26° Torino Film Festival – Quinta giornata con Religulous
Giunti a martedì, la rassegna cinematografica torinese continua a riservare molte sorprese. Prima di tutto sembra assodato il fatto che per quanto riguarda questa edizione del Torino Film Festival ogni giorno è da considerarsi domenica: proiezioni perennemente stracolme, i biglietti (venduti in quantità pari alla metà della capienza della sala ospitante) vanno via come il
Giunti a martedì, la rassegna cinematografica torinese continua a riservare molte sorprese. Prima di tutto sembra assodato il fatto che per quanto riguarda questa edizione del Torino Film Festival ogni giorno è da considerarsi domenica: proiezioni perennemente stracolme, i biglietti (venduti in quantità pari alla metà della capienza della sala ospitante) vanno via come il pane, e si rischia quindi di rimanere esclusi anche alla terza, e ultima, proiezione di Tony Manero. Alla quale, peraltro, il giurato Dito Montiel arriva accompagnato dalla consorte, decisamente trafelato e con discreto ritardo. Siamo contenti di aver testimoniato al miracolo del giurato che guarda i film; un po’ meno contenti di aver fatto ritardare la proiezione di qualche minuto.
Molta, moltissima fila anche per il documentario Religulous, di Larry Charles, prudentemente parcheggiato nella sezione collaterale Lo Stato delle Cose. Per completezza Larry Charles è il figuro che ha seguito Sacha Baron Cohen, agghindato à là Borat, in giro per gli Stati Uniti a soddisfare il pericoloso desiderio di prendere per i fondelli un’intera nazione. Una persona coraggiosa, quindi, il nostro Larry Charles.
Il quale anche per questa produzione non si fa mancare niente. In questo caso, infatti, il regista ha intrapreso una collaborazione con il comico Bill Maher finalizzata al blasfemo e irriverente scopo di ridicolizzare la religione. O meglio, le religioni, dacchè Maher fra il fucile di precisione e il randello nodoso sceglie quest’ultimo, optando evidentemente più sull’ l’impatto e la generalizzazione che sull’accuratezza giornalistica di quella che poteva essere un’interessante inchiesta.
La pellicola di Charles negli Stati Uniti, dove è già stata distribuita, ha incassato poco più di 12 milioni di dollari, secondo Imdb, e sempre a detta del grande database online dovrebbe ottenere a breve anche una distribuzione italiana.
La sensazione è che un film come questo possa essere appetibile esclusivamente a un pubblico di nicchia. Rifiutando l’approccio divulgativo e decidendo invece di imbracciare la mazza chiodata, Maher e Charles diminuiscono sensibilmente il bacino possibile della loro utenza. Saranno, infatti, solamente quelle persone che in un certo modo condividono l’idea di base dei due autori – che sta tutta nella crasi del titolo fra Religious e Ridiculous, e che viene infiorettata da un’interessante riflessione di Maher sulla necessità di imparare a vivere col dubbio, di abbandonare la fiducia (la fede) nelle certezze religiose – a scegliere di vedere questo film.
Religulous, in ogni caso, è realizzato in maniera tale da essere divertente, scorretto al punto giusto (limite, questo, peraltro totalmente soggettivo, me ne rendo conto), insinuante e irriverente. Fa buon uso di un montaggio alternato fra i materiali originali e quelli di repertorio a scopo comico, e alterna furbescamente le stoccate alle tre grandi religioni monoteiste a esilaranti incursioni nel mondo di movimenti assolutamente incredibili, come il culto della Marjiuana con sede ad Amsterdam (e ci mancherebbe), passando anche per sette dai dogmi assurdi che si fanno passare per grandi religioni (Scientology con i suoi alieni e il Mormonismo col suo pianeta Kolob, non ce ne voglia nessuno).
Fiorenti e azzeccatissime continuano anche le retrospettive su Melville e la British Renaissance. Da segnalare per quanto riguarda la prima il magnificente “Les Enfants Terribles”, del 1950, da recuperare in ogni modo, lecito o meno; per quanto riguarda la seconda, ieri hanno avuto luogo le proiezioni di due grandi film tra loro molto diversi, “My Beautiful Laundrette,” di Frears, e l’incredibile “Drowning by Numbers” di Greenaway.