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Cineblog intervista Bruno Bozzetto, ospite d’onore al Festival del cinema d’animazione A-Tube

In occasione dell’apertura della prima edizione del Festival di Animazione d’Autore, A-tube, a Varese, abbiamo incontrato il maestro dell’animazione italiana Bruno Bozzetto e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui sul suo lavoro e sul mondo del cinema d’animazione. Fin da Tapum, il primo cortometraggio c’era un forte messaggio antimilitarista, tema che ritorna un po’ per

18 Maggio 2009 11:30

Bruno Bozzetto

In occasione dell’apertura della prima edizione del Festival di Animazione d’Autore, A-tube, a Varese, abbiamo incontrato il maestro dell’animazione italiana Bruno Bozzetto e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui sul suo lavoro e sul mondo del cinema d’animazione.

Fin da Tapum, il primo cortometraggio c’era un forte messaggio antimilitarista, tema che ritorna un po’ per tutta la sua carriera.
Ho realizzato Tapum che frequentavo ancora il liceo e studiando la Storia mi colpiva l’innumerevole numero di guerre combattute dagli uomini e, nel campo delle invenzioni, che quasi tutta tecnologia dipenda dallo studio di nuove armi. Mi ha colpito l’idea che l’uomo sembra che viva per combattere. Poi ho scoperto un libro bellissimo di Robert Ardrey che si intitola L’istinto di uccidere dove si dimostra come l’uomo, un piccolo essere nudo senza denti e senza artigli, ha sconfitto ed eliminato tutti gli animali più feroci e più grossi di noi. L’istinto della guerra è quindi il più forte che abbiamo, l’uomo è arrivato a essere quello che è grazie, o per colpa, di questo fatto. Mi ha colpito molto questa tesi provocatoria, ma non è del tutto assurda perché l’uomo ha questa capacità di uccidere e la sa usare meglio di tutti. Il risultato è che siamo sempre in guerra. A mio modo ho voluto riflettere, attraverso i disegni animati, su questo aspetto dell’umanità con l’ironia. Uno stimolo in più è giunto da un film di Walt Disney, La storia della musica, un film di 40 minuti con uno stile moderno, simile al mio, quindi ho associato questo modo di fare animazione e l’ho unita con questa idea. Cavallette, anni dopo, ha ripreso grosso modo lo stesso concetto, ma lì l’idea era che l’uomo così avrebbe provocato la sua stessa estinzione, ma gli insetti sarebbero sopravvissuti.

Il suo rapporto con il mondo dell’animazione, dalla Disney al Giappone. Spesso hanno confrontato il suo capolavoro Allegro non troppo con Fantasia
Disney mi ha costruito. Sono cresciuto leggendo i fumetti e ho imparato a conoscere l’America tramite Disney. Contemporaneamente mi mandava lontano, perché non era possibile fare cinema con il suo stile, quindi era un rapporto che mi attraeva ma mi allontanava pure. Il cinema europeo è in realtà quello che mi ha spingo a realizzare i miei primi progetti. Da bambino ho visto Fantasia, pagando ogni volta il biglietto, per ben undici volte quindi lo sapevo a memoria, mi è rimasto nel cuore e ho anche imparato ad amare la musica classica da Fantasia. Quindi quando dopo tanti anni ho avuto l’idea di fare un brano sul Bolero di Ravel, l’idea è piaciuta a tutti i miei collaboratori che mi hanno stimolato a realizzare una sorta di risposta di Fantasia alla mia maniera. Allegro non troppo è nato così. Questo è stato lo spunto, in realtà il film ha preso una piega molto differente.

Taglio del nastro di A-tube

Dall’animazione tradizionale ai video in flash per la rete. Quale è il sua rapporto con la tecnica?
Il rapporto con la tecnica è funzionale. Per un lungometraggio alla vecchia maniera serviva uno staff di almeno trenta o quaranta persone per un lungo periodo. Era una scelta. Le nuove tecnologie sono rapidissime e costano poco ma vanno bene per film di due minuti, non si potrebbe usarli per andare al cinema, anche se l’idea mi è frullata per la testa qualche volta. Non si possono paragonare. In compenso anche nei miei primi cortometraggi, pur lavorando con parecchia gente, facevo già prodotti molto semplici, come La vita in scatola, quindi il passo è relativamente breve. I due castelli potrebbe essere rifatto identico in flash. Prima bisogna scegliere cosa raccontare, poi si scegli la tecnica quando le idee sono chiare. Oggi facilita molto.

Si può sognare una rinascita del cinema d’animazione in Italia?
Qualcosa si muove grazie a Festival come A-tube, che promuovono il lavoro di autori giovani. Ci sono persone che arrivano al cinema come Enzo D’Alò, ma che fatica! Ci sono poche speranze però. D’Alò è sei o sette anni che sta lavorando al suo Pinocchio, tanto per dire delle difficoltà. Il problema è quando esce al cinema, magari si trova di fronte a film che sono costati novanta milioni di dollari, con altrettanti di pubblicità, non si può competere. Inoltre in Italia manca la mentalità. Mi chiedo perché un cinema debba proiettare un film d’animazione solo alle 14.30 e alle 16.30? Perché è un film per bambini, risponderanno, ma chi lo ha detto? E’ questa la mentalità da scalzare, la gente non riesce a capire che molti non sono film per bambini, sono film e basta! Probabilmente perché non li vedono nemmeno. Basti pensare il livello a cui è arrivato Miyazaki, che ha anche vinto un Oscar di recente. Oggi il cartone animato viene classificato per l’età del pubblico. E’ la fine della qualità italiana.

Lei ha lavorato molto con l’animazione per i documentari, quelli di Quark…
Il cinema d’animazione è l’opposto del documentario, ma alcuni contatti ci sono stati e sono molto interessanti. Si potrebbero fare moltissime cose, infatti. L’esempio si Quark è uno di quelli. Gli inserti di animazione avevano funzioni simili a quelle degli altri filmati, per un motivo molto semplice. Il testo lo scriveva Piero Angela e quindi non solo i documentari avevano un forte valore divulgativo, anche le mie animazioni avevano lo scopo di illustrare un tema nella maniera più semplice possibile, più pulita e chiara, magari in modo divertente per far capire quello che Piero Angela voleva comunicare. Questo era il mio scopo. Ecco perché dicevo che la tecnica è funzionale. Se tu parli di un treno che viaggia, io devo far vedere un treno e far capire come questo si muove. Potrei farlo con due righe o come un treno vero. L’importante è che il pubblico capisca, non devo distrarre dal messaggio. Ma se io disegno un treno barocco ricco di dettagli che fa perdere l’attenzione per capire come è fatto. Devo essere comunicativo. Forse questo è un motivo per cui il disegno animato viene usato poco in questo settore, gli “autori” preferiscono strafare piuttosto e non c’è gente che sa scrivere questi testi.