150 milligrammi: recensione in anteprima
La storia vera di Irène Franchon, la dottoressa che, con la sua battaglia affinché venisse ritirato un farmaco nocivo dal mercato, ha contribuito in maniera determinante ad una rivoluzione nel sistema francese di regolamentazione dei farmaci
«Ho avuto paura». Alla fine della sua personale sequela, intervistata in televisione, dice così Irène Franchon (Sidse Babett Knudsen), la pneumologa che decide di affrontare pressoché in solitaria un colosso dell’industria farmaceutica. Tratto da una storia vera, ciò che insospettisce la dottoressa sono alcune strane morti, apparentemente collegate all’assunzione di un farmaco, il Mediator, in commercio da oltre trent’anni. Lei ne è convinta, ma per accusare la compagnia che lo produce serve molto di più.
Irène decide allora di affidarsi ad un gruppo di esperti che lavorano nel suo stesso ospedale, a Brest, in Bretagna. La Bercot si sofferma abbastanza sul carattere bretone dei suoi personaggi, tanto che a un certo punto diventa quasi un affare regionale, nel senso di chiamare in causa l’orgoglio di chi lì è nato e vive da sempre (senza contare il titolo originale, che tradotto sarebbe La ragazza di Brest). Malgrado però la buona disposizione dei colleghi, ed in particolare di Antoine (Benoît Magimel), bastano i primi ostacoli per dissuadere tutti dalla lotta. Il punto è che in gioco c’è la carriera e non tutti sono disposti ad intraprendere una battaglia del genere, specie in considerazione del fatto che la si pensa per forza di cose già perduta.150 milligrammi diventa a questo punto la storia di Irène, del suo coraggio, parabola edificante che però non tace su certe riserve comprensibili. Un sistema che si pensa irriformabile, totalmente asservito alle multinazionali che spadroneggiano, lasciando circolare farmaci che non vengono nemmeno testati. Per via tangenziale però il film della Bercot si sofferma anche su altro. Per dirne una, a che serve il Mediator? Si tratta di un farmaco che agevola la perdita del peso corporeo, non per niente il caso che seguiamo anche noi da spettatori riguarda Corinne, una donna in sovrappeso da cui riusciamo a trarre qualche coordinata interessante: la donna, messa al corrente della potenziale pericolosità del farmaco, si dice sì spaventata, ma, alla luce dei risultati che ritiene di aver ottenuto, chiede alla dottoressa se fosse possibile continuare ad assumerlo, magari in dosi ridotte. Quando Irène va a trovare Corinne a casa, quest’ultima è intenta a truccarsi, malgrado rimanga vestita “da casa”; la regista ci sottopone certi passaggi con cognizione di causa, affinché noi si comprenda quali siano le debolezze su cui le case farmaceutiche fanno leva, non di rado avulse dalla necessità di una malattia o una patologia (in questo caso il desiderio di apparire più attraenti o anche solo sentirsi tali).
Su questa falsa riga possono essere interpretate le sequenze relative ad un’operazione prima ed un’autopsia poi, crude, decisamente realistiche, roba che molti potrebbero addirittura coprirsi il volto. Eppure non si tratta di nulla di gratuito; ha un senso mostrarle, dare modo allo spettatore di confrontarsi col disfacimento senza filtri o mediazioni, sennò si finisce col non capire. Certo, qualcuno potrebbe avere da obiettare sul fatto che immagini così forti prestino il fianco a critiche per cui tramite esse è all’effetto che si aspira, il colpire dritti allo stomaco: il che è vero se preso in accezione non per forza negativa, dato che, come appena ravvisato, sono inserite in maniera sensata nel contesto.
Sulla falsa riga di un film esplicitamente citato dalla Bercot, come Erin Brockovich, quanto a ritmo e tipologia di ripresa 150 milligrammi si rifà in generale al filone dei thriller di denuncia all’americana, anelando a quel realismo e quell’immediatezza di film come The Insider, da cui attinge, consapevolmente o meno, il ritmo serrato o le inquadrature che ci portano letteralmente dentro la scena, il tutto misto ovviamente ad una sensibilità spiccatamente francese. A quest’ultimo elemento viene però quasi opposta l’indole istrionica di Iréne, che in non pochi casi sembra strafare; qui a prendere il sopravvento è forse la Bercot attrice, la quale integra un certo rumore alla prova della seppur brava Knudsen, che però a tratti sembra stonare. Componente non da poco, dato che si tratta della protagonista del film, della sua eroina.
Dunque non coinvolgente come certi suoi riferimenti lascerebbero supporre, 150 milligrammi ha comunque dalla sua una storia che vale la pena essere raccontata ed in cui, nel bene e nel male, l’intervento non troppo invasivo della Bercot ci consente di seguirne gli sviluppi. A posteriori lascia un po’ interdetti il fatto che un’avventura di questo tipo ci abbia rivoltato meno di quanto avrebbe potuto, e ce ne accorgiamo alla fine, quando l’epilogo ci attraversa come fosse l’ovvio approdo di questa vicenda anziché il sudato climax. Va da sé che il problema non stia nella prevedibilità della conclusione, non è quello: solo a cose fatte si riesce però ad avere percezione di quanto ci sia lasciati dietro strada facendo. Niente di oltremodo compromettente, comunque, sia chiaro.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
150 milligrammi (La fille de Brest, Francia, 2016) di Emmanuelle Bercot. Con Sidse Babett Knudsen, Benoît Magimel, Charlotte Laemmel, Isabelle de Hertogh, Lara Neumann, Philippe Uchan e Patrick Ligardes. Nelle nostre sale da mercoledì 8 febbraio 2017.