Cineblog Consiglia: Avatar – di James Cameron: la Recensione
Stasera domenica 9 settembre 2012 su Canale5 ore 20.40 verrà trasmesso Avatar di James Cameron. Per l’occasione vi riproponiamo la recensione del 2010 che aveva fatto tanto discutere per il voto 10. Del resto, dopo questa c’è il commento negativo di infamous che aveva scatenato l’ira dei fans del film cult di quell’anno.
Il Re del mondo ha conquistato l’universo. 12 anni dopo Titanic James Cameron ha alzato la posta in gioco, realizzando lo spettacolo cinematografico più incredibile che si potesse anche solo lontanamente immaginare. Con Avatar il regista di Terminator ha partorito un mondo immaginifico senza precedenti, capace di ammaliare e sbalordire, conquistando lo spettatore in sala, semplicemente basito dallo spettacolo che vive intorno a lui.
L’utilizzo del 3D, infatti, è finalmente sorprendente, avvolgendoti e facendoti tuo, tanto da farti entrare nel mondo di Pandora, talmente incredibile nella sua straordinaria forza visiva da lasciare senza parole. Avatar è la più grande rivoluzione tecnologica applicata al cinema da 100 anni a questa parte, dal Viaggio sulla Luna di meliesiana memoria. Un’esperienza extrasensoriale, un viaggio futuristico che è al tempo stesso un kolossale inno ecologista e pacifista. Un capolavoro con la C maiuscola, che annienta il genere fantascientifico visto fino ad oggi, ponendo le basi per il futuro della 7° arte. Un futuro che James Cameron ha partorito dalla sua mente, realizzandolo una volta per tutte, rasentando la perfezione.
Ci sono film che segnano i tempi. Avatar è decisamente uno di questi. Inventandosi di sana pianta tecnologie e strumentazioni ad hoc, Cameron è riuscito a rendere reale un mondo inesistente, rendendolo assolutamente credibile. Pandora è qualcosa che va oltre ogni immaginazione, un orgasmo di colori, di luci, di sensazioni, di piante abnormi, di animali impensabili, di creature blu alte 4 metri, veri e propri indigeni, con una propria lingua, delle proprie tradizioni e una divinità, da venerare e proteggere.
Cameron con Avatar ha dato vita ad un vero e proprio universo, facendo all’ennesima potenza quello che George Lucas era riuscito a fare oltre 30 anni fa con Star Wars. Miscelando live action a performance capture, CG e 3D, Pandora ha preso forma su celluloide, diventando vera, tangibile sul grande schermo. Cameron ci porta per mano in una giungla pluviale abitata da alberi alti 300 metri, da mostri giurassici e futuristici dai nomi più improponibili: dalla ‘pantera’ Thanator ai ‘doberman’ Vipewold, passando per i ‘cavalli’ Direhorse, fino ai ‘cervi’ Hexapede, ai ‘rinoceronti’ Hammerhead, agli ‘uccelli’ Banshee e al gigantesco Leonopteryx, re dei predatori del cielo.
Creature paurose e al tempo stesso splendide, tutte mostruosamente credibili, grazie ad un utilizzo degli effetti speciali che mai aveva raggiunto livelli di perfezione simile. Il Signore degli Anelli, in confronto, utilizzava la Stop Motion. Su questo mondo, parallelo al nostro, Cameron struttura una storia semplice, estremamente scontata, ma di una forza e di un impatto emotivo travolgente.
Jake Sully è un ex Marine, costretto a vivere su una sedia a rotelle, richiamato a combattere, nonostante non riesca a fare un passo, per viaggiare nello spazio sino all’avamposto umano su Pandora, mondo alieno che i terrestri stanno cercando di conquistare, vista la presenza massiccia di un rarissimo minerale, che è la chiave per risolvere la crisi energetica che si sta abbattendo sulla terra. Un mondo, però, dove l’aria è tossica, tanto da costringere le corporazioni a creare il “Programma Avatar“, in cui i “piloti” umani collegano le loro coscienze ad un avatar, ovvero un corpo organico controllato a distanza. Corpi che non sono altro che ibridi geneticamente sviluppati dal DNA umano, unito al DNA dei nativi del pianeta, i Na’vi.
