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Il Figlio più Piccolo: Recensione in Anteprima

Il Figlio più Piccolo (Ita, 2010) di Pupi Avati; con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Sydne Rome, Nicola Nocella, Manuela Morabito, Fabio Ferrari, Marcello Maietta, Massimo Bonetti, Alberto Gimignani, Maurizio Battista, Giulio Pizzirani, Pino Quartullo, Alessandra Acciai.E’ un ritratto cinico ed amaro quello che fa Pupi Avati dell’Italia di oggi con Il Figlio

pubblicato 11 Febbraio 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 04:44

Il Figlio più Piccolo (Ita, 2010) di Pupi Avati; con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Sydne Rome, Nicola Nocella, Manuela Morabito, Fabio Ferrari, Marcello Maietta, Massimo Bonetti, Alberto Gimignani, Maurizio Battista, Giulio Pizzirani, Pino Quartullo, Alessandra Acciai.

E’ un ritratto cinico ed amaro quello che fa Pupi Avati dell’Italia di oggi con Il Figlio più Piccolo. L’Italia dei furbetti del quartierino, delle scatole cinesi finanziarie, l’Italia di un padre pronto a tutto pur di continuare a galleggiare in un mare di illegalità, tra appoggi politici, mazzette e ‘favori personali’, in un continuo e perenne baratto di aiutini, capaci di farti tirare a campare, fino a quando ovviamente la corda si spezza.

Portando in sala i giorni nostri, partendo dalla Bologna del 1992, Avati disegna così un paese terribile, allo sfascio, affidandosi ad una serie di personaggi tanto distanti l’uno dall’altro, nell’essere o troppo buoni o troppo “merde”, da costruirci sopra l’intera storia, che finisce però per non colpire nel segno. Troppe le imprecisioni registiche, troppo poco “realmente interessante” (o anche solo emozionante) la trama, che non è né commedia né dramma, e troppi i finali, ovviamente fastidiosamente “buonisti” come solo il cinema italiano (purtroppo) riesce a fare. In sostanza un film che non decolla, anche se trascinato da un ottimo Christan De Sica, finalmente tornato a fare il suo mestiere: l’attore.

Tanti piccoli fastidi ‘tecnici’ che da un Maestro come Pupi Avati no, non si possono accettare. Partendo dall’odioso doppiaggio a cui troppo spesso va incontro la pellicola (il giovane Marcello Maietta è praticamente perennemente doppiato da se stesso), con la presa diretta che diventa quasi un miraggio, ai clamorosi ed inguardabili green screen automobilistici anni 80 (avete presente Alberto Sordi ne Il Tassinaro, con lo sfondo sul lunotto posteriore che ‘scorre’ per far credere che l’automobile stia realmente camminando? Dopo 30 anni, siamo ancora a quei livelli) fino all’orribile inizio tagliato e letteralmente ‘buttato’ sullo schermo, anticipando i titoli di testa, e ad alcuni primi piani sfocati, Il Figlio più Piccolo non è di certo un capolavoro dal punto di vista prettamente tecnico e registico (eufemismo).

Avati si affida così ad una storia ‘cattiva’, forte, cinica, paradossalmente attuale, per non dire ‘tratta da fatti realmente accaduti’, visti i tanti casi di cronaca finanziaria finiti sulle prime pagine dei quotidiani nazionali negli ultimi anni. E’ un giorno d’estate del 1992, a Bologna. Luciano Baietti e Fiamma, già genitori di due bambini di pochi anni, si sono appena sposati. Peccato che ci sia solo il tempo per un rapido e triste brindisi nei bicchieri di carta, visto che lo sposo parte in compagnia di uno strano personaggio. Ad accompagnarlo un mazzo di documenti con i quali la sposa gli intesta tutti i suoi beni immobili. Passati 18 anni, i due bambini sono cresciuti: il maggiore, Paolo Baietti, lavora in un locale del centro e odia quel padre scomparso nel nulla; il figlio più piccolo, Baldo Baietti, buono e generoso, studia cinema e vive modestamente con la mamma e con Sheyla, accompagnando le due donne nei loro patetici tentativi di carriera musicale e assistendo Fiamma nelle sue frequenti crisi esistenziali. Nel frattempo, lontano da quella famiglia in cui non è mai più tornato, Luciano fa la bella vita nella sua lussuosissima villa nella campagna laziale: con i soldi della ex moglie e i consigli di Sergio Bollino, vera eminenza grigia della Baietti Enterprise, è presidente e uomo immagine di una holding che vive di loschi traffici e spudorate raccomandazioni e connivenze. Ma i tempi si fanno difficili e gli appoggi iniziano a vacillare pericolosamente. Varie intercettazioni telefoniche e la mannaia del fisco pendono sulla testa di Luciano, sull’orlo dell’arresto. La grande idea è trovare un prestanome sufficentemente ingenuo e fiducioso su cui scaricare la responsabilità delle situazioni più compromesse. Qualcuno che non sappia e non possa dire di no, qualcuno facile da raggirare, magari facendo appello a improbabili ragioni del cuore. Qualcuno come il figlio più piccolo, Baldo

Da sempre bravo a dirigere i propri attori (c’è perfino riuscito con la Ricciarelli) Avati, che chiude la sua personale trilogia dedicata ai padri dopo La cena per farli conoscere e Il Papà di Giovanna, si conferma anche in questo caso, portando al cinema un Christian De Sica finalmente lontano dai cinepanettoni. Niente smorfie ed urla isteriche per il figlio dell’indimenticato Vittorio, qui nei panni di un uomo distrutto dalla propria vita, fatta di illegalità, compromessi e fortune. Un padre eticamente vergognoso, pronto a sfruttare l’amore altrui, della neo moglie prima e del figlio mai realmente cresciuto dopo, pur di salvarsi ed evitare la galera. Pacato e serio (non direi ‘drammatico’), anche se come suo solito guascone e un po’ maschera commediante, De Sica supera a pieni voti l’esame forse più importante della propria carriera, arrivata a questo punto ad un bivio: continuare con i redditizi cinepanettoni o mollarli definitivamente, iniziando finalmente a fare quello che è perfettamente nelle sue corde, ovvero l’attore a tutto campo.

Al suo fianco una commovente Laura Morante, nei panni di una madre troppo ingenua e ‘stupidina’ per essere vera e sicuramente più in palla rispetto all’inguardabile e fortunatamente dimenticato Il Nascondiglio, un sorprendente semi esordiente come Nicola Nocella, bravissimo nell’interpretare Baldo, il figlio più piccolo, non ‘scemo’ o ‘ritardato’ ma semplicemente ingenuo e particolarmente emotivo, e soprattutto un eccellente Luca Zingaretti (sempre più sprecato per la televisione nostrana, spalanchiamogli le porte del cinema, please) , chiamato nel ruolo del manipolatore e senza scrupoli ex frate Sergio Bollino, vero cervello della Baietti Enterprise e braccio destro di De Sica.

Alla coralità del cast, a cui si aggiunge un convincente Maurizio Battista (portavoce nel film di un dialetto romano a dir poco abusato, fastidioso e macchiettistico), si affianca uno script pungente ma non troppo, tanto da lasciare l’amaro in bocca, visto l’iniziale ‘coraggio’ dimostrato dal regista nel voler portare al cinema un’Italia talmente schifosa (e ahinoi! reale) da risultare indigesta.

Uscita in Sala: 19 febbraio

Voto Federico: 5
Voto Carla: 5