Torino Film Festival 2009: À l’ouest de Pluton – Van Diemen’s Land – Kinatay
À l’ouest de Pluton – di Henry Bernadet e Myriam Verreault (Festa Mobile – Figure nel paesaggio) Il film narra una giornata nella vita di alcuni adolescenti di Quebec City: c’è chi ha problemi a scuola, chi coi genitori, chi con gli amici, chi ha problemi d’amore. E c’è chi sta organizzando una festa che
À l’ouest de Pluton – di Henry Bernadet e Myriam Verreault (Festa Mobile – Figure nel paesaggio)
Il film narra una giornata nella vita di alcuni adolescenti di Quebec City: c’è chi ha problemi a scuola, chi coi genitori, chi con gli amici, chi ha problemi d’amore. E c’è chi sta organizzando una festa che potrebbe sconvolgere le loro vite per sempre.
A Gus Van Sant fischieranno le orecchie per almeno tre anni. Nel film diretto a quattro mani da Bernadet e Verreault Elephant e Paranoid Park sono dietro l’angolo perennemente: non manca neanche un ragazzino skater, con conseguenti riprese della sua attività.
Ma la prima ora del film, nonostante le somiglianze con il cinema di Van Sant (che è comunque il modello con cui per forza si devono confrontare tutti gli indie movie adolescenziali), si lascia seguire senza problemi. Con la seconda parte, ovvero dall’inizio della festa “balorda”, il film si affloscia un po’ e non arriva a conclusioni e momenti forti sperati. Non un brutto film, comunque: ma ci si poteva lavorare di più.
Van Diemen’s Land – di Jonathan auf der Heide (Concorso)
1822, colonia penale di Macquarie Harbour, Tasmania: un gruppo di otto compagni riesce ad evadere. Gli uomini ora devono lottare per la loro sopravvivenza nella giungla: le ostilità e l’istinto di prevaricazione non tarderanno ad arrivare…
L’attore Jonathan auf der Heide esordisce alla regia con un thriller d’atmosfera in cui la ragione dell’uomo si va pian piano annullando per lasciar spazio a tutta la forza distruttrice dell’istinto, messo a dura prova dalle condizioni critiche della sopravvivenza. Nulla di nuovo sotto al sole a livello di trama, si potrebbe dire: ma der Heide si dimostra consapevole dei cliché del genere e sa usarli a suo favore, creando un climax ascendente che da un certo punto del film si fa davvero interessante.
Se per la prima mezz’ora infatti non si capisce bene come Van Diemen’s Land possa decollare, con l’inizio dei primi problemi fra gli otto uomini l’angoscia inizia a farsi strada nello spettatore, e difficilmente lo lascerà libero fino alla fine. Non contando che il regista si permette di usare qualche colpo basso e truculento che nel contesto non stonano affatto… Natura, violenza e suspense in un film che potrebbe candidarsi per qualche premio finale.
Kinatay – di Brillante Mendoza (Festa Mobile – Figure nel paesaggio)
Peping è uno studente dell’Accademia di Polizia che si è appena sposato con una ragazza, da cui ha già avuto un bambino. Un collega corrotto gli propone di partecipare ad una “missione” in cambio di soldi, e il ragazzo, in difficoltà economiche, accetta. Peccato che non sappia che la missione consista nel rapire una prostituta che ha dei debiti ed ucciderla brutalmente…
Mendoza ha fatto scalpore a Cannes per ben due volte di seguito, prima con Serbis e poi con questo Kinatay (ovvero “mattatoio”), vincitore del premio per la miglior regia a Cannes. Kinatay è stato accolto a Torino come è stato accolto sulla Croisette: ovvero c’è chi urla al capolavoro (nota bene: Mendoza è uno dei “nuovi registi” che stanno andando di moda, al di là di qualità oggettive o meno), chi al disastro totale.
Il premio per la regia fu contestato parecchio a Cannes, vista la semplicità di girare di Mendoza e, fatto ancora più importante, che Kinatay si svolge per una buona metà di notte e usa luce naturale, ottenendo un effetto scurissimo che puà creare fastidio e disagio. Come può creare fastidio e disagio l’intero film: ma cosa ci si potrebbe aspettare da un film che come trama prevede il rapimento, lo stupro e l’uccisione di una prostituta, verrebbe da chiedersi…
Tuttavia, pur tentando di capire tutte le qualità che i difensori trovano in Kinatay (nota bene numero due: Lola, il film che Mendoza ha presentato in concorso all’ultima Mostra di Venezia come film sorpresa, ci è piaciuto e non poco), non riusciamo a cavarci fuori molte cose buone. Non gli si nega una certa efficacia nell’ultima mezz’ora, visto anche il tema.
Ma il resto del film non colpisce per il messaggio morale ed inquietante che vorrebbe recapitare al pubblico, anche perché Mendoza per farlo ben capire (in sostanza: l’integrità, una volta persa, non si può più riacquistare), lo scrive sulla maglietta del povero protagonista poliziotto. L’istituzione è malata, certo, e la barbaria del film è cruda. Ma sembra solo un pretesto per girare un film che ha sicuramente qualcosa d’interessante, e lo abbiamo detto, ma che al di là di qualche momento e dell’atmosfera malata non riesce a dare quel ritratto spietato delle Filippine e dell’Uomo che forse Mendoza aveva in mente.