Letteralmente rinato nel suo corpo di Avatar, Jake può così infiltrarsi tra i Na’vi, diventati nel tempo l’ostacolo maggiore per l’estrazione del prezioso militare, in modo da poter informare la base operativa sui segreti della popolazione. Peccato che la sua strada incroci quella di Neytiri, bellissima donna Na’vi che salva la vita a Jake, introducendolo nel suo clan, insegnandogli a diventare uno di loro attraverso numerose prove e avventure.
Giorno dopo giorno, nel corpo del suo enorme Avatar, Jake impara a rispettare il modo di vivere dei Na’vi, tanto da riuscire ad entrare nella tribù come loro ‘fratello’. Peccato che il suo ruolo su Pandora sia decisamente diverso, tanto da far scatenare l’offensiva delle corporazioni, pronte alla guerra pur di mettere mano al prezioso minerale. Jake dovrà così prendere posizione, iniziando un’epica battaglia che deciderà il destino di un intero mondo.
Una trama semplice, lineare, già vista e facilmente intuibile nel corso della sua storia, capace però di volare altissimo grazie al “contorno” creato da James Cameron, che mai come in questa occasione merita di diritto un Premio Oscar. Senza mai dimenticare la traccia romantica, il regista realizza un manifesto ecologista senza precedenti, portandoci a stretto contatto con la natura incontaminata. Una natura aliena fondata addirittura su una rete neurale, che interconnette la vita di tutta la flora e la fauna direttamente con gli abitanti del pianeta. Una rete che ha al suo centro un antico, enorme e nodoso salice, che rappresenta l’epicentro dell’universo per i Na’vi, un’estensione della loro linfa vitale, un luogo di conoscenza e rigenerazione. Un albero delle anime magnifico, al quale si affianca l’albero delle voci, con i poetici Woodsprite, creature semi fluttuanti come meduse danzanti che rappresentano l’anima della foresta pluviale, viva e pulsante come il cuore che batte in ognuno di noi.
Utilizzando la guerra per combattere la guerra, Cameron porta in sala un film che è una ferma condanna all’uso spropositato della forza militare, prendendo posizione nei confronti di chi è chiamato a difendere la propria patria, le proprie radici, contro l’usurpatore straniero. In tempi xenofobi e razzisti, il mondo ‘alieno’ partorito dal regista è l’emblema del momento che stiamo vivendo, tra globalizzazione e caccia allo straniero. Un mondo in cui il protagonista è Sam Worthington, che qui possiamo definire una splendida conferma. Il suo Jake è inizialmente fastidioso, troppo ‘marine idiota’, troppo ‘scemo’, troppo clichè hollywoodiano, per poi rinascere letteralmente come Avatar, con nuovi occhi e nuove sensazioni. Al suo fianco Zoe Saldana, che mai appare in ‘carne ed ossa’, ma capace di un’interpretazione in ‘performance capture’ che finalmente fa volare alto questa tecnologia, fino ad oggi mai del tutto sfruttata nelle sue potenzialità, e l’indimenticata Sigourney Weaver, qui nei panni di una ricercatrice pronta a tutto per la scienza e per Pandora. A questi si aggiunge il cosidetto ‘villain’, Stephen Lang, splendido sergente bombarolo che vive per distruggere e conquistare. Personaggi dall’introspezione spesso fluttuante, difficilmente realmente affascinanti, ma consoni alla storia e al mondo che li circonda, proprio perchè consapevoli, paradossalmente, che è la natura di Pandora ad essere la reale protagonista, e in questo caso a dir poco magnifica nella sua rappresentazione.
