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Torino Film Festival 2009: Zion and his brother – Police, Adjective – Le Refuge

Zion and his brother – di Eran Merav (Festa Mobile – Figure nel paesaggio) Il quattordicenne Zion vive con la madre nella periferia di Haifa. La donna, che si è separata dal padre, tenta di rifarsi una vita con un nuovo compagno. L’unico modello per Zion è suo fratello maggiore Meir, che vive una vita

pubblicato 15 Novembre 2009 aggiornato 2 Agosto 2020 08:15


Zion and his brother – di Eran Merav (Festa Mobile – Figure nel paesaggio)
Il quattordicenne Zion vive con la madre nella periferia di Haifa. La donna, che si è separata dal padre, tenta di rifarsi una vita con un nuovo compagno. L’unico modello per Zion è suo fratello maggiore Meir, che vive una vita da ribelle. Un giorno la loro vita viene sconvolta da un terribile incidente…

Presentato al Sundance, l’opera prima dell’israeliano Merav è una convincente descrizione del rapporto tra fratelli, con una figura portante e ribelle che tenta di trascinare la figura più giovane, che perde la bussola verso la strada “corretta”. A minare le certezze del giovane Zion, poi, c’è un incidente causato proprio dall’aggressivo fratello e di cui è testimone.

Partendo da una base un po’ alla Delitto e castigo, e con un incidente in treno che richiama alla mente Paranoid Park, Zion and his brother ha il giusto ritmo e la giusta sensibilità verso i suoi personaggi. Un occhio di riguardo ovviamente è riservato giustamente a Zion: quando, verso la fine, non riesce davvero più a trovare un posto nel mondo, è un momento che colpisce.

Police, Adjective

Police, Adjective – Corneliu Porumboiu (Festa Mobile – Figure nel paesaggio)
Cristi è un poliziotto che deve pedinare un ragazzo sospettato di fumare e spacciare hashish. Ma l’uomo non ha intenzione di arrestarlo per questo: è convinto che la Romania sia pronta per una nuova legge sulla questione, e non se la sente di avere un peso sulla coscienza così grande.

Grandissimo successo a Cannes (premi a fiumi e critica in delirio), ecco approdare a Torino uno degli ultimi “capitoli” della rinata cinematografia rumena. Un oggetto che farà discutere soprattutto per come è girato, più che per quel che dice. Che, dopotutto, è anche molto stimolante.

Porumboiu affronta un tema delicato in un modo non pedante, e ci ricorda che la nostra mente e la nostra coscienza dovrebbe essere innanzitutto alimentata da proprie riflessioni e non da codici, libri o protocolli definiti da altri. In un mondo dove tutti si regolano con una perfetta grammatica (e l’Accademia Romena decide i cambiamenti nell’ortografia e nella sintassi da un momento all’altro) e usano il dizionario come se fosse il Verbo definitivo, il protagonista sembra l’unica pecora nera.

E così il suo diventa una lotta per riuscire in qualche modo a far valere le proprie idee, contro una massa di persone che fanno sfoggio di “cultura” e idee precotte, ma che in fondo non si interessano veramente delle questioni che affrontano. Sullo stile ci sarà da discutere, come si diceva prima: se Cristi è chiamato a pedinare un ragazzo, Porumboiu sembra pedinare costantemente Cristi. E così ci ritroviamo decine di sequenze con tempi morti. Realismo unito ad un pizzico di commedia, per due ore. Da pensarci su, vista anche la notevole attenzione ricevuta altrove.

le refuge the refuge posterLe Refuge – François Ozon (Festa Mobile – Figure nel paesaggio)
Mousse e Louis si drogano. Un giorno lui muore di overdose, lei viene portata in ospedale e scopre che è rimasta incinta. La famiglia di Louis, benestante e ricchissima, chiede alla ragazza di abortire. Lei si rifugia in una casa al sud, e Paul, il fratello di Louis, la raggiunge…

Dopo il discusso, originale e pericoloso Ricky, Ozon torna con un nuovo film delicato e a suo modo sofferto, in cui riesce a mettere dentro alcune delle sue ossessioni e dei suoi temi. A cominciare dalla primissima parte del film: Louis è interpretato da Louis-Ronan Choisy, l’attore protagonista de Il tempo che resta. Le Refuge si ricollega al film per l’omosessualità del protagonista, interpretato dall’esordiente e bravo Melvil Poupaud, ma anche il finale lo richiama.

E nel finale si richiama proprio Ricky, ma in modo speculare. Le Refuge torna ad affrontare il tema della maternità e anche della famiglia, qui vissuta nel senso più bello termine, ovvero degli affetti che ci creiamo. Il risultato è un film che prende, che emoziona, e ha le caratteristiche dell’Ozon che ci piace: quello che prende al cuore anche semplicemente con un controcampo inaspettato.

Menzione ovviamente per la bravissima Isabelle Carré, davvero azzeccata e in parte in ogni sfumatura e fotogramma del film. Un film che è retto benissimo anche da un semplice e toccante brano al pianoforte, composto per l’occasione dallo stesso protagonista.

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