Biutiful – di Alejandro Gonzalez Inarritu: Recensione in Anteprima
Biutiful (Usa, Spagna, 2010) di Alejandro Gonzalez Inarritu; con Javier Bardem, Maricel Álvarez, Eduard Fernández, Diaryatou Daff, Cheng Tai Shen, Luo Jin, Hanaa Bouchaib, Guillermo Estrella, Cheikh Ndiaye, Cheng Taishen, George Chibuikwem Chukwuma, Lang Sofia Lin, Yodian Yang, Tuo Lin, Xueheng Chen, Xiaoyan Zhang, Ailie Ye, Xianlin Bao, Karra Elejalde, Nasser Saleh, Tomás del Estal,
Biutiful (Usa, Spagna, 2010) di Alejandro Gonzalez Inarritu; con Javier Bardem, Maricel Álvarez, Eduard Fernández, Diaryatou Daff, Cheng Tai Shen, Luo Jin, Hanaa Bouchaib, Guillermo Estrella, Cheikh Ndiaye, Cheng Taishen, George Chibuikwem Chukwuma, Lang Sofia Lin, Yodian Yang, Tuo Lin, Xueheng Chen, Xiaoyan Zhang, Ailie Ye, Xianlin Bao, Karra Elejalde, Nasser Saleh, Tomás del Estal, Martina García, Manolo Solo, Félix Cubero, Ana Wagener, Violeta Pérez, Raul Moya Juarez, Albert Grabuleda Capdevila, Diana Aymerich, Jesus Puchol, Blanca Portillo, Rubén Ochandiano
10 anni dopo il folgorante esordio, Amores Perros, sette anni dopo la consacrazione internazionale, 21 grammi, e quattro anni dopo l’ennesima conferma, Babel, il messicano Alejandro Gonzalez Inarritu torna in sala con il devastante Biutiful, presentato all’ultimo Festival di Cannes e premiato con una Palma attoriale ex-aequo, finita non solo al nostro Elio Germano, per La Nostra vita, ma anche ad uno straordinario Javier Bardem.
In una Barcellona da inferno, sconosciuta ai nostri occhi, multietnica, sporca, povera, e delinquenziale, Inarritu abbandona gli intrecci linguistici e narrativi dell’ultimo film portato in sala per raccontarci una storia difficile, lineare, incentrata su un unico personaggio, toccando temi delicati come l’immigrazione, la paternità, la vita e soprattutto la morte, arrivando un’altra volta al cuore dello spettatore, folgorato da un mostruoso Bardem, vergognosamente dimenticato ai Golden Globes 2011.
Uxbal è un uomo stimato e al tempo stesso temuto, che protegge gli immigrati dalla legge mentre lui stesso sfrutta il loro lavoro, dotato di un dono spirituale che gli permette di parlare con i morti e condurli verso la luce, un padre di famiglia duro ed intransigente, un marito innamorato ma costretto a rimanere distante dalla moglie eroinomane, depressa e bipolare, un uomo la cui vita è così dura ed intensa da non potersi neanche permettere di morire in pace.
Biutifil ruota attorno alla figura possente e splendidamente scritta di quest’uomo, interpretato da un Javier Bardem sempre più intenso ed talmente bravo da lasciare sgomenti. L’attore spagnolo porta sulle spalle, nell’espressione degli occhi, nella voce stanca e trascinata, nelle rughe che solcano il suo viso, nel dolore fisico e nelle lacrime di dolore e pentimento che segnano il suo cammino la figura di un eroe tragico, costretto a dover sopravvivere all’ineluttabilità della vita per non lasciare i propri amati figli al nulla, ad una madre indifendibile e ad una società corrotta, sporca, violenta e apparentemente senza speranza.
Portandoci per mano in una Barcellona che è distanti anni luce da come l’abbiamo sempre vista, tanto in sala quanto in televisione, Inarritu concentra la propria attenzione su un solo uomo e sul suo incredibile mondo, tutt’altro che ‘Biutiful’, finendo per tratteggiare malamente alcuni dei tanti personaggi che lo popolano insieme a lui, intrecciando le proprie esistenze con la sua. Al fianco di un Bardem sensazionale una donna, una madre a cui nessuno affiderebbe neanche un pesce rosso, Marambra, portata in sala da una Maricel Álvare dai tratti quasi almodovariani, che stupisce, due figli desiderosi di una ‘famiglia normale’, ma costretti a dover sopportare due genitori che ‘a modo loro’ esternano un amore apparentemente diverso, oltre ad una serie di ‘immigrati’ le cui vite incrociano quella di Uxbal.
Cercando di disegnare con precisione anche i personaggi di contorno, Inarritu finisce per non convincere, esagerando con una visione ‘violenta’ della lotta spagnola all’immigrazione clandestina, attraverso una scena di ‘cariche poliziesche’ nel pieno di Barcellona che stupisce per quanto forzata ed eccessiva. Abbracciando anche il mondo dello sfruttamento nel mondo del lavoro di stampo cinese, con il business delle griffe false a dominare la scena, il regista messicano eccede, finendo per uscire troppo spesso dai binari faticosamente costruiti, con una storia a tinte omosessuali a dir poco gratuita, per poi concedersi addirittura un protagonista capace di parlare con i morti, da condurre per mano verso la luce.
Lasciando gli incastri temporali al recente passato, Inarritu compie indubbiamente un salto qualitativo all’interno del suo cinema, facendo per una volta respirare il montatore per poggiare l’intero film su una sceneggiatura tanto lineare quanto complessa nel raccontare un Universo di fame e di povertà, attraverso una città che dimentica Gaudì ed i panorami alleniani, per puntare il proprio sguardo su interi quartieri multietnici, vissuti da cinesi, senegalesi, pachistani, zingari, rumeni ed indonesiani, costretti quotidianamente a sopravvivere. A tratti poetico, con uno splendido inizio che come per magia si ricongiunge ad un finale liberatorio e ricco di speranza, Alejandro Gonzalez Inarritu conferma ancora una volta tutta la forza del suo cinema, sporco e drammatico, socialmente e politicamente impegnato, faticoso e devastante, anche attraverso un film imperfetto ma indimenticabile grazie al suo incredibile protagonista, dedicando l’intera opera a suo padre, a cui si deve l’indubbio merito di aver cresciuto un autentico talento cinematografico.
Voto Federico: 7,5
Voto Gabriele: 3
Uscita in Sala: 4 febbraio
Qui il trailer italiano