Tra effetti speciali strabilianti, un 3D mai visto prima ed un pianeta da mille e una notte, Avatar di James Cameron è così riuscito a portare la normale fruizione cinematografica ad un livello superiore, facendo vivere il film, tanto da andare oltre la semplice e fino ad oggi conosciuta visione. Epico, romantico, fantascientifico, commovente, drammatico, fantastico, avventuroso, tecnologico, Avatar è questo e molto altro ancora, con la natura che batte la prepotenza umana, con la fantasia che diventa realtà, da toccare quasi con mano grazie alla straordinaria terza dimensione, mai così ‘profonda’, colorata e ricca di sfaccettature come in questa occasione.
Avatar è già storia, perchè semplicemente il film tecnologicamente più avanzato dell’ultimo secolo. Un classico, diretto magistralmente e scritto con furbizia ed un’innata capacità che vira all’epicità, una pietra miliare per il cinema hollywoodiano, con tutti i suoi pregi e difetti, qui ovviamente presenti ma resi quasi invisibili grazie a 160 minuti di puro orgasmo visivo. Entrerete speranzosi e dubbiosi, uscirete esaltati, commossi, affascinati e soprattutto vogliosi, di correre alla cassa per comprare un altro biglietto, e riprendere il viaggio per Pandora. Grazie James.
Uscita in sala: 15 gennaio
Voto Federico: 10
Voto Gabriele: 7
Voto Carlo: 8
Voto Simona: 9
Voto Carla: 7
Avatar (Usa, 2009) di James Cameroncon Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi.
Avatar è una cagata pazzesca: la recensione negativa
Di Avatar si è già detto tutto, anche che manda in depressione perchè il nostro mondo fa schifo a confronto con Pandora e che può uccidere per quanto è bello. Il fatto che tutti ne abbiano già parlato e che nella maggior parte dei casi ne abbiano parlato adorando Cameron come un vitello d’oro mi permette di scrivere più liberamente la mia stroncatura, non parlando della trama e abbandonando qualsiasi pretesa di imparzialità, la mia ormai è diventata una crociata contro i nasoni blu, se volete leggere dei pompini a Cameron c’è la recensione vera e positiva.
Ci sono diverse questioni da affrontare in un filmone come Avatar, fortunatamente anche i più entusiasti hanno riconosciuto che a livello narrativo (magari non poprio ammettendolo, ma si capisce leggendo fra le righe) il film è di una noia e di una banalità sconcertante, non c’è un colpo di scena, un’idea brillante, un qualche espediente che innalzi un minimo la narrazione dal piattume procedurale del blockbuster più becero e accomodante. Non che mi aspettassi letteratura d’avanguardia ben inteso, ma un po’ di freschezza e inventiva non mi sarebbero dispiaciute, pensando a come procede la storia in Avatar mi vien quasi voglia di dar ragione ad Adorno.
Ma i più smaliziati mi diranno che in Avatar è lo spettacolo che conta, si scomoda Méliès e il cinema delle orgini (non a torto) e si sostiene che basta lasciarsi andare al colore e al movimento per farsi traspostare dalla fantasia sulle rocce volanti di Pandora ed io ero andato a vedere il film esattamente con questo scopo. Ma purtroppo mi sono trovato davanti ad un mondo di plastica colorata e sbrilluccicante dove nonostante il discreto livello tecnico nella CGI (io non ci ho visto il superamento di nessuna precedente confine) e tutti gli sforzi per renderlo reale e tangibile non è credibile perché costantemente in contraddizione.
Ipermediato nel manifestarsi a noi, ci si presenta come un qualcosa di fotorealistico e di credibile, ma nella saturazione (di colore e di materia) vediamo l’inganno, nell’eccessiva ridondanza (di forme e di simbiosi) ritroviamo il sottotesto e nell’estremo ordine e pulizia (ogni angolo della foresta è perfetto, limpido, lucido nel suo caos di facciata) se non un germe di pericoloso “fascismo verde” (ok, qui ho esagerato) almeno il fatto che tutto il mondo creato diventa non credibile, falso come felini a sei zampe lucidi come una Jaguar uscita dall’autolavaggio, una foresta vera è sudicia, terrosa e umidiccia.
