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Tony Manero – di Pablo Larrain: recensione in anteprima

Tony Manero (Tony Manero, Cile / Brasile, 2008) di Pablo Larrain; con Alfredo Castro, Amparo Noguera, Elsa Poblete, Paola Lattus.Santiago del Chile, 1978. Raúl è un uomo di mezza età che sogna di ballare in grandi spettacoli e in tv. Mentre intorno a lui dilaga la violenta dittatura di Pinochet, lui sarà disposto a tutto

3 Gennaio 2009 19:00

Tony Manero - di Pablo LarrainTony Manero (Tony Manero, Cile / Brasile, 2008) di Pablo Larrain; con Alfredo Castro, Amparo Noguera, Elsa Poblete, Paola Lattus.

Santiago del Chile, 1978. Raúl è un uomo di mezza età che sogna di ballare in grandi spettacoli e in tv. Mentre intorno a lui dilaga la violenta dittatura di Pinochet, lui sarà disposto a tutto pur di incoronare il suo sogno dorato: quello di diventare il “nuovo” Tony Manero…

A discapito di quello che si potrebbe pensare, in Tony Manero c’è ben poco da ridere, e ancora meno da sorridere sotto i baffi. Al suo secondo film, il cileno Pablo Larrain (il film è co-prodotto col Brasile) riesce nella difficile impresa di dipingere con uno stile asciutto un periodo, un’idea di cultura e un personaggio significativo.

Partiamo dal periodo. Come si diceva, siamo sotto la dittatura di Pinochet. Dopo il colpo di stato ai danni di Allende, la Storia si fa complessa e inquietante: che ruolo hanno giocato gli USA, all’epoca di Nixon, nel golpe o comunque nel periodo della dittatura di Pinochet?

Larrain sembra avere un’idea politica precisa di quel periodo, e descrive il Cile di Pinochet come una mostruosa creatura (in)diretta degli Stati Uniti. Entra in gioco l’idea di cultura, che qui sembra essere quella del colonialismo culturale. Mentre Raùl sogna ad occhi aperti, seduto nel buio della sala dove proiettano La febbre del sabato sera, ogni giorno per giorni, l’uomo non sembra poter aprire gli occhi di fronte alla terribile realtà che vive quotidianamente.

Due scene sono esplicative: quella nella quale in programmazione non c’è più La febbre del sabato sera ma Grease (poco importa che sia John Travolta lo stesso attore protagonista: è la figura di Tony Manero e il suo essere capace, almeno fino ad un certo punto, di incarnare una figura popolare che diventa figura “da sogno” la notte ad interessare il protagonista), e quella dell’invasione della polizia in casa di Raùl. L’uomo, anche se i suoi cari saranno per forza vittime della loro violenza, fugge lo stesso pur di partecipare ad un imbarazzante show televisivo.

E a questo punto entra in gioco la capacità di Larrain d’incarnare nel suo protagonista il prodotto dei due precedenti punti. Raúl Peralta, che ha il viso ruvido, “alpaciniano” del bravissimo Alfredo Castro, anche co-sceneggiatore, è vittima incosciente del suo periodo e della situazione culturale che (non) lo vede protagonista: perché, come in ogni dittatura, l’uomo non può scegliere perché non ha gli strumenti (culturali, prima che ideologici) per poterlo fare.

E anche la morte perde di sostanza e diventa un mezzo per raggiungere il proprio scopo individualistico: così ci hanno insegnato, così noi agiamo. Ed è soprattutto per questo che il sorriso non può e non deve venire spontaneo di fronte a Raùl che ripete battuta per battuta La febbre del sabato sera o tenta di imbastire uno spettacolino con gli amici, convinto di avere chissà quale talento.

E tra l’altro si crea anche un altro interrogativo: il protagonista non è neanche capace di capire che il bellissimo film di John Badham non è certo un film che esalta le luci della ribalta (basta ricordarsi tutta la parte finale dopo la morte dell’amico del protagonista), e che l'”icona Tony Manero” è ad uso e consumo di un mondo politico fittizio che tenta di nascondere lo sporco, reso benissimo dalla fotografia di Sergio Armstrong, di una nazione allo sbando e senza più un’identità.

In questo senso, scene di sesso, di violenza e mancanza di colonna sonora extra-diegetica sono tutte, oserei dire, obbligatorie: si esce dalla sala giustamente turbati, forse amareggiati, incapaci di applaudire. Bravo Larrain: meno male che i giurati del Torino Film Festival hanno capito il suo non facile, grande film.

Voto Gabriele: 8

Dal 16 gennaio al cinema.

Torino Film Festival