Giorno 10 a Venezia 2009: Mr. Nobody – A single man
Mr. Nobody – di Jaco van Dormael (Concorso) Chi scrive non vi dirà che Mr. Nobody è un brutto film: per leggere le motivazioni dei molti che l’hanno odiato basta che leggiate in altri mille siti e probabilmente decine di giornali. I difetti alla fine saranno quelli: pretenziosità, tutto già visto, troppo lungo, si avvolge
Mr. Nobody – di Jaco van Dormael (Concorso)
Chi scrive non vi dirà che Mr. Nobody è un brutto film: per leggere le motivazioni dei molti che l’hanno odiato basta che leggiate in altri mille siti e probabilmente decine di giornali. I difetti alla fine saranno quelli: pretenziosità, tutto già visto, troppo lungo, si avvolge su se stesso. Per carità, dialogando pacificamente probabilmente si arriverà a dimostrare tutti questi aspetti negativi, ma Mr. Nobody non va subito tacciato così.
Innanzitutto è un film che vuole recuperare il piacere di narrare con un certo stile, discutibile finché si vuole, una storia. Anzi due. Anzi tre. Comunque, è un film che vuole riaprire allo spettatore le porte del cinema che prende e ti trascina via con tutti i mezzi immaginifici possibili. Con un mix di melodramma, commedia e fantascienza, Jaco van Dormael, qui al suo terzo film dopo i bei Toto le Héros e L’ottavo giorno, ci parla di amore, di affetti, e dell’importanza del ricordo, del tempo, e delle conseguenze che una scelta può avere.
Quest’ultimo fatto rimanda a Capra e a Sliding Doors, ma a van Dormael interessa semplicemente lo spunto: la sua storia è vissuta tutta nella testa del vecchio protagonista, l’ultimo mortale ad essere rimasto in vita a 118 anni. Molte citazioni, in quello che a molti è parso un frullatone di temi e cose già trattate (come se il cinema non fosse un eterno rimando), che passa per il curiosamente simile (ma girato contemporaneamente!) Il curioso caso di Benjamin Button.
Man mano che il film va avanti lo spettatore si può anche stufare: ma sfido a non emozionarsi quando il protagonista, nella sua mente, capisce davvero qual è la strada che più gli si addice. Una scelta coraggiosa che scalda il cuore. Per il resto, la realizzazione è talmente ben curata, e con una delicatissima colonna sonora, che molti in modo veloce e irragionevole l’hanno scambiato per un film americano.
Per la cronaca, il bravo van Dormael è belga, lavora in Francia, è autore colto, ironico e intelligente, si autocita spesso (credo che ad un certo punto torni anche in un fulmineo cameo Pascal Duquenne) e coi suoi film precedenti era in concorso a Cannes, dove ha ottenuto premi e consensi dalla critica. Non replicati qui perché, questa volta sì, siamo troppo fuori dagli schemi. Bella prova di Jared Leto e del resto del cast.
A Single Man – di Tom Ford (Concorso)
Tom Ford fa esattamente quello che ci si aspettava da lui. E, forse, dirige uno dei film più sinceri e onesti del concorso, piaccia o meno. Cosa aspettarsi quindi da lui? Ford debutta alla regia dopo aver passato anni e anni in un certo ambiente, avrà visto fare solo un certo tipo di fotografie, avrà visto girare solo certi tipi di spot, avrà visto solo una certa patina e un certo stile.
E’ ovvio che poi lui applichi quello che è il suo vissuto anche nel suo esordio al lungometraggio. Ed ecco quindi un’opera fortemente estetizzante, con alcuni momenti usciti direttamente da una rivista. Ma che cos’altro dovremmo volere? Tra l’altro spesso e volentieri l’atmosfera e la fotografia ridanno il senso estetico della borghesia anni ’60 che fa da sfondo della vicenda.
Che non è quella di una coppia omosessuale, ma semplicemente 24 ore nella vita di un uomo. Un uomo solo. E in questa totale estetizzazione, dove per illuminare i momenti più “felici” del protagonista Ford non può far altro che illuminare letteralmente (!) la fotografia, che passa dal freddo grigiore alla più calorosa illuminazione “in diretta”, Ford è anche onesto nel narrare paure, fragilità e dolori del suo amato personaggio.
Rubo una frase di Sollazzo dal Sole 24 Ore che sembra cogliere una cosa dello stile di Tom Ford: “la macchina da presa la usa come specchio e non come lente”. Ma con un’opera prima è quasi normale raccontare anche se stessi, tant’è che nel romanzo di Isherwood il regista ha dichiarato di rivedere molto di se stesso, e anche in questo sta l’assoluta sincerità del film di Ford.