Venezia 65: Nowhere Man – PA-RA-DA – Burn after reading – Machan
Ho visto cose che voi umani (non al Lido) non potreste neanche immaginare. Sciami di zanzare che si scaraventano in modo malefico (e a migliaia, giuro) sui poveri accreditati, spersi nella zona Garden tra un Info Point meno informato del pubblico e bar/ristoranti dove i prezzi aumentano del circa 30% ogni giorno. Ho visto la
Ho visto cose che voi umani (non al Lido) non potreste neanche immaginare. Sciami di zanzare che si scaraventano in modo malefico (e a migliaia, giuro) sui poveri accreditati, spersi nella zona Garden tra un Info Point meno informato del pubblico e bar/ristoranti dove i prezzi aumentano del circa 30% ogni giorno. Ho visto la nuova sigla ideata da Ermanno Olmi: non se ne abbia a male il maestro, ma ho già nostalgia dei colori, dei suoni e del Leone della vecchia sigla.
Capisco l’intenzione (L’arroseur arrosé, i diversi formati della pellicola, il muto e il sonoro, il bianco e nero e il colore), ma non entusiasma nonostante una punta di (involontario) gay-friendly. Ma ho anche visto film, per fortuna, ed ecco quindi il resoconto della prima giornata passata alla Mostra edizione numero 65: non iniziata proprio col botto, forse…
Giornate degli autori
Nowhere Man, di Patrice Toye
Un uomo sposato decide di cambiare radicalmente la sua vita: dal taglio totale della barba se ne andrà a vivere in un’isola tropicale, abbandonando la moglie. Senza soldi, senza identità, ma con un passato che prima o poi ritornerà e con cui dovrà fare i conti. Il film del belga Toye sembra, descritto così, nato quasi da una costola di Into the Wild: ma non spaventatevi, non c’entra nulla. Semmai è da capire come mai ci siano dei brevi squarci lynchani, sogni deliranti di un uomo che si finge morto in un incendio e vuole riniziare tutto da zero.
Nowhere Man inizia quasi come una commedia, procede in terra tropicale per rispostarsi in città, per affrontare il confronto con la moglie abbandonata anni prima e risposatasi. Un po’ confuso, non si sa bene dove voglia andare a parare: manca forse qualcosina. Due però le chicche, una per gli appassionati di storia della musica e una per i cinefili: un uomo canta Jesus’ blood never failed me, e il protagonista, in uno dei suoi sogni “lynchani”, assume l’identità di un “fantomatico” Lee Chang Dong.
Machan, di Uberto Pasolini
Che succede se un gruppo di uomini dello Sri Lanka decide di tentare il tutto e per tutto per andare via dal proprio paese, nonostante nessuno abbia mai avuto il nulla osta per farlo? Si riuniscono tutti assieme e formano la prima Squadra Nazionale dello Sri Lanka di pallamano, per poter andare in Germania e partecipare ad un campionato… Tratto da una storia vera, il film di Uberto Pasolini, parlato interamente in cingalese, avrebbe forse potuto essere tagliuzzato per rendere meno lungo il risultato finale, anche perché si notano delle disparità tra la prima e la seconda parte. Ma è un film ironico e allo stesso tempo toccante, con alcuni momenti quasi ilari ed altri più profondi. E i ritratti di alcuni dei vari personaggi sono riusciti.
Burn After Reading – A prova di spia, di Joel & Ethan Coen
C’è chi parlerà di inutile divertissment, di film minore, di opera sconfitta dal precedente Non è un paese per vecchi. Qui invece si tifa per i Coen e si assiste a Burn After Reading col sorriso sulle labbra, convinti che i due registi sappiano ancora cosa vuol dire intrattenere in modo intelligente con una commedia che parla fondamentalmente di stupidità. La macchina da presa in apertura inquadra il nostro mondo: lo squadra, e poi si tuffa per osservare la storia intricata (ma si capisce e si segue decisamente bene) di un gruppo di persone che – parafrasando una frase presa dal film- “scopano tutti con tutti”.
Perché non c’è solo un dischetto contenente le memorie di un ex-agente della CIA a far scattare la trama del film, ma ci sono tradimenti e vari incontri sessuali. Ci sono le spie, certo, c’è la palestra e c’è l’ossessiona per la bellezza, ma c’è soprattutto una descrizione di una nazione intrappolata in un circolo vizioso dove non si può capire più nulla; proprio come quelli della CIA, che sfottono l’FBI ma poi non sono capaci di pedinare una persona.
E a quel punto la macchina da presa non può che allontanarsi quasi allibita dal nostro mondo… Il film ha un ritmo indiavolato, alcuni momenti da ricordare, un ottimo apparato tecnico (al solito) e un “gioco sessuale” formato da una poltrona e un dildo: risate assicurate. E gli attori sono tutti in formissima; credo che Brad Pitt sia addirittura sorprendente alle prese con un personaggio totalmente privo di cervello.
PA-RA-DA, di Marco Pontecorvo (in francese e rumeno)
L’esordio alle regia di un lungometraggio di Marco Pontecorvo narra la storia vera del giovane Milous Oukili, arrivato a Bucarest per dare una mano ad un’associazione umanitaria in favore dei “boskettari”, i “ragazzi di vita” vagabondi costretti a vivere tra droga, pedofilia e costanti pericoli. Dopo 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni torna al cinema il fantasma della dittatura di Ceausescu, nel film finita da tre anni, ma comunque presente nel dolore e nelle vite di quei bambini. Milous deciderà di donare tutto sè stesso alla causa, vivendo con i ragazzini, e cercando di sfruttare le sue capacità circensi: il risultato sarà la creazione di una vera compagnia che oggi si esibisce ovunque. PA-RA-DA (questo il nome della compagnia) è una bella sorpresa, duro quando serve e commovente senza essere lacrimevole. Le belle musiche di Andrea Guerra sottolineano una storia che è sempre in crescendo ed ha anche i suoi bei colpi di teatro. Davvero toccante l’interpretazione della bambina che rimane incinta, ma davvero lodevole tutto il cast.