Science+Fiction – Giorno 1: The Mutant Chronicles, Eden Log
Prima di parlare dei primi due film in concorso visti al Science+Fiction di Trieste, spendo due parole sul primo film della retrospettiva Voyage Fantastique (dedicata quest’anno alla produzione francese di genere degli ultimi anni), ossia La Cité des enfants perdus, conosciuto da noi con i titoli La Città dei bambini perduti o La Città perduta.
Prima di parlare dei primi due film in concorso visti al Science+Fiction di Trieste, spendo due parole sul primo film della retrospettiva Voyage Fantastique (dedicata quest’anno alla produzione francese di genere degli ultimi anni), ossia La Cité des enfants perdus, conosciuto da noi con i titoli La Città dei bambini perduti o La Città perduta. Si tratta del film che segna la rottura della collaborazione fra Jean-Pierre Jeunet, che poi si sarebbe diviso tra alieni e la Tatou, e Marc Caro, rimasto praticamente in silenzio fino a Dante 01.
Si tratta di una fiaba grottesca e gotica, snobbata a suo tempo a Cannes e passata quasi inosservata in Italia, piena di spunti geniali e narrata con un talento visivo enorme. La Città perduta, che racconta la storia di un uomo che, per ringiovanire, rapisce i bambini per rubare i loro sogni, è caratterizzato da una splendida fotografia che catapulta lo spettatore in una dimensione fantastica, senza scadere in facilonerie e zuccherini vari. Se contiamo poi che il film è pieno di espedienti curiosi ed intriganti, e che c’è addirittura un accenno coraggioso di “amore” tra l’adulto ma bambinone protagonista e una bambina più adulta di lui, questo diventa un titolo da recuperare subito, appena possibile. Magari in versione originale, dove Jean-Louis Trintignant dà la voce al cervello Irvin.
Ma passiamo quindi alla sezione Neon competitiva con il primo titolo, The Mutant Chronicles, atteso dai fan del gioco di ruolo da cui la pellicola è ovviamente tratta. Ma a sentire i commenti degli appassionati la trama si discosta e non poco da quella presentata nel gioco. Non posso dire nient’altro non avendoci mai giocato, quindi passo direttamente al film: che è comunque decisamente sotto il livello di guardia.
Nel cast ci sono Thomas Jane, Ron Perlman (curiosamente visto qualche ora prima al festival proprio ne La città perduta), Devon Aoki e un cammeo di John Malkovich: un cast che in un action movie apocalittico può funzionare. Lo script, tuttavia, non aiuta molto nessuno. Dopo il solito lungo prologo con voce over che introduce al pubblico la storia, il film parte senza troppi entusiasmi ma in modo dignitoso, con una fotografia interessante che a qualcuno ha ricordato Sky Captain and the World of Tomorrow.
Il lavoro di post-produzione, nonostante il budget non sia altissimo, sembra interessante e curato. Ma il film è lungo, e si peggiora man mano si prosegue: vedere ad esempio il bruttissimo effetto degli spruzzi di sangue in tutta la parte finale. In sostanza, nel teaser trailer ci hanno fatto vedere un gran bel montaggio delle cose migliori di questo The Mutant Chronicles, che molti hanno odiato senza possibilità di appello e che invece qualcuno ha tentato di difendere, almeno per quanto riguarda la dose di sangue (non esagerata, comunque), il budget sfruttato comunque a dovere (sì, è basso, però…) e la regia di Simon Hunter.
Siamo in terra di steampunk, con navicelle che funzionano a vapore e un’aria tra il vittoriano e la Prima Guerra Mondiale: non tutto è da buttare per i fanatici, quindi, ma le cose decenti del film affogano nei difetti e in una CG a tratti povera. E i dialoghi, che certo sono secondari – ma le nostre orecchie continuano a funzionare -, offrono alcune chicche trash da non sottovalutare. Può piacere, sicuramente: qui è parso anche noiosetto.
Passiamo quindi al secondo film in concorso, ossia Eden Log di Franck Vestiel, pronto a far arrabbiare chiunque. Il regista ha fatto gavetta come regista della seconda unità in titoli come Blueberry, Saint Ange, Them e Dante 01, e così ha acquisito una tecnica decisamente consolidata.
Infatti Eden Log visivamente è molto buono. La fotografia, quasi sempre in bianco e nero, è scura, densa, e sfrutta benissimo la scenografia claustrofobica. Potente l’apparato sonoro, fatto sostanzialmente di rumori e di una soundtrack minimale. Si esce dalla sala con la voglia di respirare aria pulita in modo abbondante, e non è poco. Si tratta comunque di un film faticoso, a suo modo sperimentale, e siamo – come ha ammesso il regista – dalle parti di un’esperienza sensoriale più che davanti ad un film canonico.
Si arriva anche stanchi ad un finale criptico che comunque ha una sua risposta. E le chiavi di lettura più accreditate sono due: una allegorica (l’albero, l’Eden, i piani come gironi infernali…) e una politica, decisamente più interessante e che dà un senso al tutto. Spettatori ovviamente divisi e scatenati: c’è chi non l’ha digerito, c’è chi ha gradito, c’è chi sta a metà.