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In Bruges – La coscienza dell’assassino: recensione

In Bruges – La coscienza dell’assassino (In Bruges, Gran Bretagna / Belgio, 2008) di Martin McDonagh; con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Clémence Poésy, Elizabeth Berrington, Rudy Blomme, Olivier Bonjour, Mark Donovan, Ann Elsley, Jean-Marc Favorin, Eric Godon.Se si discute tanto di generi, è perché spesso si ha la paura di non poter catalogare

1 Luglio 2008 23:21

In BrugesIn Bruges – La coscienza dell’assassino (In Bruges, Gran Bretagna / Belgio, 2008) di Martin McDonagh; con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Clémence Poésy, Elizabeth Berrington, Rudy Blomme, Olivier Bonjour, Mark Donovan, Ann Elsley, Jean-Marc Favorin, Eric Godon.

Se si discute tanto di generi, è perché spesso si ha la paura di non poter catalogare (capire) i film. Pellicole come In Bruges possono respingere chi ha voglia di vedere un film incasellato e può accontentare chi ama i mix. Che non è sempre un bene, ma a volte è sintomo di un certo coraggio e (almeno) una certa voglia di non raccontare una storia secondo dei parametri già definiti.

In Bruges non è nulla di nuovo, anzi, ma si tratta di un esordio. E’ il primo lavoro, dopo un corto vincitore di un Oscar, dell’inglese Martin McDonagh: nella sua prima pellicola si respira la voglia di mescolare l’alto col basso, il raffinato con il dilettantesco, e quella strana vitalità (che non vuol dire per forza ritmo indiavolato ed eventi a palate) che rendono (im)perfetta un’opera prima.

Della trama è meglio dire poco, anche perché nei primi minuti il film tende a carburare lentamente: due simil-gangster si ritrovano a Bruges, amata da uno e odiata dall’altro, che s’innamorerà di una ragazza del posto conosciuta su un set cinematografico. In ombra per almeno tre quarti del film c’è il loro pazzo e assurdo boss.

L’anomalia che percorre ogni singolo fotogramma di In Bruges fa capire che McDonagh ha scelto premeditatamente un certo tipo di stile per potersi prendere delle libertà che spesso e volentieri stonano (chi ci crede ad una persona che, buttandosi da metri e metri, vive ancora e riesce a parlare nonostante le ovvie conseguenze di una simile caduta?), ma la sua capacità di raccontare una storia che con un altro stile sarebbe risultata decisamente meno interessante non è da sottovalutare.

In mezzo alla “follia”, ciò che forse colpisce di più è il rigore morale dei suoi stralunati protagonisti (che se fossero monoespressivi non sarebbe così assurdo paragonare ai protagonisti dei film di Wes Anderson), sottolineata dall’ottima colonna sonora di Carter Burwell: nonostante tutto portano avanti i loro principi fino alla fine. E il senso di colpa è un macigno che può scatenare a prima vista il sorriso nello spettatore, ma sottopelle regala amarezza.

Se In Bruges non colpisce all’inizio, è possibile che lo faccia col passare dei minuti: grazie ad una sceneggiatura che manda a segno più di un colpo (basta vedere la sequenza dell’omicidio del prete), e grazie anche alla recitazione, penalizzata dal doppiaggio, degli attori, anche di Farrell. Un frullato anomalo, più studiato di quello che può apparire a prima vista, senza esagerare stimolante.

Voto Gabriele: 7
Voto Simona: 6,5