: 7
Voto di Gabriele: 7
Voto di Federico: 8
Vita di Pi (Life of Pi, USA, 2012). Di Ang Lee, con Suraj Sharma, Irrfan Khan, Tabu, Rafe Spall, Gérard Depardieu, Adil Hussain, Ayush Tandon. Nelle nostre sale dal 20 Dicembre.