Anche tutto il design, dalle creature, agli alberi, alla conformazione del territorio, mi è sembrato di una banalità impensabile per un budget così alto. Tutto ciò che è presente nel film mi sapeva di già visto, di già giocato; un saccheggio a mani basse di tutto ciò che la scifi e il fantasy hanno proposto negli ultimi decenni. Più che dei designer sembra che abbiano assunto dei crwaler, certo si potrà dire che sono omaggi e che sono anche mirati, attestando la discendenza del film coi suoi padri spirituali, ma per me è stato già abbastanza fastidioso vedere Sigourney Weaver che poiché ha fatto Alien e Gorilla nella nebbia allora legittima ai nostri occhi il protagonista e il suo agire. L’ho trovata una strategia veramente meschina e subdola. Se invece sono in malafede io allora dico che semplicemente la Weaver l’ho trovata fuori parte, troppo energica e cazzuta per fare la scienziata, troppo hippie per essere credibile in quel contesto di militari e capitalisti malvagi.
Questione 3D, io sono un’entusiasta della tecnica stereoscopica e non si può certo dire che Cameron abbia sbagliato qualcosa, ma avrei preferito vedere un Cameron pioniere di un nuovo possibile linguaggio filmico, di emancipare il 3D da semplice sfondo maggiorato ad un qualcosa di più che influisce anche a livello semantico su quello che sto guardando e invece mi ritrovo a chiedermi, se avessi visto il film in 2D mi sarei perso qualcosa? Il 2D avrebbe diminuito la mia capacità di interpretare il film o mi sarei soltanto annoiato un po’ di più?
Sì perchè a vedere tutti quei cosi volare (animali o macchine che siano) e correre, saltare e rimbalzare più o meno in modo gratuito mi sono annoiato. Non provavo l’ebbrezza dello sguardo a perdita d’occhio, non mi deliziavo per quanto magnifico fosse il rappresentato e non riuscivo ad essere coinvolto per carenze drammaturgiche (sia narrative che visive e d’azione) e quindi la noia mi ha pervaso per tutto il film, tranne forse quando finalmente muoiono a decine quei nasoni blu che sono arrivato ad odiare con tutto me stesso.
L’unico punto che secondo me merita un elogio è nell’utilizzo, questo si abbastanza innovativo della motion capture (in tutte le sue varianti e migliorie) che non si limita al movimento dei corpi ma tenta di dare espressioni facciali umane credibili su simulacri in CGI. Ancora siamo lontani da una rappresentazione convincente, vediamo muovere bene e in modo realistico alcune parti del volto, ma il resto rimane immobile nella sua finzione e l’effetto che ne risulta non è proprio elegantissimo, ricorda un po’ le tecniche di syncro-vox ma applicate su tutta la faccia invece che solo per le labbra. In ogni caso se volete saperne qualcosa di più (sul motion capture di Avatar) vi consiglio di dare un’occhiata a questa featurette.
Si è anche definito Avatar come kolossal ecologista, non che l’ecologismo e il buonismo non siano sfacciati e pesanti, ma il film secondo me ci parla d’altro, senza poter star qui ad analizzare diverse sequenze (che non ne ho lo spazio né la voglia), direi che nel film viene rappresentato il conflitto tra un sistema leggero di mediazione e uno pesante, tra chi riesce a comunicare in modo sinaptico e immediato e chi ha bisogno di pesanti e ingombranti strutture, tra chi riesce a vedere con i propri occhi (o con le proprie trecce di capelli) all’interno dell’essere e chi invece ha bisogno di monitor, scanner e draghe leviatane. La guerra qui è tra vecchia e nuova tecnologia, non fra hippie indigeni e invasori militaristi, quello è semplicemente un pretesto. Cameron però come i suoi umani ha perso contro una tecnologia nuova, perché ha scelto la pesantezza e l’ipermediazione quando invece lui stesso parteggiava per la leggerezza e il colpo d’occhio.
Ora avrei altri piccoli appunti da fare al film ma sono troppo da nerd e riguardano quasi tutti la fisica all’interno del mondo di avatar, credo non interessino a nessuno.