11° Far East Film Festival – Terza Giornata
Passato in giudicato il weekend, foriero di una vera e propria marea di gente, l’11° Far East Film Festival di Udine affronta lo spauracchio di qualsiasi manifestazione cinematografica non estiva: il lunedì. Sostanzialmente decimato il pubblico, durante le proiezioni del mattino ci si può dare un’occhiata intorno e rendersi conto del numero elevato di accreditati
Passato in giudicato il weekend, foriero di una vera e propria marea di gente, l’11° Far East Film Festival di Udine affronta lo spauracchio di qualsiasi manifestazione cinematografica non estiva: il lunedì. Sostanzialmente decimato il pubblico, durante le proiezioni del mattino ci si può dare un’occhiata intorno e rendersi conto del numero elevato di accreditati che anche quest’anno si sono presentati a Udine.
Si può dire che la giornata di ieri abbia rappresentato un momento interlocutorio in vista dell’attesa presentazione di Departures. Lo slot della prima serata è stato assegnato al simpatico blockbuster K-20: Legend of the Mask della regista Sato Shimako: l’opera, a metà fra il film d’azione e il fantasy, è ispirata ai personaggi creati da Edogawa Rampo (scrittore saccheggiato in grandi quantità dal cinema giapponese) e rivisitati da Kitamura So. In un 1949 alternativo la II° Guerra Mondiale è stata evitata e il Giappone vive ancora secondo modelli medioevali, con una forte separazione fra caste. A rovinare l’idillio ci pensa il bandito K-20 (Kaijin 20, il demone dalle venti facce) che ruba preziosissimi manufatti appartenenti all’alta società. Heikichi (Takeshi Kaneshiro) è un acrobata e illusionista; il suo spirito da sempliciotto lo porta a essere facilmente manipolato da K-20, che lo incastra e lo fa arrestare dal barone Akechi Kogoro, un pomposo nobile considerato il miglior detective del mondo.
La signora Sato, classe 1964, qui alla regia del suo quarto film, riesce nell’intento di strappare un budget favoloso alla Robot, una delle più grandi case di produzione giapponese. Veramente difficile trovare una situazione paragonabile in occidente. Senza contare che K-20 alla fin della fiera è un buon film, un prodotto per famiglie che non ottunde con la sua stupidità ma che, anzi, intrattiene con gusto e intelligenza.
In seconda serata ha fatto il suo trionfale ingresso il dimenticabile remake di Cellular, film del 2005 di David R. Ellis con Kim Basinger. Si tratta di Connected, diretto dall’esperto di commedie Benny Chan che dirige in questo thriller attori di grande caratura come Louis Koo e Nick Cheung. Salutiamo, passando oltre, il film di mezzanotte, ovvero il pink movie Love Master 3. Per chi non conoscesse i pinku, si tratta di porno soft in cui i registi hanno l’obbligo di inserire una scena di copula tassativamente ogni 10 minuti. In mezzo hanno la libertà di fare quello che vogliono e i risultati portano ad alcuni dei film più assurdi e sperimentali e ad alcune delle vaccate più incredibili che l’umanità abbia conosciuto.
In mattinata l’ha fatta da padrone un altro film giapponese. Si tratta di Drop, diretto dall’esordiente Shinagawa Hiroshi, che sentiva il bisogno di aggiungere un’altra carriera al fianco di quelle da comico, scrittore, attore e cantante. Di più: questo suo film d’esordio è tratto da un manga scritto da lui stesso e disegnato da Suzuki Dai, manga a sua volta ispirato a un romanzo autobiografico sempre scritto dallo stesso regista. Non è dato sapere se nella colonna sonora Shinagawa abbia inserito una propria composizione, ma sarebbe decisamente la ciliegina sulla torta. Drop racconta la storia di Hiroshi, ragazzo di buona famiglia iscritto a una scuola privata, talmente appassionato di manga da volersi trasferire in una scuola pubblica per entrare in una gang.
Hiroshi realizza il suo sogno, entrando nella banda del ribelle Tatsuya, figlio di un esilarante yakuza riciclatosi come tassista. La banda dei due nuovi amici scorrazza per il quartiere alla ricerca continua di nuove sfide, mettendo in continuazione a rischio la propria salute sostenuti dall’adolescenziale convinzione che le persone nella realtà non muoiono così facilmente. Shinagawa sarà anche un esordiente un po’ troppo impegnato, fatto sta che il tempo per realizzare un ottimo primo film l’ha trovato. Alla bontà del risultato ha sicuramente giovato la conoscenza profonda della sceneggiatura; con un elemento in meno a cui badare il regista si è potuto concentrare sul piano visuale della sua opera, curando in maniera maniacale fotografia, costumi e trucco in modo da mantenere viva la natura “mangosa” e stilizzata del suo film (utilizzando anche degli inserti disegnati molto belli). La pellicola in buon sostanza diverte dall’inizio alla fine, si fregia di una certa solidità in fase di sceneggiatura ed è più che apprezzabile a livello estetico. La storia da shonen, da manga per ragazzi, pur essendo autobiografica ha il difetto di essere costruita su stereotipi abbastanza comuni, ma di fronte all’irrefrenabile ritmo imposto da Shinagawa non si può far altro che farsi trasportare.