Simon Konianski – La recensione in anteprima
Simon Konianski (Simon Konianski) Regia di Micha Wald con Jonathan Zaccai, Popeck, Abraham Leber, Irène Herz, Nassim Ben Abdelmoumen, Marta Domingo, Ivan Fox.Tre generazioni maschili della famiglia Konianski: Simon ha 35 anni ha studiato all’università ma è un eterno ragazzo, incapace di trovare un lavoro e di mantere il rapporto con la donna della sua
Simon Konianski (Simon Konianski) Regia di Micha Wald con Jonathan Zaccai, Popeck, Abraham Leber, Irène Herz, Nassim Ben Abdelmoumen, Marta Domingo, Ivan Fox.
Tre generazioni maschili della famiglia Konianski: Simon ha 35 anni ha studiato all’università ma è un eterno ragazzo, incapace di trovare un lavoro e di mantere il rapporto con la donna della sua vita, c’è Ernest, suo anziano padre, ebreo credente e costretto ad ospitare in casa suo figlio e poi c’è il piccolo Hadrien, figlio di Simon, un bambino che ascolta i racconti del nonno sui campi di concentramento nazisti come fossero le fiabe dei fratelli Grimm. Quando improvvisamente Ernest muore, Simon dovrà partire per compiere le ultime volontà del padre, scoprendo così un volto differente di un genitore che credeva di conoscere.
Capita spesso che il cinema di Hollywood vampirizzi, anche in un arco temporale ridotto, piccole produzioni proveniente da cinematografie minori prelevando a suon di dollari l’idea di un film per poi dare vita a un remake fotocopia dai colori più sgargianti ma dai toni spesso edulcorati e adattati al pubblico americano. Questa pratica non è certo una novità dello show business americano e non significa necessariamente che sia sintomo evidente di una crisi creativa del cinema, semmai è frutto di una logica industriale a cui in Europa non siamo ancora abituati. Quando però accade il contrario, ovvero che un piccolo film europeo procuri una forte sensazione di deja-vu, allora il discorso è completamente differente. Questo è il caso di Simon Koninaski, film di produzione belga ma dal forte connotato ebraico (ovvero che potrebbe essere ambientato in una qualsiasi comunità ebrea). La tragicommedia che vede il bamboccione Simon ospite forzato della casa del padre e le conseguenti faide che si creano tra i due si trasforma in uno sgangherato road movie quando alla morte del padre si scopre che le sue ultime volontà sono quelle di essere seppellito vicino alla sua prima moglie in uno sperduto paesello dell’Ucraina.
Il viaggio a bordo di un pic-up non sarà certo privo di problemi, a partire dalla compagnia. Oltre il piccolo Hadrien e il cadavere del nonno, c’è uno zio ossessionato dalla Stasi e sua moglie. Gli ingredienti portano alla mente due recenti film indipendenti americani che hanno avuto grande successo in tutto il mondo, stiamo parlando di Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris e Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber. Nonostante le buone intenzioni, il film di Micha Wald appare evidentemente un’opera che gravita nell’ombra dei due titoli citati, con cui condivide troppi elementi narrativi per essere al di sopra di ogni sospetto.
Il film di Wald non è però privo di elementi interessanti. Lo scontro generazionale tra padre e figlio, sviluppato soprattutto nella prima metà del film, mette uno contro l’altro due mondi differenti che non mettono in gioco solo la dicotomia tra giovane e anziano, tra credente e non credente, tra chi ha studiato e chi ha lavorato tutta la vita, ma soprattutto la presenza di pensieri profondamente diversi a proposito della situazione politica che riguarda il popolo ebraico, lo stato di Israele e gli scontri sulla striscia di Gaza. L’argomento è introdotto diegeticamente attraverso la televisione accesa nell’appartamento di Ernest, fino a diventare un argomento di un acceso dibattito durante un momento conviviale in cui Simon (che indossa sempre una felpa con la scritta Baghdad sul petto) viene accusato di avere posizioni antisioniste e naziste perché vorrebbe che il popolo palestinese avesse il diritto di vivere sulla sua terra. Una posizione che difficilmente viene espressa anche nel mondo del cinema, spesso più sensibile alle questioni politico-sociali che riguardano aree disagiate. Peccato però che parecchie ingenuità della sceneggiatura facciano da contro altare agli elementi più interessanti.
Simon Konianski non è comunque privo di momenti divertenti e, di contro, toccanti, ma la sensazione di aver gustato un boccone già masticato gli fa perdere smalto e brillantezza. Peccato per il doppiaggio, non certo dei peggiori, ma come spesso accade in questi casi tende ad appiattire l’espressività degli attori rendendo involontariamente ridicola la loro eccessiva gestualità.
Simon Konianski esce nei cinema venerdì 2 aprile
Voto Carlo 5,5
Voto Federico: 5,5
Voto Carla: 5,5