Venezia 65: Il papà di Giovanna – L’autre – Vinyan
Venezia 65: Il papà di Giovanna, di Pupi Avati Il nuovo film di Pupi Avati sembra aver convinto critica e pubblico, anche se ci sono voci fuori dal coro che non sono per niente buone. Secondo me Il papà di Giovanna resta qualitativamente nella media degli ultimi film del regista. Quindi: buone idee, buona tecnica,
Venezia 65:
Il papà di Giovanna, di Pupi Avati
Il nuovo film di Pupi Avati sembra aver convinto critica e pubblico, anche se ci sono voci fuori dal coro che non sono per niente buone. Secondo me Il papà di Giovanna resta qualitativamente nella media degli ultimi film del regista.
Quindi: buone idee, buona tecnica, qualche scivolone e un po’ di superficialità. Il padre interpretato da Silvio Orlando, Michele, sembra tutto il contrario di quello interpretato da Abatantuono nel precedente La cena per farli conoscere: con la figlia Giovanna (Alba Rohrwacher) ha un rapporto strettissimo, ed è l’unico a starle seriamente vicino nel momento di maggior dolore, ovvero quando viene dichiarata insana di mente dopo aver ucciso un’amica.
Come sfondo c’è la Seconda Guerra Mondiale e del conseguente dopoguerra, e altri personaggi come l’ispettore di polizia Sergio (Ezio Greggio: troppo osannata la sua performance) e la moglie di Michele, Delia (Francesca Neri), che non si interesserà per niente alla situazione tragica della figlia.
Il rapporto segreto tra Sergio e Delia è buttato lì, e l’accusa di misoginia che qualcuno aveva già fatto ne Il cuore altrove può essere riconfermata in questo caso col trattamento che riceve il personaggio della Neri. Si è parlato di film commovente: ma il finale è più che altro facilotto.
L’autre, di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic
Il film francese in questione è almeno curioso: si tratta di una riflessione sulla gelosia che può diventare vera patologia, pura follia, schizofrenia inquietante. Una donna ha appena lasciato il ragazzo, ma quando viene a sapere che lui ha una nuova fiamma fa di tutto per recuperarsi l’amore perduto…
Tecnicamente il film non è male, ed ha una bellissima fotografia: mozzafiato, tra l’altro, alcune inquadrature notturne. L’autre sembra voler scavare nel suo personaggio femminile fino in fondo, e non è detto che non ci riesca: semmai sembra che il gioco su cui si costruisce la storia, con tanto di visioni, regga solo per la prima metà e si trascini faticosamente man mano che il film procede. Non a caso la pellicola ha diviso critica e pubblico, fra chi è uscito irritato e chi ha ben gradito.
Qui il paragone di Cinema.it
Fuori concorso:
Vinyan, di Fabrice du Welz
Du Welz è il regista del riuscitissimo Calvaire, inquietante riflessione sull’essere umano con tanto di rilettura della parabola cristologica in chiave quasi gotica. Il suo secondo lungometraggio ha delle radici attuali, ossia quelle dello tsunami che si è abbattutto in Thailandia nel 2004.
Una coppia di sposi ha perso il figlioletto in quella occasione; i due avranno l’opportunità di andare in Birmania per proseguire le indagini, dopo che le speranze erano ormai tutte finite e la moglie ha riconosciuto il figlio grazie ad un videotape.
Du Welz si conferma non regista di film di paura (l’horror arriva solo nell’ultima parte, e i balzi sulla sedia si contano su due dita) ma d’atmosfera: lavorando su ambientazioni, fotografia e sonoro riesce ancora a creare un mondo tutt’altro che consolatorio. Quello che convince meno è la costruzione della storia, che vorrebbe inquietare ed essere in crescendo ed invece rischia seriamente di interessare poco.
Vinyan: il trailer